di don Claude Barthe
Papa Francesco ha portato il Vaticano II al suo apice. Per essere più precisi, ha portato l’insegnamento morale, che era rimasto relativamente saldo, al livello dell’insegnamento ecumenico uscito dall’ultimo concilio. Si è spinto troppo in là in quest’impresa? In ogni caso Fiducia supplicans ha aperto una vera e propria crisi di legittimità: abbiamo visto interi episcopati (Africa, Ungheria) rifiutarsi di applicarla.
Diversi segnali mostrano come il partito bergogliano sia in stato di grande agitazione e che le consultazioni al suo interno si siano moltiplicate dopo la dichiarazione del 18 dicembre 2023 del Dicastero per la dottrina della fede, che ha reso possibile la benedizione delle coppie irregolari e delle coppie dello stesso sesso, dichiarazione che gli strateghi progressisti considerano come un errore tattico, quello di un uomo impulsivo, ancor più impaziente avendo ormai il tempo contato.
Al contrario, sul fronte conservatore, si ritiene che questa crisi apra nuove prospettive. Tuttavia, non è possibile sperare in qualcosa di più di un certo riposizionamento al centro, poiché l’orizzonte resta quello di un conclave, in cui 95 cardinali, cioè decisamente più dei 2/3 degli elettori, sono stati nominati da Francesco. Se ci si attiene alle due categorie, formulate da Benedetto XVI nel 2005, per coloro che accettano il Vaticano II, «l’ermeneutica della riforma nella continuità» e «l’ermeneutica della rottura», e se si considera che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno rappresentato la prima e Francesco la seconda, un ritorno alla linea Wojtyla/Ratzinger pare inconcepibile dopo Francesco. Tale ritorno, inoltre, non risolverebbe più di quanto non abbia potuto risolvere ieri [1].
Il bilancio di un pontificato
Naturalmente quando si tratta di elezioni nella Cappella Sistina le questioni in gioco son sempre più complicate di una semplice scelta ideologica binaria. Ad esempio, nel 2005, il cardinale Ratzinger non era stato scelto solamente come una sorta di super wojtyliano, in grado di far risalire le cifre delle vocazioni, ma anche perché favorevole a un risanamento morale del clero, e forse anche, paradossalmente, perché si prevedeva ch’egli insistesse meno del suo predecessore circa l’insegnamento dell’Humanæ vitæ. La geopolitica gioca un ruolo, più o meno inconsapevole, sui conclavi? Il 2005 è stato il momento in cui la Germania del dopoguerra, quindici anni dopo aver assorbito la Repubblica democratica tedesca, è arrivata all’apice della sua potenza.
Eppure il pontificato ratzingeriano è fallito. Oltre all’impossibilità di ricostituire l’unità della Chiesa attorno all’«ermeneutica di riforma nella continuità», non ha potuto imporsi nemmeno a Roma: di fronte a un’opposizione continua e determinata, Benedetto XVI, poco incline ad agire d’autorità, non osando ricorrere sistematicamente all’arma totale dei papi, quella delle nomine curiali ed episcopali, si è dimesso dopo meno di otto anni di pontificato. Per cui nel 2013 si è cercato l’uomo forte. E lo si è trovato! Vescovo dal 1992, Jorge Bergoglio era, in realtà, un personaggio dai due volti: quello del peronista, anticomunista e dunque ostile alla forma marxista della prima teologia della liberazione; e quello del fautore di una certa teologia della liberazione che, dopo la caduta del muro di Berlino, ha operato verso una liberalizzazione della costituzione della Chiesa, alla fine della sua rigidità morale e alla promozione di una teologica ecologica. Questo secondo aspetto gli permise di divenire, fin dal conclave del 2005 in cui era arrivato secondo, il candidato sulla linea del cardinal Martini (benché questi lo apprezzasse poco). Il cardinale «Janus» ha potuto contare così nel 2013 su tutti i voti progressisti e ricevere anche quelli di numerosi conservatori.
Nel 1999, mentre il pontificato di Giovanni Paolo II entrava nella sua ultima fase, al sinodo dei vescovi europei il cardinal Martini, arcivescovo di Milano, sviluppò con un discorso che non passò inosservato un vero e proprio programma di pontificato. Non avrebbe più potuto applicarlo a sé stesso, poiché il morbo di Parkinson lo stava mettendo fuori gioco. In questa sorta di professione di fede, che iniziava con le parole «Ho fatto un sogno» [2], Martini elencò i «nodi da risolvere»:
- Il nodo della «drammatica carenza di ministri ordinati» (in altre parole, conveniva ordinare eventualmente uomini sposati);
- Il nodo dell’insufficiente «posto delle donne nella Chiesa» (dando loro accesso a diversi «ministeri»);
- Il nodo dei problemi afferenti alla sfera della «sessualità» (tacendo di Humanæ Vitæ e del conseguente insegnamento morale [3]);
- Il nodo della «disciplina del matrimonio» (consentire ai divorziati «risposati» di accedere all’eucaristia, richiesta ricorrente all’epoca).
