Nell’ennesima intervista il pontefice ricostruisce le votazioni del 2005, quando un fronte di cardinali, sostiene, iniziò a votarlo per impedire l’elezione di Benedetto XVI. Ma lui assicura che si sottrasse e di aver sempre sostenuto Ratzinger: “Era il mio candidato”.
Perché queste rivelazioni? E perché ora?
Ho rivolto la domanda ad amici italiani e argentini che conoscono bene Bergoglio e la risposta è stata unanime. L’uomo non ha alcun interesse per la verità oggettiva ed è un manipolatore. Gli interessano solo due cose: da un un lato, e massimamente, la propria immagine; dall’altro il tornaconto che persegue in un dato momento e in una data circostanza. Il fatto è che, come spesso succede ai mentitori seriali, Bergoglio finisce col credere alle verità da lui stesso confezionate, e diventa feroce e vendicativo contro chi osa presentargli la realtà per quella che è e non come lui la vuole rappresentare.
La manipolazione è messa in atto dal papa regnante nei confronti sia dei singoli sia di pensieri e questioni. E ora, nella parte terminale del pontificato, gli interessa raccontare la sua verità a proposito di quello che per lui è sempre stato un nervo scoperto: il rapporto con Benedetto XVI.
Francesco ha vissuto malissimo la presenza di Ratzinger in Vaticano. Ha vissuto malissimo la stessa esistenza in vita del papa precedente e non ha mai accettato la coabitazione. Qualunque cosa dicesse e facesse, l’ombra di Ratzinger si allungava su di lui. Anzi, più Bergoglio cercava di piacere al mondo e di raccoglierne l’applauso, più l’ombra del timido predecessore si allungava, e Bergoglio non è tipo da accettare che qualcuno possa fargli ombra, specie se quel qualcuno è molto più dotato di lui sotto tutti i profili.
Quando finalmente Benedetto XVI ha tolto il disturbo, Bergoglio non è riuscito a nascondere il risentimento covato per anni e alimentato dal complesso di inferiorità. Di qui le esequie frettolose e quel trattamento finale che ha suscitato tristezza e sconcerto in tanti cattolici.
Ora che la morte si avvicina anche per lui, ecco che Bergoglio torna sul nervo scoperto per lasciare in eredità ai posteri la sua verità, ancora una volta manipolata. Di qui le dichiarazioni contenute nell’ennesimo libro-intervista circa il conclave del 2005, quando, secondo la sua versione, lui fu “usato” per cercare di fare in modo che Ratzinger non fosse eletto. Ratzinger “era il mio candidato” ricorda Bergoglio, e non importa se questa ricostruzione approssimativa si scontra contro altre versioni più accreditate. Ciò che conta è l’immagine che Bergoglio intende lasciare di sé.
Sul fatto che Bergoglio tifasse veramente Ratzinger ci sono molti dubbi, ma per il papa regnante non è un problema. La verità che ha costruito è quella che conta ai suoi occhi e deve contare anche per gli altri. E pazienza se tutte queste interviste, tutto questo spiattellare circostanze e retroscena tolgono sacralità e credibilità alla figura papale riducendola a quella di un Ferragnez qualunque, governato dall’impulso di esporre in pubblico i fatti suoi, come annota perfino Massimo Gramellini sul Corriere della sera, con un requiem per il mistero e la sua sorella minore, la riservatezza.
Ovviamente del “problema Ratzinger” fa parte anche Georg Gänswein, l’uomo che agli occhi di Bergoglio ha una colpa imperdonabile: aver smentito la leggenda, costruita da Francesco con tanta attenzione, della sintonia fra i due papi. Monsignor Gänswein andava dunque colpito e affondato, ed è quello che Bergoglio puntualmente fa nel libro-intervista.
Amen.