Nel Medioevo, e poi fino al XVI secolo, l’idea che il papa potesse cadere nell’eresia ed essere giudicato veniva generalmente accettata. Fu la svolta assolutista, nata come risposta alla modernità e agli abusi del potere secolare, a fare del papa un sovrano infallibile e a incoraggiare una forma di obbedienza incondizionata. Questa la tesi sostenuta nell’articolo che qui sottopongo alla vostra attenzione e valutazione.
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di Robert Lazu Kmita
In un’omelia del 7 maggio 2005, Benedetto XVI fece una delle affermazioni più importanti riguardo all’autorità del papa. Le seguenti parole, in particolare, mi sono rimaste impresse nella mente:
Il papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo [1].
Come cercherò di dimostrare, l’analogia tra l’autorità del papa e quella dei monarchi assoluti è importante per chiarire la questione della possibilità di un papa eretico.
L’epoca dell’assolutismo in Europa abbraccia i secoli XVII e XVIII. La figura più rappresentativa fu il famoso re Luigi XIV di Francia (1638-1715), noto al mondo con il soprannome di le Roi Soleil (il Re Sole). Senza addentrarmi in dettagli che esulano dallo scopo di questo articolo, mi limito a ricordare il periodo in cui emerse questa nuova visione dell’autorità reale, appunto il XVII e il XVIII secolo. Vedremo più avanti perché questo dato è significativo.
Prima, però, passiamo in rassegna l’atteggiamento specifico dei cristiani nel Medioevo riguardo alla possibilità di un papa eretico [2]. Questo per rispondere a quei credenti cattolici contemporanei che, senza esaminare attentamente le fonti storiche della questione, ritengono che non esistessero santi e teologi che accettavano senza problemi la possibilità di un papa eretico. Le fonti lo dicono chiaramente: esistevano. Infatti, fino agli albori del Rinascimento questa opinione era accettata dalla maggioranza dei teologi e dei santi.
Dante Alighieri e il papa eretico
Nella Divina commedia tre canti della sezione dedicata da Dante (1265 – 1321 circa) all’Inferno presentano i puniti per eresia nel sesto cerchio delle tenebre eterne. E tra questi, proprio all’inizio del Canto XI, viene presentato papa Anastasio II (? – 498) [3].
Sebbene gli esegeti ci dicano che la presunta eresia di papa Anastasio II sia il risultato di una confusione tra il pontefice con questo nome e l’imperatore Anastasio I (491-518) [4], ciò che ci interessa notare è che le autorità medievali non avevano dubbi. Sia il Liber pontificalis sia il Decretum Gratiani, testi autorevoli e di grande peso in quell’epoca, menzionano non solo l’eresia di Anastasio II ma anche la pronta punizione divina sotto forma di morte improvvisa.
Mi affretto a precisare che qui non mi occupo di storia. In altre parole, non mi interessa tanto la verità storica della situazione di quel pontefice, quanto piuttosto il fatto inconfutabile che dai leader ecclesiastici e dai teologi medievali la possibilità di un papa eretico era accettata senza alcun problema. A tal punto che un rappresentante di spicco di questa visione, Dante Alighieri, esprimeva nel suo poema epico l’opinione unanimemente accettata nel suo tempo.
San Roberto e l’opinione minoritaria
San Roberto Bellarmino (1542-1621), come è noto, ritiene impossibile che un papa sia eretico. Riconosce però che i pensatori medievali accettavano questa possibilità e che la sua tesi è sostenuta solo da una minoranza. Egli sottolinea che l’opinione tradizionale emerge con evidenza da un fatto: papa Onorio fu non solo considerato eretico, ma giudicato per questo [5].
Sebbene ritenesse che molto probabilmente papa Onorio non fosse eretico, san Roberto notava che papa Adriano agì nella convinzione che un papa colpevole di eresia potesse essere giudicato. Pertanto, discuteva seriamente questa “opinione della maggioranza”, giungendo a una conclusione che parla da sé:
(Sarebbe) la condizione più miserabile della Chiesa se fosse costretta a riconoscere per pastore un lupo palesemente vagante (De romano pontifice, libro II, capitolo 30).
