di Julio Loredo de Izcue
È noto che il primo paese a implementare l’aborto fu la Russia sovietica. Nell’ottobre del 1920, i bolscevichi resero legale l’aborto all’interno dell’allora Repubblica socialista federativa sovietica russa, con il “Decreto sull’assistenza sanitaria delle donne” (richiamo la vostra attenzione sul fatto che, già allora, l’aborto era presentato come un problema di salute delle donne). Nel luglio del 1921 fu introdotto l’aborto in Ucraina, e poi nel resto del vasto territorio che nel dicembre del 1922 divenne l’Unione Sovietica.
Con la diffusione del comunismo si diffuse anche l’aborto. Gli studiosi hanno coniato l’espressione “cultura dell’aborto” per descrivere la situazione nei paesi comunisti. Uno studio pubblicato dall’Università del Minnesota, e giustamente intitolato L’aborto è comunismo, dice:
Cultura dell’aborto è un termine applicato ai paesi comunisti e post-comunisti in cui l’aborto è considerato diffuso. È un termine usato per descrivere luoghi in cui l’aborto non è visto come l’ultima risorsa, ma come un metodo quotidiano di controllo della gravidanza. [1]
La domanda sorge spontanea: la rivoluzione sovietica non doveva essere un movimento politico? Cosa c’entra l’aborto con il comunismo? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo approfondire brevemente la dottrina comunista.
Nel libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Friedrich Engels spiega che la radice di tutti i mali fu l’emergere della coscienza individualistica: l’idea di “io”, “me” e quindi “mio”. Questo ha lasciato il posto alla proprietà privata delle donne e dei bambini, cioè alla famiglia. Poi alla proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè al capitalismo. E, infine, alla proprietà privata dell’autorità, cioè allo Stato.
Così, la famiglia, la proprietà privata e lo Stato condividono un’origine comune, malvagia.
Engels affermò che il comunismo non sarebbe stato pienamente attuato fino a quando non fosse stata abolita l’idea antiquata di famiglia basata sulla consanguineità. Propose quindi relazioni promiscue che includevano l’incesto.
Quando, nel Manifesto del Partito comunista, Marx ed Engels affermano che “la teoria dei comunisti può essere riassunta in una sola frase: abolizione della proprietà privata”, non si riferiscono solo alla proprietà borghese dei mezzi di produzione, ma all’abolizione dell’idea stessa di proprietà, per cancellare il problema alla radice. Ciò sarebbe stato ottenuto attraverso lo sviluppo di una coscienza collettivistica, che avrebbe portato l’umanità al suo stadio finale di evoluzione: il socialismo avanzato o di stato superiore. Questo è chiaramente utopico, dal momento che l’idea di “io” è radicata nella natura umana.
Come abbiamo visto, il primo ambito in cui è sorta la coscienza individualistica è stato quello della famiglia. La sua abolizione è, quindi, una caratteristica essenziale della dottrina e della strategia comunista.
Quando, nel 1917, i bolscevichi presero il potere in Russia sotto l’egida di Vladimir Illich Ulianov, si assunsero immediatamente il compito. Questo è l’inizio della moderna rivoluzione sessuale, e fu dovuto principalmente all’influenza del commissario del popolo Aleksandra Michajlovna Kollontaj, che credeva che la famiglia fosse l’origine di tutte le oppressioni e, di conseguenza, dovesse essere abolita. È considerata una pioniera della liberazione delle donne e dell’aborto.
Nel dicembre 1917, la Russia sovietica fu il primo paese nella storia moderna a introdurre il divorzio senza colpa.
Nello stesso mese, Lenin abolì il codice legale della Russia zarista, depenalizzando così l’omosessualità. La legalizzazione dell’omosessualità fu poi confermata nel codice penale del 1922. In effetti, Lenin incluse nel suo governo alcuni omosessuali noti.
Nel 1922, la Russia sovietica legalizzò l’eutanasia.
Nell’ottobre del 1920, come abbiamo visto, con il “Decreto sull’assistenza sanitaria alle donne”, la Russia sovietica divenne il primo governo in Europa a legalizzare l’aborto su richiesta. Il governo lanciò quindi una massiccia campagna di propaganda al fine di “educare” le donne ai loro “diritti riproduttivi”.
Sì, cari amici, Margaret Sanger non ha coniato questa espressione. La prese in prestito dalla Russia sovietica, che visitò nel 1935. Di ritorno da questo viaggio, Sanger scrisse:
La Russia oggi è il paese della donna liberata. L’atteggiamento della Russia sovietica nei confronti delle sue donne… delizierebbe il cuore della femminista più convinta. [2]
Sanger elogiava il fatto che i sovietici distribuissero dispositivi contraccettivi gratuiti alle donne. Criticava, tuttavia, l’uso sovietico dell’aborto come mezzo di controllo di massa della popolazione. Non si opponeva all’aborto, naturalmente, ma pensava che i sovietici lo usassero un po’ troppo frequentemente.
