Celibato ecclesiastico / Da monsignor Scicluna dichiarazioni inaccettabili. Così un esperto corregge l’arcivescovo
Il mese scorso monsignor Charles Scicluna, alto funzionario vaticano e consigliere di papa Francesco nonché arcivescovo di Malta, in un’intervista ha dichiarato che la Chiesa cattolica dovrebbe “riflettere seriamente” sulla possibilità di consentire ai preti di sposarsi. Parole che ovviamente sono state accolte positivamente dal pensiero mainstream, ma nello stesso tempo hanno suscitato disorientamento e dispiacere in molti cattolici.
Sulle affermazioni di monsignor Scicluna interviene ora un esperto in materia di celibato ecclesiastico: monsignor Cesare Bonivento. Per molti anni missionario in Papua Nuova Guinea per il Pime (il Pontifico istituto missioni estere di Milano) e oggi vescovo emerito, monsignor Bonivento (che alla bella età di quasi 84 anni opera ancora come formatore e assistente spirituale di seminaristi) alla questione del celibato ecclesiastico ha dedicato approfonditi studi, l’ultimo dei quali è Celibato e continenza ecclesiali. Breve compendio storico-teologico (pubblicazione di cui Duc in altum si è occupato qui). E dall’alto della sua competenza giudica non solo sbagliate ma irresponsabili le parole di Scicluna.
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di monsignor Cesare Bonivento
L’8 gennaio scorso la stampa internazionale ha dato ampio rilievo all’intervista concessa da monsignor Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto del Dicastero per la dottrina della fede, al Times di Malta. Nell’intervista l’arcivescovo si è detto molto favorevole al celibato opzionale o, più chiaramente, alla possibilità di consentire ai preti di sposarsi.
Monsignor Scicluna ha sostenuto che la Chiesa cattolica dovrebbe “riflettere seriamente” sulla possibilità di consentire ai preti di sposarsi. D’altra parte, ha detto, il celibato “è stato facoltativo per il primo millennio di esistenza della Chiesa”. Dunque “dovrebbe ritornare a esserlo”.
L’intervista, di grande impatto, ha suscitato reazioni in larga parte favorevoli. Ad esempio il 23 gennaio la Gazzetta di Malta ha scritto: “Le dichiarazioni dell’arcivescovo Charles Scicluna sui sacerdoti e sul matrimonio hanno fatto il giro del mondo in quanto coraggiose, inequivocabili, ampie e provenienti da un alto funzionario vaticano in un momento in cui la Chiesa sta seriamente prendendo in considerazione un cambiamento”.
Con l’eccezione del dibattito sulle benedizioni omosessuali, secondo il corrispondente vaticano del National Catholic Reporter, Christopher White, l’intervista rilasciata da Scicluna è stata la notizia vaticana più importante del mese di gennaio.
Le affermazioni dell’arcivescovo hanno suscitato però grande sconcerto in molti laici ed ecclesiastici, sia per il ruolo ricoperto da Scicluna sia perché sostanzialmente inesatte.
In effetti sembra impossibile che un prelato del suo rango abbia fatto simili dichiarazioni.
Certamente monsignor Scicluna conosce sia la storia della Chiesa sia la teologia, per cui mi riesce difficile attribuirgli la paternità di quanto è stato pubblicato. Tuttavia, poiché non ci sono state smentite, mi sento obbligato a rispondere, invitando nello stesso tempo Scicluna a rettificarle nel caso gli fossero state indebitamente attribuite.
La prima obiezione che mi permetto di fare è di carattere storico. Egli dice che il celibato “è stato facoltativo per il primo millennio di esistenza della Chiesa e dovrebbe ritornare a esserlo”, ma ciò non è assolutamente vero, perché anche se la Chiesa cattolica ha sempre permesso l’accesso agli ordini sacri agli sposati oltre che ai celibi, essa però ha sempre richiesto a tutti i chierici costituiti negli ordini sacri l’astinenza perfetta da ogni attività sessuale dopo aver ricevuto l’ordinazione sacra. Non c’è nemmeno un documento del Magistero cattolico, sia della Chiesa occidentale sia di quella orientale, che permetta il matrimonio o l’uso del matrimonio dopo la recezione degli ordini sacri. Questa disciplina, che passa sotto il nome di “legge del celibato”, ha sempre compreso l’obbligo della continenza perfetta per gli sposati che ricevevano le ordinazioni sacre e l’obbligo del celibato perpetuo per i celibi che ricevevano le stesse sacre ordinazioni. Va notato che la disciplina in questione risale alle origini del cristianesimo, derivando il suo insegnamento direttamente dagli apostoli, dalla cura che essi hanno avuto nello scegliere i loro successori (come appare chiaramente dalle lettere pastorali) e dai primi documenti dei Padri della Chiesa e della Chiesa sub-apostolica.
La codificazione di tale disciplina avvenne progressivamente a partire dal Concilio di Elvira del 305, e poi con i concili di Arles del 314, di Amcyra del 314 e di Neocesarea del 315, fino al grande Concilio di Nicea del 325 che insegna l’obbligo del celibato/continenza per tutti i vescovi, i presbiteri e diaconi della Chiesa cattolica.
Affermare quindi che nel primo millennio il celibato era opzionale, e che è diventato obbligatorio solo nel secondo millennio, è una inesattezza inaccettabile da parte di un alto funzionario del Dicastero per la dottrina della fede.
Secondo il resoconto dei giornali, monsignor Scicluna si è espresso in modo molto favorevole al ritorno al primo millennio, quando secondo lui il celibato era opzionale per tutti coloro che ricevevano le ordinazioni sacre. Monsignor Scicluna però non s’accorge che così dicendo non solo va contro la realtà della storia, ma ignora il mistero su cui si basa la disciplina del celibato ecclesiastico.
