In epoca Covid le restrizioni imposte in tutto il mondo state particolarmente folli in due Paesi: Canada e Australia. E proprio dall’Australia arriva una delle voci più coraggiose e nitide contro l’ideologia vaccinista: quella di Monica Smit, che per la sua resistenza alla tirannia nata dalla psicopandemia è stata addirittura incarcerata dal governo australiano.
In un colloquio con John-Henry Westen, Monica Smit parte da un dato positivo e dice che il movimento per la libertà, che lei preferisce chiamare “la famiglia della libertà”, è “più grande e diffuso di quanto chiunque possa mai immaginare”.
Dopo aver visitato diciassette paesi in cinque mesi, Monica spiega che ci sono gruppi di persone che lottano per la libertà in tutto il mondo, anche là dove meno ce lo aspetteremmo. Ha visto, racconta “piccoli villaggi in Norvegia o in Italia” dove vivono tante brave persone coraggiose, persone forti che regalano speranza.
In prima linea nel movimento per la libertà australiano fin dall’agosto 2020, quando fondò Reignite Democracy Australia, Monica ha fatto parlare di sé per aver trascorso ventidue giorni in prigione dopo aver rifiutato di firmare per la cauzione quando fu accusata di istigazione alla disobbedienza. La sua colpa? Aver parlato pubblicamente contro il regime dei lockdown.
Sulla sua vicenda Monoica ha scritto un libro auto-pubblicato, Cell 22, e recentemente ha girato l’Europa per presentarlo. Attualmente in tournée in Australia, continua a gestire campagne e progetti a difesa della libertà.
In possesso di un vasto database, attraverso il suo sito Monica si mette a disposizione di chiunque voglia contattarla per pianificare un evento, avere un incontro o un colloquio. La mail è contact@monicasmit.com
Parlando della sua contestazione legale contro la polizia del Victoria – e per estensione contro ol governo australiano – per le politiche anti-Covid, racconta di essere stata arrestata tre volte il 31 ottobre 2020, in qualità di giornalista che seguiva una protesta contro le restrizioni.
Quando fu trattenuta per tre quarti d’ora in un furgone della polizia, dopo il secondo arresto, Monica pensò: “Se si spingono a fare questo a me, che sono una giornalista, rispettosa e calma, cosa potranno fare alle altre persone?”.
Dopo tre anni e mezzo di pratiche burocratiche, Monica sarà presto chiamata in tribunale per contestare apertamente il sopruso subito, e la polizia dovrà rispondere di ciò che ha fatto. “Purtroppo dice – tutto ciò è molto faticoso e costoso, e le autorità contano sul fatto che la gente di solito non ha le risorse per andare fino in fondo”.
“Se perdo, la causa – spiega Monica – dovrò affrontare una spesa salatissima, e per molte persone equivarrebbe alla rovina. Ma fortunatamente ho Dio e la famiglia dalla mia parte”.
“Quando rivedo i video con le brutalità della polizia – aggiunge – capisco che la gente voglia dimenticare. Ma Dio crede nella giustizia ed è compito di un cattolico combattere per essa”.
Monica Smit confessa di aver imparato, realisticamente, ad avere “basse aspettative” di fronte alla tirannia sempre più diffusa. Ma il suo obiettivo, spiega, è semplicemente quello di continuare a testimoniare a viso aperto. “Tante persone, soprattutto qui nello Stato di Victoria, sono state brutalizzate dalla polizia e hanno subito soprusi, forse anche peggiori di quelli che ho dovuto sopportare io. Ho preso l’impegno di parlare per tutte queste persone. Io sono quella che dà loro voce, con il sostegno della mia famiglia e della mia fede”.
“Sento di avere il dovere della battaglia e della testimonianza anche per tutti coloro che mi hanno sostenuta durante la detenzione. Anche se dovessi perdere la causa, trarrei conforto dal fatto che il mio impegno resterà registrato nella storia. Ovviamente spero che qualcuno sarà ritenuto responsabile di quanto è successo. Questo risultato darebbe un po’ di pace a tutti coloro che subito i soprusi ma non sono in grado di fare quello che sto facendo io affinché ci ascoltino”.
Secondo Monica, le persone hanno più che mai bisogno di trovare spazi e tempi per pensare. Ma se vanno sempre di corsa, con l’autoradio sintonizzata sui notiziari mainstream, ciò è molto difficile. Quindi consiglia di spegnere e magari mettere un po’ di musica classica, per “sentire Dio”. Se ci si rende disponibili, “Dio arriva, ma bisogna essere pronti ad ascoltare”.
Tornando al suo caso in tribunale, Monica afferma di non avere particolari strategie difensive. Ne ha una sola: la verità. “So bene che in tribunale sarà dura. Le persone normalmente perdono le loro cause per la complessità della procedura, ma la questione è e resta semplice: quello che è successo non sarebbe dovuto succedere”.
Chi è interessato a seguire Monica Smit e il suo caso può andare nel suo sito web qui.
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Nell’illustrazione, la copertina del libro di Monica Smit Cell 22