Quindi, al di là degli aspetti sociali, politici ed economici, il comunismo riguarda un cambiamento di mentalità, che deve iniziare con l’abolizione dell’istinto materno.
Perché la Rivoluzione trionfi abbiamo bisogno delle donne – diceva Lenin – E l’unico modo per averle è toglierle dalle loro case. Dobbiamo distruggere l’istinto materno individualistico. Una donna che ama i suoi figli non è altro che una cagna. [3]
Scusate la ruvidezza del linguaggio, ma questa è la citazione letterale. Nella visione di Lenin, la pratica dell’aborto significava che le donne stavano perdendo il loro istinto materno e, quindi, stavano diventando più socialiste.
Qualcuno potrebbe obiettare: il comunismo è finito, m morto con la caduta dell’Unione Sovietica e lo sgretolamento della cortina di ferro, quindi lei sta parlando di storia antica…
Un tale obiettore ignora che cosa sia il comunismo. Il comunismo sovietico proprio come ha avuto dei precursori ha anche prodotto una prole. Già negli anni Venti del secolo scorso i marxisti lungimiranti cominciarono a esplorare i passi successivi del processo rivoluzionario, inquadrando ciò che oggi chiamiamo “Marxismo culturale” o “Rivoluzione culturale”. Permettetemi di menzionare due scuole.
Una fu avviata da Antonio Gramsci, co-fondatore del Partito comunista italiano. Superando la vecchia idea marxista di egemonia economica, da cui deriva l’egemonia politica e sociale, studiò il concetto di egemonia culturale, molto più profondo e insidioso. L’egemonia culturale abbraccia realtà ampie quanto il concetto stesso di cultura.
In questo senso la forma di un’automobile, uno stile architettonico, la moda femminile o una musica popolare, nella misura in cui riflettono implicitamente un certo sistema di valori, e trasmettono implicitamente un certo spirito, possono servire come veicoli per un’ideologia, cioè come strumenti di rivoluzione culturale.
Rovesciando la concezione leninista di una rivoluzione proletaria che, quindi, utilizza i poteri dello Stato per sovvertire la cultura, Gramsci propone di infiltrarsi e sovvertire prima la cultura, per cambiarne le mentalità. In particolare suggerisce di infiltrarsi nei media, nelle arti e nell’istruzione.
“Rivoluzione culturale – scrive il pensatore marxista francese Pierre Fougeyrollas – significa una rivoluzione nel nostro modo di sentire, di agire e di pensare, una rivoluzione nel nostro modo di vivere, è una rivoluzione di tutta la nostra civiltà”. [4]
Tornerò su questo punto.
Poi c’è la Scuola di Francoforte, nome dato genericamente ai membri dell’Institut für Sozialforschung dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte, in Germania. La maggior parte di loro si trasferì prima in Francia, poi negli Stati Uniti. Hanno esplorato le nuove frontiere della Rivoluzione, come ad esempio la manipolazione del linguaggio e dell’architettura per infondere uno spirito rivoluzionario. Percepirono anche il grande potenziale rivoluzionario della rivoluzione sessuale, allora nelle sue fasi iniziali.
La Scuola di Francoforte fece ampio uso del freudismo per esplorare i mezzi per “liberare” le persone dalle “oppressioni” imposte dalla morale e dalle istituzioni, in primis la famiglia. Da qui la corrente nota come “marxismo freudiano”, che è la filosofia che sta dietro l’esplosione degli anni Sessanta.
Secondo Freud, l’uomo ha istinti di base inconsci – il cosiddetto Es – che comprendono Eros – la sensualità – e Thanatos – il senso della morte. Questo è il suo vero sé, la sua vera personalità. Per costruire la civiltà, però, l’uomo ha dovuto reprimere i suoi istinti fondamentali. Di conseguenza ha generato un Super-ego repressivo. La repressione porta alla nevrosi, poiché l’uomo sarebbe soggetto a un conflitto costante tra i suoi istinti fondamentali e le esigenze della civiltà. La civiltà moderna si baserebbe quindi sulla nevrosi; sarebbe una “società malata”, per usare l’espressione di Eric Fromm.
Il primo luogo in cui viene attuata la repressione è la famiglia. Secondo Freud, il padre è l’incarnazione stessa del Super-ego repressivo. Come lo sono tutti coloro che detengono l’autorità nella società: insegnanti, proprietari, leader politici e così via, che Freud chiama i “sacerdoti” della società. Dobbiamo farla finita con il “patriarcalismo”. Imporre leggi pro-vita, ad esempio, sarebbe un atto di patriarcalismo, perché opprimono le donne, che non sono più libere di mettere in atto il loro Eros.