La posizione “minoritaria” adottata da san Roberto non era nuova. Era già stata sviluppata da un dotto astrologo, astronomo e teologo cattolico olandese, Alberto Pighius (1490 circa – 1542). Nel contesto di accese lotte dottrinali con i riformatori protestanti, nel suo trattato Hierarchiæ ecclesiasticæ assertio (libro 4, capitolo 8), pubblicato a Colonia nel 1538, egli sostiene che un papa non può mai essere eretico perché ciò implicherebbe il trionfo delle forze infernali sulla Chiesa fondata da nostro Signore Gesù Cristo. La sua teoria si basa su un’interpretazione radicale del versetto 18 del capitolo 16 del Vangelo di Matteo: «E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
Ripeto: teniamo presente che il santo cardinale Roberto Bellarmino affermava onestamente che la sua era l’opinione della minoranza.
San Francesco di Sales e l’opinione tradizionale
In effetti, se leggiamo il corposo articolo della migliore fonte di teologia cattolica mai pubblicata, il Dictionnaire de théologie catholique coordinato da A. Vacant, E. Mangenot, E. Amann, nel settimo volume troviamo un contributo dedicato all’infallibilità papale [6] nel quale l’autore, padre Edmond Dublanchy, tratta appunto la questione di un papa eretico. E che cosa dice? Senza esitazione, afferma che fino all’epoca di Pighius e di san Roberto “tous admettent sans difficulté que le pape tomber dans l’hérésie comme dans toute autre faute grave” (“tutti ammettevano senza difficoltà che il papa può cadere nell’eresia come in qualsiasi altro peccato grave”). L’unico punto in discussione fino a quel momento riguardava il modo in cui un papa eretico poteva essere giudicato dalla Chiesa. Non solo. Alcuni autori medievali, come notato da padre Dublanchy, ritenevano che il peccato di eresia fosse l’unica situazione in cui un papa potesse essere giudicato. Come conseguenza di questa posizione, alcuni teologi sostenevano che, in caso di eresia ostinata, il papa perde automaticamente l’ufficio pontificio. È degno di nota che questa opinione si ritrovi, secoli dopo, nell’articolo Heresy di Joseph Wilhelm dell’Enciclopedia cattolica (1910), pubblicato con l’approvazione del cardinale John Farley, arcivescovo di New York. Ecco cosa viene affermato con la massima chiarezza in questo articolo:
Il papa stesso, se notoriamente colpevole di eresia, cesserebbe di essere papa perché cesserebbe di essere un membro della Chiesa [7].
Tornando all’articolo francese citato, esso mostra il cambiamento della posizione tradizionale man mano che ci avviciniamo all’età dell’assolutismo monarchico. Mentre nel XV e XVI secolo numerosi teologi cattolici sostenevano che un papa potesse essere eretico, aggiungendo che “le pape est, en ce cas, immédiatement déchu de la dignité pontificale ou déposé par le fait même” (“il papa è, in questo caso, immediatamente privato della dignità pontificale e deposto per il fatto stesso”), il XVII secolo registra un primo cambiamento di rotta.
Come abbiamo già visto, Pighius e san Roberto, insieme all’influente teologo e filosofo spagnolo Francisco Suárez (1548-1617), iniziano a sostenere l’opinione della minoranza. Ciò che seguì è ben noto. Sotto l’influenza di santi come Giovanni Bosco (1815-1888) e di una certa interpretazione ultramontanista del dogma dell’infallibilità promulgato nel contesto del Concilio Vaticano I, l’interpretazione della minoranza divenne quella della maggioranza.
Un’eccezione notevole, tuttavia, è rappresentata da un importante Dottore della Chiesa, san Francesco di Sales (1567-1622).
Nella sua opera più rilevante di apologetica cattolica contro i protestanti, Les controverses, il santo ci ha lasciato un passaggio istruttivo sulla questione del papa eretico:
Ora, quando è esplicitamente eretico, egli cade ipso facto dalla sua dignità e dalla Chiesa, e la Chiesa deve privarlo o, come alcuni dicono, dichiararlo privato, della sua sede apostolica, e deve dire come san Pietro: che un altro prenda il suo episcopato (At 1, 20) [8].
Per quei fedeli cattolici che si chiedono se ci siano stati santi che abbiano accettato la possibilità di un papa eretico, ecco servito non solo un santo, ma un Dottore della Chiesa che, nonostante fosse a conoscenza della tesi di san Roberto, continuò a sostenere l’opinione comune prima del periodo rinascimentale.
