di Fabio Battiston
Il secondo tempo dello spettacolo di varietà Ciao Fazio son Bergoglio, andato in onda giorni fa sull’emittente Nove, è già passato agli archivi, pardon agli annali della storia universale della televisione mondiale, ma sono ancora vivissime, nelle decine di milioni di telespettatori che hanno seguito l’evento in mega-visione intercontinentale, le emozioni prodotte dalle profonde riflessioni donate a profusione dal principe della Nuova Religione Universale.
Quest’incipit, ironico e certamente irrispettoso nei confronti di Jorge Bergoglio, lascia ora spazio ad alcune più serie considerazioni circa un argomento particolare trattato nell’intervista. Mi riferisco al punto nel quale, sollecitato dal suo integerrimo sodale, l’inquilino di Santa Marta lancia il suo solito anatema contro la guerra. Ecco le sue precise parole:
Ogni primo novembre vado in un cimitero a celebrare; quando sono andato ad Anzio c’erano ragazzi giovani, tutti morti. L’ultima volta sono andato al Cimitero Inglese, guardavo le età e pensavo alle mamme che ricevono quella lettera: “Signora ho l’onore di dirle che suo figlio è un eroe…”. “No, io voglio il figlio, non l’eroe”. E pensiamo a cosa significa una guerra, pensiamo allo Sbarco in Normandia di cui è stato celebrato tempo fa l’anniversario ma sulla spiaggia della Normandia sono rimasti ventimila ragazzi… questa è la guerra!
Risponderò a queste sconfortanti affermazioni mettendo il tutto in un’ipotetica lettera indirizzata a Bergoglio.
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Caro Francesco,
per l’ennesima volta, hai perso un’occasione per dire qualcosa di condivisibile. Il tuo afflato pacifista, tratto dall’armamentario sociopolitico vetero-sessantottino, ha preso stavolta di mira uno degli eventi più drammatici, ma al tempo stesso, più fulgidi della Seconda guerra mondiale. Già parlare di questo conflitto, per pronunciare una condanna tout court della guerra, è quanto di più sbagliato si possa fare. Quei sei anni, ed il loro tragico tributo di sangue, lutti e distruzioni furono provocati dalla follia di alcuni mostri che, purtroppo, la storia dell’umanità periodicamente produce. Fu per per eliminare quei mostri, ed i loro progetti di sopraffazione e di morte, che milioni di uomini sacrificarono la loro vita per consentire alle generazioni successive di vivere un futuro di pace e di speranza. Per consentire anche a te, Jorge Bergoglio classe 1936, di poter guardare fiducioso con gli occhi di un bambino al futuro che ti si spalancava dinanzi. Ma torniamo alle tristi parole della tua intervista.
Non so se ciò che hai detto te lo ha suggerito, come sovente accade, qualcuno dei tuoi fidatissimi consiglieri vaticani o è tutta farina del tuo sacco. Nell’un caso o nell’altro l’ignoranza (intesa proprio nel suo originario significato di “non sapere di cosa si sta parlando”) manifestata da quelle frasi è francamente intollerabile. Lo sbarco in Normandia è realmente stato un evento costellato di grandezza, eroismo e sacrificio oltre ogni limite. Lo è stato soprattutto tra i soldati (ufficiali, sottufficiali e truppe) che lo hanno materialmente effettuato. Molto meno commendevole fu la competenza e la preparazione di chi lo concepì e ne progettò le caratteristiche. Ma questo è un altro discorso.
Forse nessuno ti ha spiegato, caro Francesco, che la maggioranza delle truppe impiegate nello sbarco (specialmente da parte americana) era composta da volontari. Ragazzi, giovani e uomini che avevano scelto di lasciare studi, casa, famiglia e futuro perché c’era un importante lavoro da fare per il quale si sentivano chiamati: eliminare dalla faccia della terra una forza realmente demoniaca che si riprometteva di offrire al mondo, ormai in gran parte sotto il suo dominio, mille e più anni di orrore. L’apertura del secondo fronte era di importanza capitale non solo per arrivare alla distruzione del Terzo Reich ma anche per limitare l’espansione verso occidente di una Unione Sovietica la cui dittatura era già prefigurabile come il potenziale nemico futuro. La guerra contro le potenze dell’Asse, Germania e Giappone in particolare, non aveva mai avuto alternative che potessero consentire al mondo la speranza di una pace globale realmente governabile. Credo che questo sia ormai un dato incontrovertibile, o no?
