di Rita Bettaglio
Dopo aver letto l’articolo del giorno di Pasqua (qui) la mia amica Laura mi ha sollecitato a riflettere sull’Egitto che è in noi.
Cara Laura, hai perfettamente ragione. L’Egitto sta in noi.
Per gli israeliti l’Egitto fu un luogo fisico, come Babilonia, luogo di dolore e sofferenza, ma non solo. Per loro, e anche per noi, fu un luogo spirituale. Fu il luogo della schiavitù, amaro, certo, ma in fondo in fondo…
Si fa l’abitudine a tutto, anche e soprattutto al male, esteriore e interiore. Talora la si fa per riuscire a sopportarlo, come nel caso di una malattia: guai se il malato non accettasse il suo male: allora davvero sarebbe incurabile (che è assolutamente diverso da inguaribile). Tante malattie del corpo sono inguaribili, ma nessuna (e nessun malato) è incurabile.
Altre volte, invece, molte altre volte, si china il capo al male (e la schiavitù è il male più odioso, in quanto conculca la libertà che Dio stesso ci ha data nell’atto della creazione), dimenticando, disconoscendo che esista il bene. O, peggio, chiamando bene il male.
Così gli israeliti nel deserto rimpiangevano le cipolle d’Egitto, esca della schiavitù. In modo analogo la quasi totalità delle persone ha accettato, grata e benedicente, anni di violazione di ogni diritto personale e di coscienza col pretesto di un esserino minuscolo venuto da chissà dove.
Ma c’è di più. Noi in Egitto ci vogliamo rimanere, perché la libertà promessa, come il deserto, è sconfinata e ci fa paura. Cosa faremmo poi della libertà? Non è meglio stare buoni, a cuccia, perché così fan tutti? Questa è la tentazione del nostro secolo e noi cristiani non la combattiamo abbastanza.
Uno dei motivi di quest’accondiscendenza, di questa complicità col male, tanto per cambiare, è la paura. Dio lo sa, sa che la nostra paura è conseguenza e frutto del peccato originale.
Vocavitque Dominus Deus Adam, et dixit ei: Ubi es? Qui ait : Vocem tuam audivi in paradiso, et timui, eo quod nudus essem (Gen 3, 9-10), il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: dove sei? Ed egli rispose: ho udito la tua voce in paradiso e ho avuto paura.
Il primo peccato genera la prima paura. E d’allora sarà, ed è, sempre così, perché il battesimo cancella la colpa d’origine, ma non le sue conseguenze.
Per questo Dio nella Sacra Scrittura ripete più e più volte: non abbiate paura. Nel latino di san Girolamo quest’invito ha un’ulteriore sfumatura: Nolite timere, che vuol dire non vogliate temere. Pare di capire, quindi, che vi sia un timore naturale e istintivo, legato alla nostra umana debolezza, anche fisica, ma anche un altro dipendente dalla nostra volontà. Il primo è utile, perché è quello che fa fuggire davanti al fuoco o ad un pericolo, è finalizzato alla sopravvivenza, alla vita. Il secondo no: è una tentazione, foriera di morte.
Vediamo esemplificati questi due tipi di timore nei testi che la Chiesa, nostra madre, ci fa leggere in questi giorni: le donne, i custodi del sepolcro, e i discepoli di Emmaus.
Sia le donne sia i custodi s’impauriscono, con diverse gradazioni, davanti agli angeli. Rileggiamo il testo.
Custodi: exterriti sunt custodes et facti sunt sicut mortui (Mt 28,4). Furono atterriti e tramortiti. Quasi morti, dice il testo della Vulgata.
Donne: introëuntes in monumentum viderunt juvenem sedentem in dextris, coopertum stola candida, et obstupuerunt (Mc 16,5), entrate nella tomba videro un giovanetto, seduto a destra, vestito di una veste bianca e furono spaventate.
Veniamo ora ai discepoli di Emmaus, tristi, sconsolati e incapaci di riconoscere il Signore.
Essi si lamentano con lo sconosciuto che si è unito a loro lungo la via: mulieres quaedam ex nostris terruerunt nos, alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti. E perché mai? Perché la risurrezione di Gesù sconvolge quelli che ne avevano già avuto l’annunzio dal Cristo stesso? Non avrebbero dovuto aspettarselo?
Donne e custodi videro gli angeli; i discepoli, invece, non riconobbero il Signore che li aveva accostati lungo il cammino. Perché questa differenza? Perché Dio ha disposto che quelli più vicini a Gesù, apostoli e discepoli, vedessero il Risorto solo dopo i custodi e le donne?
Queste e altre domande sorgono nel mio animo e rimbalzano sulle pareti della mia grotta. Non trovano risposta, ovviamente, se non nello stupore davanti all’opera della divina provvidenza. Omnia bene fecit, ha fatto bene tutte le cose.
E noi cavernicoli, abituati a un modesto lucubrum, un lucignolo fumigante, restiamo abbacinati dalla luce del Signore risorto. Essa fuga la nostalgia dell’Egitto, che spesso ci lambisce. Con le sue cipolle e la tranquilla cattività. Per combatterla chiediamo la grazia del discernimento, e non rattristiamoci quando il Signore ce lo dà e vediamo come realmente siamo.
Resurrexit.