Santi e animali / 4. Gerasimo e il leone

di Michela Di Mieri

San Gerasimo, anacoreta del V secolo, dopo aver abbracciato l’eresia monofisita, tornò alla fede ortodossa e si stabilì a Gerico, sulle rive del Giordano, dove fondò una lavra, un monastero per cenobiti, che constava di settanta cellette. La sua Regola, ispirata all’ascetismo dei Padri del deserto, era molto dura ed egli stesso, in Quaresima, si nutriva della sola Eucarestia quotidiana. L’episodio che lo vede protagonista in questa favola vera viene riportato dall’opera Prato spirituale, del monaco bizantino Giovanni Mosco, che raccoglie trecentocinquanta aneddoti sui monaci del deserto del Vicino e Medio Oriente. L’antica lavra di San Gerasimo, nella quale morì il fondatore nel 479, è stata abbandonata nel XIII secolo in seguito alle invasioni saracene e persiane. Al suo posto, è stato fondato, in seguito, il monastero greco ortodosso di San Gerasimo, a Gerico. All’ingresso si viene accolti da due leoni in pietra, e all’interno vivono più di cento animali, tra cavalli, asini, capre, galline, cani, gatti, e anche un pavone.

*

Gerasimo era chino sulla riva del fiume, il secchio immerso nell’acqua fresca e limpida, quando, all’improvviso, un profondo ruggito squarciò la nenia del fiume e del cinguettio degli uccellini. Sobbalzando, si girò di scatto, impallidendo per il terrore: un leone, ruggente e come folle a vedersi, stava camminando verso di lui. Non c’era nessuno, intorno, solo lui e la belva, lungo le rive del Giordano, dove l’eremita si era recato per attingere acqua per la lavra. Le due creature si fissarono occhi negli occhi, quelli spaventati dell’uomo, quelli furiosi della bestia. Mentre il leone si avvicinava, Gerasimo si accorse che l’animale zoppicava: ogni volta che tentava di appoggiare la zampa a terra, usciva dalla sua bocca un ruggito, più uno spasimo di dolore che una minaccia. La fiera arrivò a un passo dall’eremita, che poteva sentire il suo respiro affannoso e ansante. Ma invece di balzargli addosso per dilaniarlo, si sedette di fronte a lui, sollevando, con un ruggito, l’enorme zampa dolorante. L’uomo di Dio, mosso a compassione, alzò gli occhi al cielo, si fece tre volte il segno della croce, alla maniera dei cristiani d’Oriente, chiedendo allo Spirito Santo, che parla tutte le lingue delle genti e degli animali, di sostenerlo, quindi prese la zampa tra le mani e vide che un’enorme spina si era conficcata tra i polpastrelli, lacerando la carne. Con delicatezza e lentamente sfilò la spina, poi lavò la ferita con l’acqua del fiume e fasciò la zampa con un lembo del suo saio. “Ecco, leone, ora non avrai più male”, disse Gerasimo mentre si alzava, lui per primo ancora incredulo. “Ti saluto e, se tornerai da queste parti, per favore, non spaventare più me o i miei confratelli”.
Mentre camminava verso la lavra, rimuginando sull’accaduto, si avvide che il leone lo seguiva. Lui si fermava ed ecco, anche l’animale si bloccava. Riprendeva il cammino, e anche il felino si muoveva. Il sempre più incredulo Gerasimo tentò in tutti i modi di dissuadere il leone dal seguirlo. Non poteva certo portare in un cenobio, e per giunta pieno di animali domestici, un leone! Ma, nonostante le sue rimostranze, l’animale non sembrava minimamente intenzionato ad andarsene: a ogni suo invito, abbassava l’enorme testone, guardandolo dal basso e borbottando sommessamente, e poi si metteva a masticare ciuffi d’erba che trovava lungo il sentiero. E così Gerasimo capì: la belva feroce, il re dei predatori, la bestia che ogni altra creatura temeva, gli stava dicendo che non avrebbe fatto del male né agli uomini né agli animali. E, davanti all’ennesimo prodigio di quell’incredibile pomeriggio, l’uomo di Dio non poté fare altro che accettare la volontà del Cielo, la quale, tramite quel leone, aveva deciso di dare gloria a quell’uomo che passava la sua esistenza a dare gloria al Padre di ogni creatura, concedendogli il privilegio, che era stato di Adamo prima del peccato originale, di vivere in armonia e concordia con tutti i viventi della terra.
Immaginate lo scompiglio che si produsse quando gli altri eremiti videro il padre che rientrava accompagnato da un leone! Gerasimo dovette faticare non poco per calmare i suoi confratelli e tranquillizzarli sulla metamorfosi del leone. Ma furono gli altri animali della lavra, e ve n’erano molti, che, con il oro comportamento, riuscirono ad avere ragione del timore e dell’incredulità degli eremiti. Infatti tutti loro, dai gatti ai cavalli, dalle pecore alle oche, per nulla spaventati dalla presenza del re della foresta, seguitarono a fare quello che facevano prima: chi sonnecchiava, chi mangiava, chi si guardava intorno, chi, come i cani, gli si avvicinava, per annusarlo. E il leone non solo non accennò ad attaccare nessuno di loro, ma rimase tranquillo accucciato di fianco a Gerasimo, guardando con aria sorniona tutte quelle creature che gli si muovevano attorno.