Non so se nella vita tu abbia mai visitato i luoghi dello sbarco. Ti do un consiglio, il prossimo 6 giugno si celebrerà l’ottantesimo anniversario del D-Day: vacci e senza indugio alcuno. Forse farai in tempo a pentirti di aver liquidato il sacrificio di quella gioventù con quelle superficiali parole. Vai sulla spiaggia di Omaha, Jorge, percorrila dalla riva fino al costone in fondo quando c’è la bassa marea. Sono centinaia di metri; camminando potrai ancora percepire lo spirito di quei ragazzi, la loro corsa affannosa, stremati dal peso dell’equipaggiamento e da giorni di mal di mare sulla Manica. Dopo ottant’anni da quel giugno 1944, potrai ancora sentire ciò che resta delle loro urla, colpiti dal fuoco delle mitragliatrici, ma anche del loro coraggio e delle loro preghiere. Sì Bergoglio, perché c’era anche il Signore che li accompagnava in quel viaggio che per molti fu l’ultimo. Era con quell’intera generazione che, senza obblighi, né onori o prebende, aveva fatto una scelta perché credeva fermamente fosse quella inequivocabilmente corretta, senza una realistica possibilità di alternative. Quando arriverai alla fine della spiaggia e volgerai lo sguardo indietro, ti sembrerà di vederla ancora ingombra di detriti incendiati, mezzi da sbarco distrutti e con centinaia di soldati, morti, feriti o in agonia, imploranti aiuto. Mi auguro, come è accaduto al sottoscritto, che ti ritroverai a piangere singhiozzando, senza alcuna vergogna. Non maledicendo una sporca guerra ma ringraziando nel profondo chi si è immolato per noi.
Dalle 6:30 alle 13:30 di quel martedì 6 giugno restarono ad Omaha, “la sanguinosa”, 2.500 tra morti feriti e dispersi, tutti americani della 1^ e 29^ Divisione di Fanteria. Erano a migliaia di chilometri dalle loro case e dai loro cari, per aiutare i popoli d’Europa ad avere ancora una speranza. Nessuno di loro era quel tipo di eroe che tu hai evocato, non senza una punta di sarcasmo. Il loro obiettivo fondamentale, che è poi quello di tutti i soldati in battaglia, era di riuscire a riportare a casa la buccia. Ma anche di fare il proprio dovere, fino all’ultimo, con la paura che attanaglia corpo e mente. Di aiutare, con coraggio e responsabilità, un compagno in difficoltà. Di essere certi di fare la cosa giusta perché davanti a loro, in quella guerra, c’era realmente un’anima nera che doveva essere distrutta. Ecco perché tutti quei giovani – sopravvissuti e non – devono essere considerati degli eroi, nell’accezione più sacra del termine.
Ma che stupido sono! Dovere, responsabilità, valori, eroismo; ho usato parole che a te, al tuo modo di concepire la vita ed il mondo, caro Jorge, debbono suonare vuote e prive di senso. A te che vieni da un paese che, a guerra finita, si distinse per aver dato asilo e protezione ad un gran numero di gerarchi nazisti ed SS. Era uno dei passatempi preferiti del tuo amico Peron, non è vero? A te che, parlando con Fazio dei caduti sulla spiaggia della Normandia, non hai trovato altro modo che concludere in tono perentorio “questa è la guerra”!
No Bergoglio! Questo è il prezzo della libertà!
A qualche miglio di distanza da Omaha c’è un delizioso paesino, a metà strada tra la campagna normanna ed il mare. Si chiama Merville. Fu lì che i tedeschi costruirono una poderosa batteria di cannoni, difesa da una guarnigione di duecentocinquanta uomini. Da anni vi è stato allestito (come peraltro in tanti altri siti oggetto degli sbarchi) un museo-memoriale costantemente meta di visitatori e parenti di chi vi ha combattuto. Nella notte tra il 5 ed il 6 giugno 1944, quella piazzaforte fu conquistata, a prezzo di gravissime perdite, da un battaglione di paracadutisti inglesi della 6^ Divisione aviotrasportata. Nel tuo auspicabile pellegrinaggio in quelle terre, eccellentissimo, fai anche una puntata a Merville. Vai a visitare, in particolare, un bunker in cui è stata allestita una sala video. L’ambiente è nudo; pareti di cemento armato, due bandiere, uno schermo ed alcune panche di legno. Mettiti comodo ed aspetta; dopo alcuni secondi le luci si spegneranno e potrai udire in crescendo la musica di una cornamusa (ogni battaglione aveva il suo musicista). Col sottofondo struggente di quelle note ti saranno mostrate, una dopo l’altra, le fotografie degli oltre 70 soldati caduti durante le poche decine di minuti dell’assalto. Guarda i loro volti. Sono quasi tutti ragazzi dai 17 ai 21 anni. Alcuni di loro volontari. Facce belle, pulite; in una parola…buone. Prima di uscire da quel bunker, te ne prego, ripensa a ciò che hai detto nell’intervista e lascia un pensiero di gratitudine cristianamente umana a quelle vite spezzate. Se ti riesce!