Fine della regalità sociale di Cristo e rovina del mondo

di Michael Davies

L’11 dicembre 1925 papa Pio XI promulgava la lettera enciclica Quas primas sulla regalità di Cristo. L’enciclica trattava di quella che il papa giustamente definì «la causa principale delle difficoltà in cui versa l’umanità». Spiegò che i molteplici mali del mondo sono dovuti al fatto che la maggioranza degli uomini ha espulso Gesù Cristo e la sua santa legge dalla propria vita; che Nostro Signore e la sua santa legge non trovano posto né nella vita privata né nella politica; e finché gli individui e gli stati rifiutano di sottomettersi al governo del nostro Salvatore non ci sarà speranza di una pace duratura tra le nazioni. Gli uomini devono cercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo: pax Christi in regno Christi.

L’insegnamento di questa enciclica è stato ignorato e superato, se non addirittura contraddetto, dal Concilio Vaticano II. È un fatto incontrovertibile che questo Concilio, in modo vistoso e, si deve concludere, deliberatamente, non è riuscito a riaffermare l’insegnamento di Quas primas, in cui papa Pio XI ha riaffermato l’insegnamento ininterrotto dei suoi predecessori secondo cui gli Stati così come gli individui devono sottomettersi alla regola di Cristo Re. Affermando questa verità fondamentale della nostra fede, papa Pio non si riferiva semplicemente alle nazioni cattoliche, e nemmeno alle nazioni cristiane, ma all’intera umanità. Egli affermò questa verità in modo inequivocabile citando un passo dell’enciclica Annum sacrum di Leone XIII:

L’impero di Cristo Re comprende non solo le nazioni cattoliche, non solo i battezzati che, pur appartenendo di diritto alla Chiesa, sono stati sviati dall’errore o ne sono stati separati dallo scisma, ma anche tutti coloro che sono fuori la fede cristiana: perché davvero tutta l’umanità sia sottomessa alla potenza di Gesù Cristo.

Tutti gli uomini, sia come individui sia come nazioni, sono soggetti al dominio di Nostro Signore Gesù Cristo Re, e questo per due ragioni. Innanzitutto perché, in quanto Dio, è il nostro Creatore. Il Salmo 32 riassume la corretta relazione Creatore-creatura nei seguenti termini ispirati:

Tema il Signore tutta la terra e tremino davanti a lui tutti gli abitanti del mondo. Poiché Egli parlò e furono creati; comandò e furono creati.

“Poiché Egli parlò e furono creati; comandò e furono creati.” Dio è il nostro Creatore. Siamo sue creature. Senza di lui non esisteremmo. Gli dobbiamo tutto e lui non ci deve nulla. Coloro che sono creati hanno l’obbligo di amare e servire il loro Creatore. Questo obbligo è assoluto; non c’è un possibile diritto, da parte di qualsiasi persona in qualsiasi momento, di rifiutare l’obbedienza.

È solo quando gli uomini vivono la loro vita nella corretta prospettiva del rapporto Creatore-creatura che prevalgono l’armonia e l’ordine sociale e politico. “La pace di Cristo nel Regno di Cristo”. Quando gli uomini ripudiano questo rapporto, subentra la disarmonia e il disordine, la disarmonia e il disordine del peccato, la disarmonia e il disordine introdotti per la prima volta da Lucifero, un tempo la più magnifica tra tutte le creature di Dio, il quale, sopraffatto dall’orgoglio, si vantava: “Non serviam”, “Non servirò.” Il Catechismo ci insegna che il nostro scopo nella vita è conoscere, amare e servire Dio in questo mondo in modo da poter essere felici con lui, per sempre, nell’altro mondo. Non possiamo affermare di amare Dio se non lo serviamo, e non possiamo affermare di servire Dio se non ci sottoponiamo alla legge di Cristo Re. “Se mi ami”, ha avvertito, “osserva i miei comandamenti” (Giovanni 14:15).

In Quas primas papa Pio XI spiega anche la seconda ragione per cui dobbiamo sottometterci a Nostro Signore. Spiega la bella e profonda verità secondo cui Cristo è il nostro Re per diritto acquisito così come per diritto naturale, poiché Egli è il nostro Redentore:

Vorrei che coloro che dimenticano quanto sono costati al nostro Salvatore potessero ricordare le parole: “Non sei stato redento con cose corruttibili, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di un agnello immacolato e incontaminato”. Non apparteniamo più a noi stessi, perché Cristo ci ha acquistati “a caro prezzo”; i nostri stessi corpi sono “membra di Cristo”.

La doppia affermazione di Nostro Signore Gesù Cristo sulla nostra fedeltà, come nostro Creatore e nostro Redentore, è ben riassunta nel Libro dell’Apocalisse, dove san Giovanni ci dice che Cristo è “il sovrano dei re della terra” (Apoc. 1:5). Il fatto che i re della terra – in altre parole, le nazioni e coloro che le governano – siano soggetti alla regalità di Cristo riguarda ciò che è nota come la sua regalità sociale, cioè il suo diritto di governare sulle società, così come sugli individui.