E così il leone, che venne chiamato Giordano, fu accolto nella lavra e gli fu affidato il ruolo di guardiano degli animali domestici: avrebbe dovuto difenderli dagli attacchi dei predatori, molto numerosi e sempre pronti agli assalti, specie alla notte o quando gli asini andavano al fiume per caricare l’acqua.
Sembrava che Giordano fosse nato per quello. Svolgeva il suo compito di buon grado con impegno e attenzione, e tutti erano contenti. Dal suo arrivo, come per incanto, nessun predatore si arrischiò ad avvicinarsi agli animali! Alla sera, quando Gerasimo si ritirava nella celletta ricavata in una grotta, Giordano si accucciava al suo ingresso, e lì rimaneva fino a che non scendeva la notte, quindi si alzava e tornava in mezzo agli altri animali.
Un giorno, al fiume, uno degli asini si allontanò senza che Giordano se ne accorgesse e fu rapito da alcuni predoni che stavano passando proprio da quelle parti. Quando fecero ritorno alla lavra, Gerasimo vide che mancava un asino e credette che Giordano avesse ceduto alla sua vecchia natura e l’avesse divorato. Allora, sgridò aspramente il povero leone, che se ne stava tutto mesto avvoltolato sotto la sua criniera, ruggendo quasi tra sé e sé, e gli disse che, da quel momento, avrebbe lui solo portato i secchi dell’acqua al monastero, come punizione. L’uomo di Dio, però, non si dava pace: com’era possibile che l’Onnipotente avesse operato su quella fiera un tanto grande mutamento e che esso, d’un tratto, fosse venuto meno? E poi: era dunque pericoloso, nonostante l’affezione reciproca, continuare a tenere con loro Giordano?
La risposta ai dilemmi del buon eremita giunse qualche tempo dopo.
Un pomeriggio, mentre Giordano era al fiume, si accorse che stavano avvicinandosi gli stessi predoni che avevano rubato l’asino; con loro, oltre all’asino, c’erano anche tre cammelli. Senza indugiare un istante, ruggendo vigorosamente e scuotendo la fluida criniera dorata, si lanciò sugli uomini, che scapparono a gambe levate, abbandonando mercanzie e animali. Giordano, tutto contento, ritornò alla lavra portando con sé l’asino e i cammelli e andò dritto da Gerasimo, muovendo la coda con ampi sventolii. L’eremita capì immediatamente il suo errore e, abbracciando Giordano, pieno di gioia, gli chiese sinceramente scusa e si pentì per aver dubitato della potenza di Dio.
Da quella sera, e per i successivi cinque anni, nulla turbò l’armonia e l’amicizia tra Gerasimo e Giordano.
Arrivò, però, il giorno che aspetta tutti i viventi. Un mattino, mentre gli animali erano già al fiume, il sant’uomo, assorto in preghiera, passò dalla pace della sua mente a quella della sua anima, che volò in alto, nel cielo, lasciando sulla terra soltanto il suo corpo vecchio e stanco. I suoi confratelli lo trovarono in ginocchio, con la testa appoggiata alla parete di fianco all’icona del Cristo; subito, celebrarono per lui la liturgia funebre e lo seppellirono nella nuda terra nei pressi della lavra.
Verso sera Giordano, come sua abitudine, si mise a cercarlo, ma, non trovandolo, iniziò ad agitarsi e a ruggire angosciosamente, andando ora da uno, ora dall’altro eremita, come per chiedere ragione di quella strana assenza. Allora, un giovane confratello lo accompagnò dove avevano seppellito Gerasimo e gli disse: “Ecco, Giordano, vedi? Gerasimo riposa qui”. Il leone dapprima si aggirò con circospezione attorno al tumulo, poi vi salì sopra e iniziò ad annusare, piantando le narici bene aperte nel terreno, quasi a voler essere sicuro di quello che l’olfatto gli comunicava. Convintosi che Gerasimo era morto davvero, si fermò impietrito, quindi sbatté violentemente la testa sulla terra, ruggì disperatamente e si accasciò sul tumulo. Da quel momento, non si mosse più da lì e non volle più mangiare né bere nulla, per quanto gli eremiti si industriassero in ogni modo per consolarlo e convincerlo a nutrirsi. Dopo qualche giorno, il respiro ormai debole di Giordano si fermò per l’inedia, e gli occhi del leone si chiusero per sempre.
Gli eremiti scavarono una fossa a fianco di quella di Gerasimo e ve lo deposero dentro.

In quel momento, chi avesse sollevato lo sguardo al cielo avrebbe visto una strana nube a forma di leone che ne raggiungeva velocemente un’altra, che ricordava un uomo con un bastone e dalla lunga barba.

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Le precedenti puntate:

Don Bosco e il Grigio

San Benedetto e il corvo

Romedio e l’orso

 

 

 

 

 

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