Essa infatti:
– è stata voluta da Cristo stesso con l’istituzione del collegio apostolico. In esso vi erano sia gli sposati come Pietro, sia i celibi come Giovanni: tutti però erano stati invitati da Gesù alla sua sequela, abbandonando tutto, anche delle loro famiglie. Cosa che gli Apostoli hanno fatto (Mt 19, 27-29).
– è stata insegnata dagli Apostoli: san Pietro (Mt 19, 27-29) e san Paolo (I Cor, 7; 1 Tim 5, 9-10, Tit 1, 89, ); Lettera agli Ebrei (particolarmente 7, 23-28).
– è stata difesa dal Magistero per oltre due millenni per i suoi fondamenti biblici e patristici. Infatti la sua origine apostolica è stata sottolineata dal Magistero innumerevoli volte: cfr. ad es. Siricio I, Innocenzo, Gregorio Magno, Concilio di Cartagine del 390, can. 2;
– è stata legiferata per tutta la Chiesa cattolica dal can. 3 del Concilio di Nicea, ed è stata solennemente sancita dal can. 9 della Sessione 24ma del Concilio di Trento, che impedisce in modo assoluto il matrimonio dei chierici costituiti negli ordini sacri. Questo canone è da molti considerato un dogma;
– è stata motivo di distacco iniziale tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Infatti fu solo nel 691 che il Concilio Trullano II, cedendo a molte pressioni interne alle Chiese orientali, concesse l’uso del matrimonio ai chierici sposati, quando non fossero di servizio all’altare. Ciò avvenne nonostante la forte opposizione di papa Sergio I. Da osservare invece che la disciplina riguardante i vescovi non venne minimamente modificata: ancora oggi è la stessa osservata sia dalla Chiesa cattolica sia dalla Chiesa ortodossa.
– è stata chiaramente riconfermata dal Vaticano II: Presbyterorum ordinis, 16 e dai papi del dopo Concilio: Paolo Vi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI;
– è stata dogmaticamente illustrata nel suo legame profondo col sacerdozio unico ed eterno di Cristo, soprattutto da Paolo VI. Nella Sacerdotalis caelibatus, 19 Paolo VI spiega in modo mirabile il motivo teologico per cui la disciplina del celibato/continenza il è essenziale al sacerdozio ministeriale. Egli dice: “Il sacerdozio cristiano, che è nuovo, può essere compreso soltanto alla luce della novità di Cristo, Pontefice sommo ed eterno Sacerdote, il quale ha istituito il sacerdozio ministeriale come reale partecipazione al suo unico sacerdozio (15). Il ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio (16) ha dunque in lui anche il modello diretto e il supremo ideale (17). Cristo, figlio unico del Padre, in virtù della sua stessa incarnazione, è costituito Mediatore tra il cielo e la terra, tra il Padre e il genere umano. In piena armonia con questa missione, Cristo rimase per tutta la vita nello stato di verginità, che significa la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini. Questa profonda connessione tra la verginità e il sacerdozio in Cristo si riflette in quelli che hanno la sorte di partecipare alla dignità e alla missione del Mediatore e Sacerdote eterno, e tale partecipazione sarà tanto più perfetta, quanto più il sacro ministro sarà libero da vincoli di carne e di sangue”.
Da tutto ciò si deve concludere che la disciplina bimillenaria del celibato ecclesiastico non è solo una disciplina ecclesiale, ma una disciplina basata sul Mistero di Cristo.
Ci si chiede allora: a quale principio teologico-dogmatico monsignor Scicluna si appella per proporre il cambiamento di questa disciplina bimillenaria, basata sulla volontà di Cristo e sull’insegnamento degli Apostoli? Purtroppo in base a quanto afferma si deduce che l’unico principio che egli utilizza è di carattere sociologico: evitare gli scandali. Ma se questo criterio fosse davvero un criterio teologico, si arriverebbe ben presto all’eliminazione di gran parte dei dieci comandamenti e particolarmente del sesto. La sociologia non è la strada che la teologia deve seguire per capire il mistero di Cristo.
Una discussione così delicata può svolgersi solo nel contesto della fede, non in un contesto secolarizzato. Solo alla luce della fede il celibato per il Regno può avere significato ed essere liberamente abbracciato. Al di fuori di una prospettiva basata sulla fede, apparirà sempre e solo una norma incomprensibile o addirittura una repressione insensata.
Allora bisogna chiedersi: qual è la funzione di monsignor Scicluna come segretario aggiunto del Dicastero per la dottrina della fede? Non tocca forse a lui ricordare a tutti i vescovi della Chiesa cattolica che la disciplina bimillenaria del celibato ecclesiastico si basa sulla persona stessa di Gesù Cristo, sommo ed Eterno Sacerdote, unico Mediatore tra Dio e gli uomini? E se non lo ricorda lui, chi lo deve ricordare nel Dicastero per la dottrina della fede?
Certamente non è stata una grande idea aver concesso l’intervista con quei contenuti e averlo fatto da segretario aggiunto del Dicastero. Le sue affermazioni non sono segno di limpidezza e di coraggio, ma solo di gravissima imprudenza. Basti pensare al danno enorme che queste sue parole hanno provocato e stanno provocando nei sacerdoti incerti e nei seminaristi. Se monsignor Scicluna voleva davvero far conoscere al vasto pubblico i suoi dubbi sul celibato ecclesiastico, sarebbe stato molto più opportuno che si fosse prima dimesso dal suo prestigioso ufficio, e avesse poi parlato a titolo personale senza compromettere l’autorità del Dicastero.