Tutti i motivi per cui “Dignitas infinita” sarebbe stato meglio non scriverla

di The Wanderer

Nei giorni scorsi ho chiesto a diversi amici un primo parere su Dignitas infinita, l’ultima opera del cardinale Fernández. Tutti, senza eccezione, mi hanno detto che non l’avevano letta e che non intendevano farlo, poiché mancante di qualsiasi interesse. Mi sono quindi chiesto se valesse la pena spendere il mio tempo per scrivere qualcosa sul documento oppure fosse meglio spostare l’attenzione dei lettori su altre queste questioni. La domanda, che solo qualche anno fa sarebbe sembrata insensata, è sincera, e lo è perché siamo di fronte a un dato di fatto indiscutibile: il pontificato di Francesco è finito, tramontato; l’unica cosa che può fare prima della sua partenza verso la Casa del Padre è tacere. Infatti, sappiamo bene cosa succede quando interviene: basta vedere il caos che ha provocato negli ultimi giorni nel Vicariato di Roma.

A essere onesti, il documento è meno brutto di quanto avrebbe potuto essere. Dice alcune verità di buon senso cattolico (ad esempio, nessun cattolico ha mai pensato che la maternità surrogata fosse giusta) anche se le esprime in modo superficiale, alla Tucho. Un elenco di questi aspetti positivi del documento è stato fatto dal professor Roberto de Mattei in un articolo apparso su Rorate Coeli.

Ma per quanto buono possa essere il documento, il fatto è che il cardinale Victor Fernández ha perso ogni autorità dal momento in cui ha emanato Fiducia supplicans con le debite spiegazioni successive, provocando rivolte episcopali di dimensioni continentali, e dopo che è stato reso noto il suo libro nascosto, che ha rivelato il suo gusto per l’erotismo e il suo piacere nel raccontare storie turpi. Un cardinale pornografo, che provoca divisioni raramente viste nella Chiesa, non può essere a capo del dicastero che difende l’ortodossia della fede. Dovrebbe dimettersi e trovare un posto come cappellano in un convento di suore (non di frati, per evitare confusione). Se non lo fa, è solo perché non ha dignità (né finita né infinita) e perché è sostenuto nel suo incarico solo dalla volontà tirannica e totalizzante del suo superiore. In queste condizioni, anche se Tucho scrivesse per assurdo una nuova Pascendi, non sarebbe preso sul serio né dai tradizionalisti né dai progressisti. Pertanto, la cosa migliore che può fare è rimanere in silenzio; non parlare né scrivere, perché tutto ciò di cui parlerà e scriverà sarà contaminato e perderà qualsiasi tipo di efficacia. Rimanga in silenzio, eminenza: è il miglior regalo che può fare alla Chiesa dopo l’enorme danno che le ha arrecato.

La prima cosa che stride nel documento è il nome: si può attribuire all’uomo una qualificazione infinita? Può l’uomo, senza cadere in contraddizione, essendo un essere finito, avere un attributo ontologico infinito? Non sono un teologo, ma mi sembra strano, molto strano.

Un secondo elemento che piuttosto che rumore provoca frastuono è l’insistenza nel collegare la dignità umana alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. In effetti, questo documento delle Nazioni Unite è citato undici volte in tutto lo scritto di Tucho. L’argomentazione del cardinale Fernández è che, sebbene la questione della dignità umana sia sempre stata sostenuta dalla Chiesa, è proprio con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che raggiunge il suo splendore. Egli afferma che questo “principio nuovo nella storia umana, per cui l’essere umano è tanto più degno di rispetto e di amore quanto più è debole, misero e sofferente, fino a perdere la stessa figura umana, ha cambiato il volto del mondo” (n. 19). È singolare che sua eminenza ometta di riferire tutto ciò che la Chiesa ha fatto per i più deboli, i più miseri e i più sofferenti fin dalle sue origini, ben prima della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Bisogna ricordargli gli Atti degli Apostoli, in cui si parla della necessità dei diaconi, o san Vincenzo de’ Paoli, per fare solo due esempi tra le centinaia che si potrebbero citare. Scopriamo quindi che un documento di natura costituzionalmente atea come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che non menziona mai Dio e non a caso è stata ufficialmente contrastata dalla Chiesa, con il nuovo pontificato di Francesco diventa la pietra angolare di una parte rilevante del suo magistero.

Credo di non esagerare se dico che qui abbiamo una conferma: il pontificato di Francesco è fondativo di una nuova Chiesa, concubina del mondo. Il documento dice: “In tal orizzonte, la sua enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Charta dei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana” (n. 6). Capito? Dimentichiamo il De hominis opificio di san Gregorio di Nissa, e scordiamoci l’Agnosce, o christiane, dignitatem tuam del Sermone 21 di san Leone Magno, di cui l’11 aprile ricorre la sua festa. La magna carta sulla dignità dell’uomo non è nei Padri e nella Tradizione della Chiesa, ma nella Fratelli tutti di Bergoglio! Sembra uno scherzo.