Dopo la sua elezione nel 2013, il gesuita di Buenos Aires ha applicato il programma del gesuita di Milano, di cui l’essenziale, va sottolineato, consisteva in una liberalizzazione della morale. Uno dei tre testi che hanno caratterizzato il pontificato bergogliano rimarrà Amoris lætitia, mentre l’altro è Traditionis custodes per bloccare la dinamica di un ritorno preconciliare, aperto di fatto da Summorum pontificum. E poiché il mondo contemporaneo non cessa di avanzare nel nichilismo denunciato da Benedetto XVI, che il cattolicesimo liberale conciliare non può che assecondare, la dichiarazione Fiducia supplicans doveva essere il tocco finale, quello di una concessione sotto forma di «misericordia» verso l’ideologia LGBT. È possibile d’ora in avanti benedire in nome di Cristo questa negazione suicida della natura e della società [4]. In realtà, come si sa, è in occasione dei «matrimoni» omosessuali che vengono richieste le benedizioni.
Ciò ha portato nel collegio cardinalizio a una situazione d’incertezza. Una riunione organizzata con discrezione dall’Austin Institute for the Study of Family and Culture, con sede in Texas, si è svolta dal 26 al 28 settembre scorsi a Praga, per parlare dell’«ideologia di genere». Tra i partecipanti c’erano in particolare i cardinali Do Carmo da Silva, arcivescovo di Dili, a Timor Est, Oswald Gracias, arcivescovo di Agra (India), Patrick D’Rozario di Dacca, William Goh, arcivescovo di Singapore, Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, Dominik Duka, arcivescovo emerito di Praga, Willem Ejik di Utrecht e anche monsignor Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco, quattro dei quali – Virgilio do Carmo da Silva, Oswald Gracias, William Goh Seng Chye, Willem Ejik – sono oggi cardinali elettori.
Possiamo immaginare l’unione tra i cardinali indignati dal documento del Dicastero per la dottrina della fede e i conservatori classici. È possibile dunque immaginare con loro l’elezione di un papa che difenda un solido insegnamento morale? Senza dubbio, no. Tuttavia, è assolutamente possibile ipotizzare che questo stesso gruppo di cardinali possa impedire l’elezione di un cardinale apertamente «progressista» (a oggi, ne basterebbero 45).
A ciò si aggiunge il fatto che, se l’elezione del 2013 è stata in parte una reazione alla mancanza d’autorità di cui ha sofferto la Chiesa romana sotto Benedetto XVI, il prossimo conclave sarà inevitabilmente teatro di un rifiuto dell’eccesso di autorità creato da un papa dallo stile caotico e imprevedibile, che nessuna regola scritta o non scritta può fermare (si veda il modo sbalorditivo in cui è stato condotto il processo contro il cardinale Becciu, che, indipendentemente dalle colpe di quest’ultimo, si destreggiava tra somme di denaro favolose in nome della Santa Sede).
Il cardinale José Tolentino Mendonça, un falso centrista
La strada sembra dunque aperta agli uomini del compromesso o che si presentino come tali.
Il cardinale Parolin, segretario di Stato, come abbiamo detto [5], ci sta provando. Con più duttilità, lo fa anche il cardinal Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, sostenuto dalle potenti reti della Comunità di Sant’Egidio. È stato delegato dal papa di esplorare la possibilità di un negoziato di pace in Ucraina ed è riuscito a far sì che la Conferenza episcopale italiana non precipitasse come quella francese nella trappola tesa dai toni virulenti delle campagne contro gli abusi sessuali. D’altra parte, non teme di prestarsi a celebrazioni in rito antico, spiegando ogni volta il motivo: «C’è posto per tutti nella Chiesa», segnali rivolti in direzione dei cardinali conservatori.
Tuttavia lui ha approvato Fiducia supplicans davanti alla Cei, e lo ha fatto allineandosi abilmente all’approvazione del cardinale Betori, arcivescovo di Firenze, considerato un conservatore [6]. Un’approvazione, questa, che potrebbe costargli cara.
