di Héctor Aguer*
Le notizie di crimini commessi da minori appaiono quotidianamente sui media argentini. I “pibes chorros” [bambini ladri, N.d.T] sono una triste realtà. Molto spesso viaggiano su una moto rubata, sono i “motochorros“. A questi si aggiungono gli eserciti di sicari – piccoli soldati – dei clan della droga. Spesso la rapina comporta l’omicidio. Se il settimo comandamento della legge di Dio viene violato perché il valore naturale della proprietà è stato perso, anche la vita umana ha perso il suo carattere intangibile. I bambini e gli adolescenti uccidono con una facilità sorprendente. Le persone che conservano un vero senso della realtà non si sentono sicure e si chiedono: in che mondo viviamo? Sociologi e filosofi stanno cercando di abbozzare un’interpretazione e di individuare le cause della situazione. Giusto parlare di cause, al plurale, perché la complessità della questione non può essere ridotta a un unico livello di ragioni. Osservo, di sfuggita, la rapidità dei cambiamenti e il contrasto con il ripetersi ciclico dei fenomeni sociali, tipico del passato. Certo, la storia registra rivoluzioni e catastrofi provocate dall’uomo, ma la totale assenza di un senso autentico della verità umana non si era mai visto finora, almeno in questa misura. Qui sta il problema: i giovani – persino i bambini – non sono stati educati a riconoscere questa verità.
Il fenomeno chiamato “pibes chorros” ha tre cause principali: non c’è famiglia, non c’è scuola e non c’è Chiesa. La realtà naturale della famiglia è stata alterata: non ci sono più moglie e marito, ma “coppie”, molto spesso non accoppiate. Indico la realtà del matrimonio come origine di una famiglia vera e stabile; i figli ne sono il frutto, protetti e formati per la giusta ricerca della libertà. Nel nostro tempo c’è invece una sovrabbondanza di famiglie incomplete. Di solito la donna è sola con uno o due figli, o meglio con un nuovo “compagno”, e spesso è vessata dal suo ex. La famiglia non è più l’ambiente naturale per l’educazione e la formazione della personalità dei bambini. La figura del patrigno può essere sinistra, soprattutto per le bambine. La strada prende il posto della famiglia che non c’è più. L’esempio che il bambino riceve fin da piccolo lo prepara a ripetere il ciclo di una famiglia disfunzionale o lo porta direttamente al crimine. A Rosario, la capitale argentina del narcotraffico, i bambini diventano “piccoli soldati”, al servizio di un’organizzazione criminale. Non sto esagerando.
Qualche statistica? Ne bastano due. In Argentina il 48% della popolazione vive in povertà e quasi il 10% in estrema povertà. Il futuro è a rischio.
La seconda causa che indico è la mancanza di scolarizzazione. I minorenni che commettono reati sono spesso dei drop-out scolastici, che non hanno completato il ciclo della scuola primaria. Bisogna riconoscere che, nonostante le sue lacune, la frequenza scolastica abitua i bambini a vivere in un ambiente che li socializza e li aiuta a distinguere il bene dal male. L’alternativa alla scuola è la strada. Nonostante i limiti insiti nel secolarismo imposto nel nostro Paese nel XIX secolo, a scuola si trasmette ancora una morale naturale, si insegna il rispetto per la proprietà altrui e il valore della vita. Ma questo sistema è attualmente in crisi e si accompagna alla decadenza generale dell’Argentina. In questo contesto compaiono i “pibes chorros“, capaci di uccidere per impossessarsi di uno zaino o di un cellulare.
Infine, non c’è una Chiesa. Voglio dire che la scristianizzazione dell’Argentina ha creato una frattura tra la Chiesa e il popolo. Il nostro è ancora un Paese cattolico? Padre Leonardo Castellani lo ha definito un cattolicesimo “mistongo“, cioè poco serio. Notiamo due problemi profondi che si sono imposti come cifra della realtà secolare: la stragrande maggioranza dei battezzati non va a messa la domenica (il cinque per cento, forse), e la prima comunione è diventata anche l’unica comunione ricevuta. La comunità ecclesiale non cresce e il numero di battesimi continua a diminuire.
I politici non hanno capito il significato dell’articolo due della Costituzione nazionale: lo Stato sostiene il culto cattolico. Hanno ridotto questo principio, che deve essere tutelato e promosso, a “buttare qualche soldo ai preti”, un beneficio economico a cui l’episcopato, per altro, ha appena rinunciato. Questa decisione segna la scelta di una povertà materiale che renderà impossibile un’efficace evangelizzazione della società. I vescovi della Conferenza episcopale argentina non capiscono nemmeno il famoso secondo articolo della Costituzione. Il cattolicesimo che si accoppia con le altre religioni non sarà più “mistongo“, ma estraneo alla comunità nazionale. Una parrocchia funzionante, soprattutto nei quartieri periferici, è un luogo di educazione. Lì si impara a seguire Gesù Cristo e i comandamenti della legge di Dio vengono incorporati in modo vitale. È lì che la società viene cristianizzata. Ma i cattolici pensano che i sacerdoti siano sostenuti dal governo e sono riluttanti a mettere le mani in tasca per aiutare.
L’episcopato argentino ha concluso la sua settimana “sinodale” con un documento sociologico che critica il governo, di cui ovviamente non fa il nome. Non a caso la Nación ne parla nelle pagine dedicate alla politica. Il testo invita semplicemente all’amore e alla gioia (a “tutti, tutti, tutti”, secondo il segretario generale). E questo secondo loro sarebbe il Vangelo.
Tornando al caso dei “pibes chorros“, molti propongono una soluzione disperata: abbassare l’età dell’imputabilità dai sedici anni, com’è ora, ai quattordici o forse ancora meno. Ma una tale misura servirebbe solo a riempire le carceri di giovanissimi che in cella perfezionerebbero la loro “arte” di delinquere.
Insisto sulla vera soluzione, un percorso arduo e costoso: che ci sia una famiglia, che la famiglia sia educata a essere veramente tale, e che la scuola istruisca e insegni, senza ideologia. E la Chiesa recuperi il suo posto tra la gente. Come Gesù ha ordinato agli Apostoli, la Chiesa faccia di tutti dei veri cristiani.
*arcivescovo emerito di La Plata