Il documento, come dicevamo, è molto superficiale, con un’inspiegabile abbondanza di parole ed espressioni virgolettate, e commette errori grossolani, il più notevole dei quali è il riferimento alla pena di morte. Al n. 34 si dice che essa “viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza”. In altre parole, la pena di morte viene condannata da Fernández perché la ritiene intrinsecamente immorale, il che pone un grave problema dal momento che il millenario insegnamento della Chiesa, fino a papa Francesco, ha sempre considerato lecita l’applicazione, in casi estremi, della pena capitale. Inoltre, nello stesso Stato pontificio fu applicata fino al 1870, con una decapitazione a Palestrina, ed è ben nota la figura di Mastro Titta e la sua opera in piazza del Popolo. Quindi, cosa facciamo con i papi e i santi che hanno condannato a morte i prigionieri? Li de-canonizziamo? Mi ricorda il grottesco kirchnerismo che vuole cambiare la storia secondo i gusti politicamente corretti dell’epoca. La pena di morte, in ogni caso, può essere inappropriata oggi, ma il rabbioso cannibalismo istituzionale di Francesco e dei suoi simili non può arrivare all’estremo di condannare tutti i papi e i dottori che l’hanno preceduto.

Qualcosa di simile accade quando si parla della guerra. Con un emotivismo del tutto inappropriato per un documento della Santa Sede, si legge: “Nessuna guerra vale le lacrime di una madre che ha visto suo figlio mutilato o morto; nessuna guerra vale la perdita della vita, fosse anche di una sola persona umana, essere sacro, creato a immagine e somiglianza del creatore; nessuna guerra vale l’avvelenamento della nostra Casa Comune; e nessuna guerra vale la disperazione di quanti sono costretti a lasciare la loro patria e vengono privati, da un momento all’altro, della loro casa e di tutti i legami familiari, amicali, sociali e culturali che sono stati costruiti, a volte attraverso generazioni. […] Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta” (n. 39). In poche parole, papa Francesco, attraverso Tucho, sta scalzando la dottrina secolare non solo della Chiesa ma anche dello stesso sistema giuridico, negando e condannando il diritto delle nazioni alla legittima difesa e negando anche il concetto di “guerra giusta”. Si tratterebbe, secondo loro, di un errore di san Tommaso e di tanti altri santi e dottori, che il brillante intelletto di Tucho Fernández, sulla scorta di Fratelli tutti, è finalmente arrivato a svelare. Di nuovo, sembra uno scherzo.

Infine, il documento presenta alcune curiosità. Ad esempio, al n. 57 afferma giustamente che la consistenza scientifica della teoria del gender è contestata all’interno della comunità degli esperti. Ma perché in tutti i documenti di Francesco, e in questo stesso documento, non c’è alcuna domanda o allusione alla fortissima discussione nella comunità scientifica sulle cause antropiche del cambiamento climatico? Misteriose preferenze pontificie.

Per concludere, non direi che Dignitas infinita sia un cattivo documento. È un documento superficiale e mediocre; un’occasione mancata per dire le cose buone che afferma con un linguaggio chiaro e forte, lontano dall’emotivismo come ancoraggio etico e distaccato dalle circostanze passeggere di un pontificato che sarà caratterizzato da confusione e caos.

P.S.

In occasione della presentazione di Dignitas infinita nel corso di una conferenza stampa, il cardinale Tucho Fernández ha avuto qualche problema. Un giornalista gli ha chiesto se non fosse giunto il momento per il Dicastero per la dottrina della fede di cambiare l’insegnamento secondo cui tutti gli atti omosessuali sono “intrinsecamente disordinati”.

Fernández non ha inizialmente risposto alla domanda con una semplice affermazione o smentita, ma ha risposto che la frase in questione è una “espressione forte che avrebbe bisogno di essere spiegata, sarebbe bene se potessimo trovare un’espressione ancora più chiara”. Ancora più chiara? In che modo può essere considerata un’espressione confusa?

E ha proseguito: “Quello che vogliamo dire è che la bellezza dell’incontro tra uomo e donna, che è la differenza più grande, è la più […] Il fatto che possano incontrarsi, che possano stare insieme e che da questo incontro possa nascere una nuova vita, è qualcosa che non può essere paragonato a nient’altro. Quindi, di fronte a questo, gli atti omosessuali hanno questa caratteristica di non poter in alcun modo eguagliare questa grande bellezza”.

Insomma, il problema dell’omosessualità è un problema estetico; e noi che pensavamo fosse antropologico e teologico! Preghiamo vostra eminenza di risparmiarci un nuovo libro con le descrizioni di queste bellezze sminuite!

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com 

Titolo originale: “Dignitas infinita”. Eminencia, de lo que ya no puede hablar, mejor es callar

Traduzione di Valentina Lazzari

 

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