E poi avanza un altro papabile, che si vorrebbe far passare come un compromesso, di cui abbiamo già parlato riportando l’opinione del Catholic Herald, secondo cui il cardinale José Tolentino de Mendonça, colto, cortese, sarebbe «il tipo di figura recepibile da tutte le fazioni e capace di attrarre ampio sostegno tra di esse» [7]. In realtà, il cardinale de Mendonça, 58 anni, è un falso centrista. Portoghese di Madeira, biblista, terziario domenicano, divenuto archivista e bibliotecario della Chiesa romana nel 2018, nello stesso anno è stato invitato a predicare il ritiro quaresimale della Curia e nello stesso anno,è stato creato cardinale. Nominato nel settembre 2022, sull’onda della riforma della Curia, prefetto di un grande Dicastero, quello per la cultura e l’educazione, egli è succeduto tanto al cardinal Ravasi, che era prefetto del Pontificio consiglio per la cultura, quanto al cardinal Versaldi, che era prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica.
È autore di poesie, teatro, saggi, preghiere, opera che gli è valsa una serie di premi letterari. Alquanto in sintonia con le élites al potere, è stato designato nel 2019 personaggio portoghese dell’anno dal settimanale Expresso. Non gli verrebbe in mente, nemmeno per motivi politici, di compromettersi con i tradizionalisti: «Oggi vediamo papa Francesco contestato dall’ala più conservatrice della Chiesa e da alcuni nomi importanti, anche di cardinali, che in qualche modo sono pronti a porre il tradizionalismo al di sopra della tradizione [8]».
Invece José Tolentino Mendonça è aperto ad «accogliere tutti». In un’intervista concessa a Renascença, sopra citata, egli esalta Amoris lætitia: «Viviamo in mezzo alla città, in questo spazio pieno di frontiere, pieno di muri invisibili e di blocchi esistenziali […]. Sia che si tratti di cristiani risposati, feriti da esperienze coniugali naufragate o dalla realtà delle nuove famiglie, sia che si tratti di omosessuali, essi devono trovare nella Chiesa un luogo di ascolto, di accoglienza e di misericordia». Ha scritto la prefazione a La théologie féministe dans l’histoire [9], libro della sua amica suor Teresa Forcades, femminista e benedettina di Montserrat. Il cardinale sii colloca sulla stessa lunghezza d’onda di questa donna, che gira il mondo e lavora «per un’inclusione piena dell’omosessualità nella Chiesa».
Il Dicastero per la cultura e l’educazione viene chiaramente concepito come un trampolino. Senza parlare della capacità d’influenza esercitata dalla Comunità di Sant’Egidio, nel caso l’ipotesi Zuppi non dovesse far presa. A Sant’Egidio, che lo ha invitato al 35° Incontro internazionale per la pace nel 2021, Tolentino Mendonça garantisce volentieri le proprie prediche. In effetti, José Tolentino Mendonça, come le persone che lo circondano, ad esempio l’influentissimo gesuita Spadaro, ex-direttore della Civiltà cattolica, si proietta in un post-cattolicesimo, in cui il compiersi della secolarizzazione diviene un’opportunità: la secolarizzazione di oggi, a differenza di quella originata dall’Illuminismo, ostile al cattolicesimo, si coniuga con esso, o piuttosto l’opposto, nella misura in cui si riconfigura come apertura «spirituale» della postmodernità.
[1] Si veda il nostro articolo Tentativi di restaurazione dell’unità perduta: un doppio smacco in Per una vera riforma della Chiesa.
[2] Le concile dont rêve le cardinal Martini
[3] In una raccolta di interviste, Nel cuore della Chiesa e del mondo, Marietti, Milano, 1991, aveva dichiarato di sentirsi in disaccordo col moralismo «rabbinico».
[4] In La défaite de l’Occident, Gallimard, 2014, Emmanuel Todd ritiene che l’adozione del matrimonio omosessuale sia un marcatore antropologico decisivo, che permette di datare «la fine assoluta del cristianesimo come forza sociale», vale a dire in Francia nel 2013.
[5] Il cardinale Parolin in agguato
[6] Zuppi: la pace è quello di cui c’è più bisogno. Non lasciamo solo il Papa
[7] Enter Cardinal Mendonça, newly-promoted love poet and possible future Pope
[8] Tolentino Mendonça: Com este Papa, «há mais pessoas a dar uma segunda oportunidade à Igreja»
[9] La teologia feminista en la història, Fragmenta Editorial, 2007
Fonte: resnovae.fr