La vera prudenza e la neo-chiesa del politicamente corretto
di Vincenzo Rizza
Caro Valli,
all’udienza generale del 20 marzo [qui] il Santo Padre ha proseguito le catechesi sui vizi e le virtù parlando della prima delle virtù cardinali, la prudenza. Dopo aver ripreso passi del catechismo e richiamato san Tommaso, papa Francesco ricorda:
La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero. E la persona prudente è anche previdente. Una volta decisa la meta a cui tendere, bisogna procurarsi tutti i mezzi per raggiungerla.
Due considerazioni sono d’obbligo.
La prima: la prudenza nel “custodire la memoria del passato” e la tradizione come “patrimonio di saggezza” riguardano anche il motu proprio beffardamente chiamato Traditionis custodes, che ha fortemente limitato la possibilità di celebrare la messa tridentina?
La seconda: decisa la “meta a cui tendere”, davvero “bisogna procurarsi tutti i mezzi per raggiungerla”? Non so quanto consapevolmente, ma tale affermazione del papa ricorda pericolosamente il motto machiavelliano per cui “il fine giustifica i mezzi” (testualmente, nel Principe: “Nelle actione di tutti li uomini e maxime de’ principi … si guarda al fine … e mezi sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati”).
Tale motto viene espressamente condannato dal catechismo per cui “Non può essere giustificata un’azione cattiva compiuta con una buona intenzione. Il fine non giustifica i mezzi” (1759). D’altro canto è proprio san Tommaso ad ammonire che spetta alla prudenza “determinare il modo e le vie per raggiungere il giusto mezzo nell’operare” (ST, II-II 47 A.7) e che “spetta alla prudenza deliberare, giudicare e comandare rettamente riguardo ai mezzi che servono per raggiungere il debito fine” (ST, II-II, 47, a.10). In definitiva, “la prudenza non si occupa delle cose da farsi necessariamente bensì delle contingenti (…). La prudenza fa sì che l’uomo si comporti bene nella scelta di quei mezzi che servono al fine” (C.G., III, c. 35).
L’infelice espressione utilizzata dal papa rappresenta, purtroppo, l’ennesima conferma che la neo-chiesa in uscita, nella smania modernista di dialogare con il mondo, ha spesso dimenticato la virtù della prudenza pur di raggiungere, con qualsiasi mezzo, lo scopo prefissato. Solo così si spiegano nomine alle più alte cariche ecclesiastiche di personaggi improponibili ed endorsement a soggetti lontani anni luce dalla dottrina cattolica (dagli antagonisti fino agli abortisti). Quante le notizie in questi anni che hanno creato non solo sconcerto, ma anche scandalo tra i fedeli; scandalo che, per tornare al Dottore Angelico, consiste nel trascinare “altri a peccare con i rimproveri, con i suggerimenti o con l’esempio” (S.T., II-II, 43, a.1) e rappresenta “sempre un peccato in colui che scandalizza. Poiché o l’atto che egli compie è un peccato, oppure, se ha solo l’apparenza di peccato, esso andava ugualmente omesso in forza della carità verso il prossimo, che impegna ciascuno a procurare la salvezza altrui: per cui chi non se ne astiene agisce contro la carità” (S.T., II-II, 43, a.2).
La prudenza, allora, è stata sacrificata sull’altare del politicamente corretto, del compiacere al mondo non solo nelle grandi questioni ma anche nelle scelte più piccole. Sufficiente ricordare la lettera del vicario generale per la diocesi di Roma del 2019 che perfino nella scelta dei componenti delle equipe pastorali invitava [qui] i parroci a non cercare “tra coloro che hanno dimostrato di essere persone prudenti, misurate e circostanziate” ma tra persone “fuori dalle righe”, tra “gente che lo Spirito Santo ha reso degli appassionati dello squilibrio”.
Speriamo che lo Spirito Santo ci doni, invece, sacerdoti appassionati della prudenza.