di Vincenzo Rizza
Caro Valli,
segnalo l’articolo di Andrea Tornielli su Vatican News intitolato “Fiducia supplicans”, benedizioni non liturgiche e quella distinzione di Ratzinger [qui].
Dopo settimane di ricerche, finalmente è stata trovata la prova regina che smentisce i critici di Fiducia supplicans. Prepariamoci a chiedere ammenda e a riabilitare il neo prefetto per la dottrina della fede e il pontefice che hanno il primo redatto e il secondo approvato un documento che in realtà sarebbe in continuità con il precedente magistero.
Quale sarebbe il magistero precedente? Un’istruzione dell’anno 2000, pubblicata dall’allora Congregazione per la dottrina della fede, firmata dal cardinale Joseph Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II avente ad oggetto “le preghiere per ottenere da Dio la guarigione” [qui].
Dalle citazioni contenute in quel documento, infatti,
si evince come il significato del termine “liturgico” utilizzato in Fiducia supplicans per definire le benedizioni rituali, diverse da quelle pastorali, rappresenti certamente uno sviluppo ma che si inserisce nell’alveo del magistero degli ultimi decenni.
Come se il problema consistesse nella semplice distinzione tra benedizioni liturgiche e benedizioni pastorali e non nella circostanza che la benedizione della coppia omosessuale o irregolare implica il “dire bene” di una situazione condannata dalla dottrina bimillenaria della Chiesa.
Tornielli è evidentemente consapevole del quadruplo salto mortale che è costretto a compiere e pertanto deve ammettere che Fiducia supplicans non è pienamente in continuità ma rappresenta “uno sviluppo” del magistero precedente. Non è dato comprendere, tuttavia, quali sono i passaggi logici, prima ancora che teologici, che consentono questo “sviluppo”: un conto è consentire (peraltro con stringenti limiti) celebrazioni (e non benedizioni) pastorali con preghiere che invocano la guarigione (questo è l’oggetto del documento del 2000), un conto è consentire la benedizione delle “coppie” omosessuali e irregolari che inevitabilmente (nonostante i contorsionismi linguistici) non può che comportare la benedizione innanzitutto dell’unione.
La logica e la coerenza, tuttavia, sembrano bandite dal nuovo magistero, che ha fatto dell’ambiguità il proprio vessillo.