Nessuno che affermi di essere cristiano metterebbe in discussione, si spera, il fatto che come individui dobbiamo sottometterci al dominio di Cristo Re, ma pochissimi cristiani, compresi i cattolici, comprendono, per non parlare di sostenere, la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. La sua regalità sociale potrà realizzarsi pienamente solo quando Chiesa e Stato saranno uniti. La separazione tra Chiesa e Stato fu condannata inequivocabilmente dai romani pontefici fino al Concilio Vaticano II. L’insegnamento della Chiesa è che lo Stato ha l’obbligo di rendere pubblico culto a Dio in accordo con la liturgia della vera Chiesa, la Chiesa cattolica, di sostenere il suo insegnamento e di aiutare la Chiesa nello svolgimento delle sue funzioni. Lo Stato non ha il diritto di rimanere neutrale riguardo alla religione, tanto meno di perseguire un approccio laico nelle sue politiche. Un approccio secolare è per questo stesso un approccio anti-Dio e anti-Cristo.

Coloro che ignorano o ripudiano la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e il suo diritto di governare sulle società e sugli individui accettano, forse senza rendersene conto, l’abominevole teoria della democrazia racchiusa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo della Rivoluzione francese, la dichiarazione che costituiva un ripudio formale e insolente della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, la dichiarazione che consacrava la più grande eresia dei tempi moderni, forse di tutti i tempi: che l’autorità risiede nel popolo. Al contrario, come hanno insegnato i papi, omnis potestas a Deo, ogni autorità viene da Dio. Ma non è così, rispondono i rivoluzionari, perché omnis potestas a populo, tutta l’autorità viene dal popolo.

Quanto esattamente si applica a queste persone il termine “rivoluzionari”! Una rivoluzione è meglio definita come il rovesciamento forzato di un governo costituito, e questo è esattamente ciò che fecero. Rovesciarono la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo in favore dell’eresia secondo cui l’autorità risiede nella volontà della maggioranza, eresia che è la fonte di tutti i mali della società odierna. La promulgazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo costituì il primo ripudio formale della regalità sociale di Nostro Signore. Fu l’atto più influente nel processo volto a garantire la sua detronizzazione praticamente universale nel corso dei due secoli successivi.

Una nota introduttiva nell’edizione del 1952 del Messale quotidiano di sant’Andrea spiega che:

Papa Pio XI (il cui motto era Pax Christi in regno Christi) istituì la festa di Cristo Re come solenne affermazione della regalità di Nostro Signore su ogni società umana. Egli è Re non solo dell’anima e della coscienza, dell’intelligenza e della volontà di tutti gli uomini, ma anche delle famiglie e delle città, dei popoli e degli Stati e dell’universo intero. Nella lettera enciclica Quas primas, il papa ha mostrato come il laicismo o secolarismo, organizzando la società senza alcun riferimento a Dio, porta all’apostasia delle masse e alla rovina della società, perché è una negazione totale della regalità di Cristo. Questa è una delle grandi eresie del nostro tempo, e il papa ha ritenuto che questa annuale affermazione pubblica, sociale e ufficiale del diritto divino di regalità di Cristo sugli uomini nella liturgia sarebbe un mezzo efficace per combatterla.

Papa Pio XI scriveva in Quas primas:

La celebrazione annuale di questa festa ricorderà alle nazioni che non solo i privati, ma anche i governanti e i principi sono tenuti a rendere pubblico onore e obbedienza a Cristo.

Quarant’anni dopo, con la promulgazione della Dignitatis humanae del 7 dicembre 1965, la Chiesa ha smesso di esigere dai governanti onore pubblico e obbedienza a Cristo. Il titolo stesso della dichiarazione, La dignità della persona umana, sintetizza l’etica del documento, centrata sull’uomo. Non sono più i diritti di Cristo Re che devono avere la priorità, ma i cosiddetti diritti dell’uomo contemporaneo, diritti che egli si attribuisce in virtù di quella che si dice sia la crescente coscienza della propria dignità. In un discorso all’ultima riunione del Concilio, il giorno stesso della promulgazione della dichiarazione, papa Paolo VI osservò:

Bisogna rendersi conto che questo Concilio, che si è esposto al giudizio umano, ha insistito molto di più su questo lato piacevole dell’uomo, piuttosto che su quello spiacevole. Il suo atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista. Un’ondata di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo moderno dell’umanità. Si condannavano sì gli errori, perché la carità lo esigeva non meno della verità, ma per le persone stesse c’era solo monito, rispetto e amore. Invece di diagnosi deprimenti, rimedi incoraggianti; invece di pronostici terribili, messaggi di fiducia lanciati dal Concilio al mondo di oggi. I valori del mondo moderno non solo furono rispettati ma anche onorati, i suoi sforzi approvati, le sue aspirazioni purificate e benedette.

I valori del mondo moderno sono ora chiaramente evidenti, anche nei paesi nominalmente cattolici, nella legalizzazione del divorzio, della contraccezione, della pornografia, della sodomia e dell’aborto. L’illusione di papa Paolo che il suo Concilio avrebbe purificato le aspirazioni del mondo moderno fu dissipata quando pianse per l’istituzione di una clinica per aborti nella stessa Roma prima della sua morte, nel 1978.

Fonte: remnantnewspaper

 

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