Il Super-ego repressivo raggiunge la sua massima espressione nella religione, che crea l’idea di un Dio trascendentale per giustificare tutte le regole e le leggi. La religione sarebbe un focolaio di nevrosi. Dio sarebbe l’origine di ogni nevrosi, il “Padre” ultimo che sostiene e giustifica tutti i “padri” della società.
Di qui l’avversione della sinistra per la religione in generale, e per il cristianesimo in particolare. Si tratta di un rifiuto profondamente radicato che nasce dal nucleo stesso della sua ideologia.
Per risolvere la sua nevrosi, e permettere così al suo vero io di emergere, l’uomo deve liberare i suoi istinti. Come ho detto, i marxisti freudiani compresero l’enorme potenziale della rivoluzione sessuale allora nelle sue fasi iniziali. Nel 1936, Wilhelm Reich pubblicò il suo famoso libro La sessualità nella guerra culturale. Sulla ristrutturazione socialista dell’uomo, in seguito chiamata La rivoluzione sessuale.
Giustamente, Wilhelm Reich inizia la sua analisi della rivoluzione sessuale con gli sviluppi nella Russia sovietica, che poi propone per il resto del mondo, utilizzando un approccio freudiano. Reich identifica cinque aree in cui la repressione borghese è visibile:
– il matrimonio monogamo per tutta la vita;
– la soppressione della sessualità infantile;
– la mancanza di libertà sessuale per gli adolescenti;
– la persecuzione dell’omosessualità;
– l’illegalità dell’aborto.
Per passare da questo a una vera e propria liberazione sessuale, dobbiamo cambiare le nostre strutture mentali e distruggere le nostre inibizioni morali. Dobbiamo anche sbarazzarci di ogni struttura che perpetui queste repressioni che producono nevrosi. La prima a finire in malora è la famiglia. “Rifiuto l’istituzione familiare in quanto tale”, dice Reich. Poi dobbiamo farla finita con tutte le istituzioni dello “Stato autoritario” che perpetuano il “patriarcalismo”. Dobbiamo anche farla finita con qualsiasi credo religioso [5].
Alla fine, come propone Herbert Marcuse in Eros e civiltà, dobbiamo farla finita con l’idea stessa di civiltà. Sostenendo che “la civiltà si basa sulla sottomissione permanente degli istinti umani”, egli propone di avanzare verso una “società non repressiva”. Naturalmente, il cammino verso questa società non repressiva passa attraverso la legalizzazione dell’aborto come mezzo per “liberare” la vita sessuale.
Separando il sesso dalla procreazione, la contraccezione apre la strada alla liberazione sessuale. L’aborto risolve a posteriori qualsiasi “problema” che possa essere apparso.
Questo è il motivo per cui l’aborto è in cima a tutti i programmi della sinistra, come parte del loro sforzo generale per distruggere la civiltà occidentale. Lo scorso settembre, ad esempio, il Partito socialista francese ha ospitato a Parigi la Giornata internazionale del diritto all’aborto. “Noi socialisti siamo in prima linea nella promozione dell’aborto”, hanno concluso.[6]
E così giungo alla fine della mia lezione, dopo aver mostrato come l’aborto sia uno strumento marxista nel contesto della rivoluzione culturale e sessuale.
Quindi, cari amici della vita. Sì, stiamo salvando bambini. Sì, stiamo difendendo la vita innocente dalle insidie della “cultura della morte”, come la chiamava papa Giovanni Paolo II. Più in generale, siamo impegnati in una guerra spirituale e intellettuale a tutto campo in difesa della religione e della civiltà.
Permettetemi di concludere con il famoso grido di guerra di santa Giovanna d’Arco: “Bisogna dare battaglia perché Dio doni la vittoria!”
Note
[1] Heather Nicole Bradford, L’aborto è comunismo: una genealogia della “cultura dell’aborto”, Minnesota State University – Mankato, 2015, p. 62.
[2] In “Margaret Sanger”, Classical Storian, 18/03/2021.
[3] Citato in Leonel Franca, SJ, O divorzio, Editora ABC, Rio de Janeiro, 1937, p. 187.
[4] Pierre Fougeyrollas, Marx, Freud e la rivoluzione totale, Anthropos, Parigi, 1972, p. 402.
[5] Prendo la maggior parte di questi spunti dall’introduzione di Boris Fraenkel all’edizione italiana: Wilhelm Reich, La rivoluzione sessuale, Erre Emme, Roma 1992.
Fonte: atfp.it
Relazione presentata nel congresso internazionale 40 Days for Life, Roma, 3 febbraio 2024
Nella foto (lenta.ru) manifestazione di femministe e attiviste di sinistra in difesa del “diritto all’aborto”