L’epoca dell’assolutismo pontificio
Torniamo ora alla dichiarazione di papa Benedetto XVI riportata all’inizio del nostro articolo. Il paragone tra l’autorità pontificia e quella dei monarchi assoluti del XVII e XVIII secolo è molto significativo. Va notato che la dottrina coltivata da questi monarchi è stata il “canto del cigno” delle monarchie europee in generale e di quella francese in particolare. Qualcosa di simile è accaduto con l’ufficio papale: sebbene il ruolo del papa sia sempre stato, sia ancora oggi e sarà sempre una delle componenti essenziali del Collegio apostolico, tutto ciò che è accaduto con i papi negli ultimi secoli indica una crisi di grande portata.
Definito nella costituzione Pastor aeternus il 18 luglio 1870, il dogma dell’infallibilità papale è la reazione della Chiesa, nel Concilio Vaticano I, ai terribili abusi del potere secolare. Ricordiamo che il famigerato Napoleone Bonaparte (1769 – 1821) tentò di trasformare il Vaticano in una semplice dépendance del suo potere. E due papi li fece imprigionare: Pio VI, che morì in prigionia in Francia, e Pio VII, che fu prigioniero tra il 1809 e il 1814. Ricordiamo anche che Pio IX, il papa autore del Sillabo degli errori, nel 1870 assistette alla distruzione dello Stato pontificio, dichiarandosi prigioniero in Vaticano.
Certamente, il mondo moderno è caratterizzato da una sistematica opposizione alla struttura monarchica della gerarchia della Chiesa. In tale contesto, volendo enfatizzare il valore dell’autorità pontificia, molti cattolici ben intenzionati si sono orientati sempre più a favore di una forma di assolutismo pontificio secondo il quale il papa non solo non può essere giudicato, ma non può nemmeno sbagliare (nemmeno privatamente) in nessuna materia. Questi difensori del pontificato non hanno previsto il disastro che sarebbe derivato dalla forma di obbedienza incondizionata incoraggiata da vescovi e sacerdoti e da tutti coloro che credevano di ripristinare la posizione sovrana del pontefice nei confronti dei nuovi poteri politici. La fine di questo modo di pensare e di credere fu drammatica.
L’evento più significativo si verificò nel 1969 – 1970 quando, in nome delle direttive del Concilio Vaticano II, la liturgia cattolica romana fu praticamente soppressa da papa Paolo VI. Anche se lo stesso pontefice abbandonò la tiara papale, il modo in cui agì per sostituire l’antica liturgia con una liturgia artificiosa indicava la presenza invisibile ma non meno efficace dello stile assolutista criticato da papa Benedetto XVI. E il fatto che Ratzinger avesse ragione è indicato proprio dalla fine improvvisa e inaspettata del suo pontificato.
Oggi è diventato più che mai evidente che la parola del Cristo Salvatore circa la sua Chiesa – “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” – ha bisogno di un’interpretazione diversa da quella che ci dice che un papa non può mai essere eretico.
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[1] L’intero testo è disponibile qui sul sito ufficiale del Vaticano.
[2] Una monografia ben documentata sull’argomento è quella firmata da Arnaldo Xavier da Silveria, Can the Pope Be a Heretic?, Caminhos Romanos Portugal, 2018.
[3] Dante Alighieri, La Divina commedia, traduzione di Charles Eliot Norton, Vol. I: Inferno, Boston e New York: Houghton, Mifflin and Company, 1892, p. 51.
[4] Paget Toynbee, A Dictionary of Proper Names and Notable Matters in the Works of Dante, Oxford, At the Clarendon Press, 1898, p. 32.
[5] Il testo è tradotto da Ryan Grant sul sito web di Mediatrix Press.
[6] Dictionnaire de theologie catholique, sous la direction de A. Vacant, E. Mangenot, E. Amann, Tome Septieme, Deuxieme Partie: Impanation-Irvingiens, Parigi, 1923, art. Infaillibilité du pape di Edmond Dublanchy, col. 1716-1717.
[7] L’articolo completo può essere letto online qui.
[Pubblicato dopo la morte del Santo Dottore, questo notevole lavoro è stato incluso nel volume VIII dell’edizione del 1672 dei suoi scritti. Il testo che ho citato si trova nella seguente edizione inglese: Library of St. Francis De Sales, Works of this Doctor of the Church, translated into English by the Very Rev. H. B. Canon Mac Key, O.S.B. under the direction of the Right Rev. John Cuthbert Hedley, Vol. III The Catholic Controversy, O.S.B., London: Burns and Oates, 1909, p. 306.
Fonte: remnantnewspaper.com