È in libreria l’ultimo libro di Paolo Gulisano, medico, scrittore e collaboratore di Duc in altum. Si tratta di una riflessione sull’Intelligenza Artificiale, tema già trattato più volte in questo blog.
Il libro si intitola Imperativo tecnologico. La sfida etica dell’Intelligenza Artificiale (Idrovolante Edizioni, 180 pagine, 14,25 euro).
*
Paolo Gulisano, innanzitutto ci puoi spiegare questo titolo?
La nostra epoca di molti dubbi e pochissime certezze vede però l’imporsi di una sorta di imperativo tecnologico: se qualcosa è tecnicamente possibile, perché non farla?
“Si può fare!” scandisce urlando il professor Frankenstein della versione cinematografica parodistica di Mel Brooks, rendendosi conto che l’ipotesi di dare la vita a un cadavere è fattibile.
Questa sorta di ubriacatura ha preso di fatto scienziati, ma anche economisti e politici, particolarmente sensibili alla seduzione del “perché no?”
L’Intelligenza Artificiale (IA) è un esempio di questo imperativo tecnologico. “Che piaccia o no, l’Intelligenza Artificiale è destinata a cambiare il mondo” ha detto Klaus Schwab, professore di economia politica all’Università di Ginevra, nonché fondatore e direttore esecutivo del Forum economico mondiale, meglio conosciuto come forum di Davos [qui l’ultimo articolo su Schwab pubblicato da Duc in altum].
Che piaccia o no. Molto significativa questa precisazione. Schwab sembra essere consapevole che ci possono essere dubbi, opposizioni e resistenze a questa determinata evoluzione della società, ma non importa: questo cambiamento s’ha da fare.
Tu non sei un matematico, né un informatico, ma un medico. Da dove nasce questo interesse per l’IA?
L’IA è stata accolta con grande entusiasmo in campo medico. Non c’è numero di rivista medica che non parli di sue nuove applicazioni. Stanno proliferando corsi di aggiornamento su di essa, e nel parlare con medici si avverte un’approvazione incondizionata.
Al momento è impiegata in un’ampia varietà di campi della medicina. Rappresenta un approccio più che materialistico alla malattia: è la medicina dei dati, e non più quella dei sintomi.
Nella medicina tradizionale, umanistica, per come l’abbiamo finora conosciuta, una delle basi della clinica, della diagnosi e della cura era la semeiotica, ossia lo studio dei sintomi soggettivi e dei segni oggettivi di malattia, e di come entrambi debbano essere integrati per giungere alla diagnosi. Nel corso del tempo, assieme all’esame obiettivo del paziente e allo studio anamnestico, si sono aggiunti gli esami di laboratorio e le varie tecniche di diagnostica speciale, come esami radiologici, elettrocardiografia, endoscopia. Questi da tempo hanno preso il sopravvento sull’esame clinico, ma nella medicina dell’IA tutto verrà organizzato e gestito dalle macchine.
A difesa dell’IA in medicina si schiera chi dice che grazie al suo aiuto si possono combinare dati clinici, radiologici e molecolari di nuova generazione con l’obiettivo di produrre nuovi score predittivi del rischio per terapie sempre più personalizzate. L’integrazione di tutti i dati disponibili può cioè portare a interventi più appropriati.
Qualcuno comincia a parlare di “Dottor IA”, il medico ideale, quello che non può sbagliare. Tutto questo viene indicato anche con una parola divenuta quasi magica: innovazione.
Come ci si può opporre all’innovazione? Sarebbe come opporsi al progresso. Non si può essere indietristi! Ma siamo proprio sicuri che non avevamo già raggiunto una quota ottimale di conoscenze e di applicazioni in campo medico, e ora abbiamo invece intrapreso una parabola discendente? E siamo sicuri che le nuove tecnologie non abbiano effetti avversi?
Tu parli di “sfida etica” dell’IA. Ci puoi spiegare?
I sostenitori entusiasti della IA ritengono che il processo che porta il sistema intelligente a risolvere un problema è un procedimento formale che si rifà alla logica, e che permette di ottenere il miglior risultato atteso date le informazioni a disposizione.
