di Marco Radaelli
Caro Valli,
leggo sul Corriere della sera [qui] che una classe di seconda elementare di Chieri si è recata in gita al Laboratorio delle curiosità di Torino e ha concluso la visita producendosi in una manifestazione con tanto di bandiere palestinesi, braccia levate in alto e cori come “Libertà. Libertà. Libertà. Per Gaza siamo qua!” e “Palestina libera!”. Tutto questo perché, cercando un riparo dalla pioggia e per pranzare, le maestre non hanno trovato niente di meglio che Palazzo Nuovo, che però in quel momento era occupato dagli attivisiti pro-Gaza. Del raccapricciante evento è anche disponibile un video, accessibile ovunque online.
Le maestre, interpellate sull’accaduto, si sono giustificate dicendo che non sapevano che Palazzo Nuovo fosse occupato. Va bene, faccio finta di crederci (dato che le occupazioni si vedono già all’esterno, solitamente). Ma se portare lì la classe può essere stato frutto della coincidenza (molto dubbia), rimanere all’interno del palazzo dopo averne constatata l’occupazione (cosa non difficilissima) è stata una scelta consapevole delle maestre. Partendo poi dal presupposto che i bambini non si fossero portati la bandiera da casa e non fossero a conoscenza dei cori prima di entrare nel palazzo, posso immaginare che la consegna della bandiera e l’insegnamento dei cori sia avvenuto all’interno, e che quindi ci sia stata la possibilità di un incontro, nemmeno troppo breve, tra i bambini e gli attivisti. Escludendo a priori che le maestre avessero lasciato soli i bambini in quel momento (culpa in vigilando, lo sanno tutti i docenti), possiamo concludere che il tutto sia avvenuto sotto gli occhi ben attenti delle maestre. Anche questo fatto, dunque, non è frutto del caso o della coincidenza, ma di una scelta libera e consapevole: le maestre volevano che accadesse. E il non essere intervenute mentre accadeva è lì a dimostrare la loro volontà.
Ma quale scelta libera e consapevole? Io direi: quella di utilizzare la propria posizione per indottrinare i bambini indirizzandoli nella direzione voluta. Mi rifiuto di pensare che i piccoli siano profondi conoscitori della storia della Palestina e di Israele, dei loro rapporti, del contesto internazionale, dei conflitti arabo-israeliani, dello Yom-Kippur, di Hezbollah, dell’Iran, di Arafat, di Sharon, di Ben Gurion e di Golda Meir. Figuriamoci poi se possono comprendere le implicazioni sottese a quello che sta avvenendo, impresa che non riesce nemmeno agli adulti più impegnati. Più facile pensare, al contrario, che come qualsiasi loro coetaneo prima di entrare in quel palazzo i bambini non sapessero nemmeno dove sia la Palestina e che esista Gaza. E non è neanche detto che adesso lo sappiano: io direi che ne hanno imparato il nome.
A scuola oggi non si insegnano più nemmeno le regioni italiane, mi rifiuto di credere che si approfondiscano gli aspetti geopolitici del Medio Oriente e la geografia degli Stati di quell’area! E se anche questo dovesse incredibilmente accadere, di certo non avviene in seconda elementare. A malapena, dunque, quei bambini potrebbero sapere che è in atto una guerra da qualche parte, in uno Stato chiamato Israele, a patto di ritrovarsi in casa qualche bravo genitore che educhi i figli alla visione di qualche telegiornale.
Concludo immaginando che queste stesse maestre, che povere-noi-non-sapevamo-nulla-di-tutto-ciò, non porteranno i propri alunni a visitare una comunità israeliana per ascoltare ciò che magari questa ha di interessante da dire loro. Così, per par condicio. Ma questo non avverrà, stiamone certi.
Siamo davanti, caro Valli a una rappresentazione plastica di uno dei grandi problemi della scuola oggi, e che ho tentato di descrivere, a parole, in diversi articoli. Ma qui è avvenuto un fatto che spiega il mio pensiero molto meglio di migliaia di parole. Bambini di seconda elementare che, anziché essere in classe a imparare a leggere (bene), scrivere (bene) e fare (bene) di conto, sono consapevolmente usati da adulti i quali, anziché essere in classe a fare il proprio mestiere (per cui lo Stato, cioè tutti noi, li paga), sono in giro per la città a indottrinare i propri alunni. Chiamando tutto questo “scuola”. Non sono sufficienti i molteplici esempi che quegli idioti di Ultima Generazione ci hanno fornito per capire che un giovane indottrinato politicamente, e nel contempo profondamente ignorante, è il peggio a cui la nostra società potrebbe aspirare? Ma soprattutto: il nostro compito è quello di inculcare nella testa degli studenti che cosa devono dire e cosa devono pensare, oppure quello di dare loro gli strumenti fondamentali (gli “elementi”, appunto) perché possano fare questo da soli, formandosi un proprio pensiero e una propria convinzione? Il compito di noi insegnanti è quello di formare soldatini bene addestrati e che non capiscano nulla di quello che fanno e che dicono, o di formare persone?
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Foto da Corriere della sera