di Vincenzo Rizza
Caro Valli,
la scandalosa mostra Gratia plena di Carpi continua a tenere banco in questi giorni.
Da un lato la diocesi, che con misericordiosa faccia tosta difende la “proposta culturale di dialogo tra chiesa e arte contemporanea” e offende chi si ostinerebbe a rifiutare di vedere i “capolavori” in mostra con “sguardo limpido”; dall’altro centinaia di fedeli che proprio con sguardo limpido vedono che il re è nudo e manifestano il loro sdegno per una rappresentazione oggettivamente blasfema, quanto meno inopportuna in un luogo sacro.
In verità la dissacrazione dell’arte sacra (mi sia consentito il gioco di parole) è da tempo la regola. Tralasciando gli obbrobri architettonici delle nuove chiese (possibile che non esista più un architetto in grado di progettare una chiesa che non assomigli, quando va bene, al cubo di Rubik?), siamo continuamente spettatori di arte sacra che di sacro, ma soprattutto di bello, ha ben poco.
Rupnik è solo un esempio di opere brutte che riempiono importanti luoghi di culto, ma non è neppure il peggiore. Basti pensare all’affresco omoerotico del duomo di Terni, commissionato da monsignor Paglia.
Che dire poi delle opere regalate al papa? Dal crocifisso a forma di falce e martello, dono del presidente boliviano Morales, alla scultura La passione di Cristo, recentemente donata dall’artista iraniano (musulmano) Howtan Re che, realizzata con materiali riciclati, raffigura “il volto di Cristo colorato di rosso e con due piercing neri: uno posto in una narice e l’altro sul sopracciglio” e “esprime e mostra la figura di Cristo in modo non convenzionale. Una dimostrazione della forza dell’arte che supera le barriere e affratella le religioni”. Ecco “il mio Gesù moderno – ha detto l’artista – per un nuovo dialogo fra i popoli”.
Paradossalmente il crocifisso con falce e martello potrebbe anche avere un suo significato (certamente contrario a quello voluto dal suo autore): Cristo crocifisso da un’ideologia, il comunismo, che ha rappresentato il male come poche altre ideologie.
Francamente incomprensibile, invece, il senso del Cristo con i piercing. Senza considerare che rimane un mistero (invero facilmente spiegabile) il perché un “artista” musulmano sia tanto ispirato dalla figura di Gesù e non si diverta invece a “superare le barriere” e a instaurare un “nuovo dialogo tra i popoli” raffigurando Maometto in qualche posa sconveniente.
In realtà la denuncia, l’impegno, sia pure di facciata, la dissacrazione e, comunque, la trasgressione, hanno da tempo sostituito il genio artistico. Nel barnum autoreferenziale di critici, mercanti d’arte e sedicenti artisti, molta arte moderna ha dimenticato il bello: ciò che rende oggi un’opera “artistica” non è più l’opera in sé, ma l’idea che sta (o dovrebbe stare) dietro all’opera. Ne consegue che la vera maestria dell’artista non consiste più nel realizzare l’opera ma nel darle un senso, magari appioppandole un titolo stravagante o provocatorio e illustrando il faticoso percorso mistico e contemplativo che sta dietro alla sua creazione. Verosimilmente è per questo che la diocesi di Carpi, anziché chiudere la mostra e chiedere scusa ai fedeli, ha deciso che sarà predisposto “in addendum al catalogo della mostra, un sussidio che presenta le singole opere dal punto di vista dell’artista che illustra la sua ricerca religiosa e spirituale, fornendo gli elementi culturali e personali per comprenderne il senso”.
Sarò presuntuoso, ma non ho bisogno di alcun sussidio per ammirare un dipinto di Michelangelo o di Caravaggio così come per capire che la mostra di Carpi è una trasgressiva e gratuita offesa al sensus fidei.