La tentazione dell’uomo forte e la via della Croce

di Aurelio Porfiri

La moderna invasione di media di tutti i tipi ci ha portati a disporre di molte più notizie di quelle che riusciamo a digerire. Il problema non è più la mancanza di informazione, ma è l’indigestione di informazione, il fatto che di essa ci stiamo ingozzando senza essere capaci di assimilarla appropriatamente. Pensiamo a ciò che circola sui blog cattolici conservatori e tradizionalisti: una marea di notizie che non è facile gestire.

Nei tanti contributi, a volte pregevoli a volte meno, emerge comunque un dato: il grande senso di smarrimento nei fedeli che cercano il modo più adeguato per navigare in mezzo alla grande crisi nella Chiesa.

In alcuni, non in tutti, si manifesta così la tendenza a cercare “l’uomo forte”, ovvero quel prelato o intellettuale cattolico a cui aggrapparsi per tirarsi fuori dalla situazione in cui ci si trova impantanati. A volte si tratta di figure anche rispettabili, altre volte di personalità dalle caratteristiche singolari (non vuole essere un complimento). Una parte importante è quella giocata dal mondo dell’apparizionismo, che negli ultimi anni ha fatto fronte comune con i settori del tradizionalismo cattolico connotati in senso sempre più apocalittico.

Ma davvero ci salverà l’uomo forte? Purtroppo, credo che non sia questa la via da seguire. Se è vero che la storia è magistra vitae, come ci insegna Cicerone, allora dovremmo guardare ad essa.

Pensiamo al “messia” Simone Bar Kōkhebā, leader ebraico del secondo secolo che guidò una rivolta contro i romani. Ne parla Vittorio Messori in Ipotesi su Gesù, laddove racconta le aspettative messianiche tra gli ebrei:

Devono, soprattutto, convertirsi a un’idea di Messia non solo nuova ma addirittura scandalosa. Sarebbe stato ben più logico che questa fede, se proprio doveva sorgere, si coagulasse piuttosto attorno a qualche altro pretendente. Rispondevano tanto meglio, quegli altri, alle attese messianiche! Erano persino belli, di forza erculea, dagli occhi che sprizzavano energia; così è scritto di Bar Kokheba, il “Messia” nel cui nome gli ebrei lasciano devastare sino in fondo Israele. Disse di lui Adriano, imperatore dei romani: “Se Dio non lo avesse ucciso, nessuno sarebbe riuscito a toccarlo”.

In effetti questo Simone, chiamato il “figlio della stella”, sembrava possedere tutte le doti che ci si poteva aspettare da un messia: era un leader militare, era prestante, era carismatico. Ma la sua azione finì in rovina e causò una repressione ancora più dura da parte dei romani.

Messori passa poi a descrivere il nostro Messia:

Di Gesù, la bellezza fisica non doveva impressionare, visto che nessuno degli evangelisti vi fa il minimo cenno. Forse era davvero d’aspetto dimesso e apparentemente triste come lo rappresenta Rembrandt nella tela sui discepoli di Emmaus? O era persino zoppo, colle spalle curve, come lo dicono antichissime tradizioni orientali? Sant’Ireneo se lo figura infirmus, ingloriosus, indecorus, “di aspetto sgraziato”, addirittura.

Insomma, sembrava avere tutte le caratteristiche per essere scartato dal ruolo di Messia, eppure trionfò, mentre Simone, “figlio della stella”, è ricordato solo da qualche storico.

Dovremmo ricordare questa lezione quando ci accodiamo a leader che sembrano offrirci soluzioni efficaci alla crisi della Chiesa, a coloro che si vantano del numero di seguaci e follower, a coloro che cercano un martirio di cui non sono degni. Non sarà l’uomo forte a salvarci. Il nostro destino è di essere sulla croce come il “Messia inglorioso” che però, di fatto, ha trionfato anche contro quel Simone che perseguitava i cristiani e chiedeva loro di rinnegare Gesù per seguire lui.

In Matteo 24 viene detto: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato». Non lo neghiamo: la perseveranza non è facile e molti vacillano. Ma la soluzione non è trovare rassicurazione in coloro che non possono da soli salvare sé stessi né tantomeno possono salvare noi. Bisogna accettare la croce, il dolore dei chiodi e del supplizio. Questo solo ci aspetta.

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