La misura di efficacia della IA è la somiglianza con il comportamento umano o con un comportamento ideale, detto razionale. Il risultato dell’operazione compiuta dal sistema intelligente non deve essere distinguibile da quello ottenuto da un umano.
La macchina può fare quello che fa l’uomo, e lo può fare più razionalmente. Pensare e agire razionalmente: il sogno secolare di tutti i Razionalismi, cioè quelle correnti filosofiche, dall’antica Grecia al Rinascimento per arrivare all’età moderna, basate sull’assunto che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza. In generale, i filosofi razionalisti hanno sempre sostenuto che, partendo da principi fondamentali, individuabili intuitivamente o sperimentalmente, come gli assiomi della geometria, i principi della meccanica e della fisica, si possa arrivare tramite un processo deduttivo a ogni altra forma di conoscenza.
Il nuovo potere tecnico non è solo un’applicazione economica della scienza nella vita quotidiana ma è una concezione filosofica del mondo e una visione parareligiosa della vita comune, basato sull’idea di imitazione, di simulazione.
Le simulazioni sono uno strumento sperimentale di analisi molto potenti, utilizzate in molti ambiti scientifici e tecnologici, ma la simulazione può portare anche a esperimenti molto pericolosi, a modifiche radicali della realtà. Un famoso detto di Lenin asseriva: se le teorie non corrispondono alla realtà, tanto peggio per la realtà.
La questione dell’Intelligenza Artificiale va oltre un mero dibattito scientifico: è anche filosofico, antropologico e infine religioso.
Certamente. Dietro queste idee, a questi progetti, fa capolino un’antichissima eresia, la più pericolosa della storia, quella della Gnosi. La seduzione della piena e perfetta conoscenza del mondo proposta da Satana nella Genesi: sarete come Dio.
È l’idea dell’autodivinizzazione dell’uomo, che va oltre i confini della natura.
Ebbri delle nuove scoperte tecnologiche, gli scienziati possono diventare i nuovi prometei in grado di spiegare tutto ciò che è umano con l’informatica, con la matematica, con le neuroscienze, con la chimica, analizzando geni, neuroni, ormoni e coscienze. L’uomo, in tal modo, e con l’aiuto di macchine “intelligenti”, non racchiuderà più alcun mistero.
Non si tratterà più di conoscerlo, ma di ricostruirlo; ovvero di inventarlo o reinventarlo. Anche se l’esito può essere mostruoso.
Un esempio ci viene dalla Letteratura, dal Frankenstein di Mari Shelley, scritto due secoli fa da una ragazza appena ventenne che era figlia di due esponenti di spicco dell’Illuminismo inglese.
Il mostro di Frankestein è un organismo ricostruito, il risultato
di un bricolage biologico. È il tentativo ambizioso ma ridicolo
di vincere la morte: così come l’Anticristo è “simia Dei“, il mostro di Frankestein è “simia hominis“, una goffa imitazione mal riuscita dell’uomo.
È il tentativo, in termini antropologici, di imitare la mente umana. Ma la mente umana non è, come ChatGPT e i suoi simili, una goffa macchina statistica per il riconoscimento di strutture, che ingurgita centinaia di terabyte di dati ed estrapola la risposta più plausibile per una conversazione o la più probabile per una domanda scientifica. Al contrario, la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente ed elegante che opera con una quantità limitata di informazioni. Essa non cerca di inferire correlazioni brute da dati, ma cerca di creare spiegazioni.
Nell’era dell’Intelligeza Artificiale ci sarà ancora posto per Dio?
L’ultima religione prodotta dall’IA sarà una sorta di tecnognosi. Si è già detto che questo pensiero detesta l’uomo per come è stato creato da Dio, perché ritiene che sia stato creato male. Per molto tempo l’obiettivo di questa terrificante eresia era di correggere Dio, ma ora la nuova superba meta è quella di sostituirlo, di rimpiazzarlo col prodotto di un algoritmo.