Neo-dittatura e folle politica bellicista. Molto di nuovo sul fronte occidentale
di Fabio Battiston
La rapida evoluzione della situazione internazionale fa pensare al famoso romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale e ai suoi personaggi immersi, loro malgrado, in un conflitto di cui presto percepiranno a loro spese l’assurdità e l’inutilità. Come non pensare ai Bäumer, Kropp e Müller, giovanissimi tedeschi di allora messi di fronte al loro tragico destino, senza che la nostra mente, con un salto di oltre un secolo, incontri il medesimo sguardo e la cupa rassegnazione negli altrettanto giovani russo-ucraini che da due anni combattono e muoiono su quell’estremo fronte europeo? Un territorio che, macabra ironia della sorte, è costellato di quelle stesse trincee in cui i fanti di allora trovarono la morte. Ma se queste sono le innegabili similitudini tra l’odierna situazione e il romanzo del 1928, totalmente opposto è invece lo scenario che ha dato origine al titolo di quel capolavoro. Oggi, drammaticamente, possiamo e dobbiamo infatti dire Molto di nuovo sul fronte occidentale, un fronte che non è più limitato al vecchio continente ma abbraccia l’intero ambito transatlantico euroamericano. Quell’Ovest ora più che mai protagonista attivo nell’incrudimento, che appare inarrestabile, della situazione internazionale. In queste ultime settimane, in un crescendo che cambia (in peggio) di ora in ora, stiamo assistendo a una serie di indiscutibili eventi che qualificano l’Occidente politico-militare come il soggetto più impegnato nel gettare benzina su un incendio che esso stesso ha contribuito in modo determinante a far scoppiare. Ecco alcuni tra i fatti più recenti.
La neo-dittatura liberal statunitense, calpestando gli ultimi rimasugli di quella che fu una grande democrazia, si sta avviando verso una possibile guerra civile. Il tentativo di eliminare per via giudiziaria il suo unico avversario politico, Donald Trump, ne è la chiara dimostrazione. Gli eventi del gennaio scorso in Texas, dove una serie di sussulti secessionisti non sono stati ostacolati dalla guardia nazionale che anzi si è schierata in aperta contrapposizione col governo federale, fanno pensare a una miccia già accesa. La paura di una sconfitta novembrina, per l’estremismo Dem, si è ormai trasformata in vero e proprio panico. Guarda caso, una magistratura servile e corrotta sta cercando in ogni modo di essere utile stampella per il tremebondo Biden. È molto probabile, infatti, che un’eventuale prossima presidenza del Tycoon potrebbe portare a una rapida conclusione del conflitto nell’Est Europa (che forse, con Donald, non sarebbe neppure iniziato). È un’opzione vista con terrore sia dall’attuale amministrazione Usa sia da gran parte delle cancellerie europee accompagnate dalla fetida coppia unionista Bruxelles-Strasburgo.
La Nato – per tramite del suo segretario, un inqualificabile e stolto guerrafondaio che non riesce nemmeno a rendersi conto dell’inaudita gravità di ciò che va blaterando – minaccia ogni quarto d’ora un inasprimento militare delle attività occidentali contro la Russia. Attività non più limitate a forniture di armi al belligerante ucraino (cosa già di per sé gravissima) ma che ora prefigurano: a) l’impiego di dette armi direttamente contro il territorio e le forze armate russe. b) il possibile invio di truppe a fianco di Kiev.
In questo allucinante balletto si distinguono, oltre naturalmente agli Usa, una serie di nazioni – Inghilterra, Germania e Francia in testa con il codazzo di Danimarca, Finlandia, Polonia e Svezia – che pare non vedano l’ora di trascinare il mondo, e in primo luogo l’Europa, in una devastante guerra demolitrice. La posizione dell’Italia è, more solito, insulsa e al tempo stesso vile.
L’Unione europea continua, moltiplicandolo, lo sviluppo delle sue inutili e controproducenti misure ritorsive finanziarie che, oltre a non arrecare nessun danno al “nemico” (secondo molti analisti internazionali l’economia e la finanza russe appaiono più forti che mai) creano notevoli problemi alle nazioni aderenti all’Unione, come ad esempio l’Italia. È palese, quindi, come lo scopo delle sanzioni sia solo quello di mantenere alta la tensione, allontanando qualsiasi possibilità di negoziato.
Molti fatti nuovi, dunque, hanno contraddistinto le ultime settimane di questo bellicoso Occidente. I suoi leader – politici, militari ed economici – si distinguono nel perseguire una strategia di provocazione continua nei confronti della Russia, iniziata più di trent’anni fa. È sufficiente ripercorrere brevemente le tappe di questo crescendo rossiniano che non avrebbe potuto non sfociare, come in effetti è avvenuto, nella reazione di Mosca. Si è iniziato con l’indiscriminata espansione a Est della Nato, avviata dopo il crollo del blocco sovietico, che ha progressivamente portato fin sotto il naso di Putin armamenti, basi militari e strutture logistiche della Nato. Forse non tutti ne hanno piena consapevolezza ma ben nove nazioni ex-aderenti al Patto di Varsavia o ex repubbliche sovietiche ospitano oggi strutture militari sotto il comando euroamericano (il che significa, in buona sostanza, direzione Usa): Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria. Questo senza contare le recenti adesioni di Svezia e Finlandia da sempre importanti aree cuscinetto nella geografia militare di quelle aree. Perché questo allargamento dell’impero? Quali le reali esigenze militari, geo-politiche e strategiche? Quali le concrete minacce a fronte della disintegrazione dell’apparato politico-militare dislocato dietro la cortina di ferro; il nemico giurato, per quarantacinque anni, del cosiddetto “mondo libero”? Nessuna ragione obiettiva se non quella di perseguire un disegno, nel medio termine, finalizzato a porre fine alla nazione russa così come essa si è andata sviluppando dopo la caduta del muro di Berlino. A questa strategia, questo è ciò che penso, si può e si deve dare un solo nome: aggressione!
Ma la pressione militare non basta; occorre affiancare ad essa un potente ed altrettanto dannoso strumento basato su tre “sistemi d’arma”, efficaci quanto e più di quelli missilistici: politica, finanza ed etica. A tutto questo pensa da trent’anni l’altro braccio armato dell’Occidente: l’Unione europea. Sarà solo una coincidenza ma tutti i paesi dell’Est prima indicati in ambito Nato sono divenuti negli anni anche membri a pieno titolo dell’Ue. Ed altri ancora stanno per entrare nell’orbita di questo buco nero (Georgia). Ecco quindi che l’impero ha fatto bingo! Con il ricatto economico dei miliardi destinati ai paesi aderenti, supportato da ulteriori armi, stavolta di tipo finanziario, come lo spread, la famigerata Unione invade quelle nazioni e i loro popoli con la propria politica e visione etico-valoriale, il tutto ammantato da due magiche parole: democrazia e diritti. Inutile specificare, vero? I lettori di Duc in altum sanno benissimo di cosa sto parlando. Mai cancro più devastante e metastatico è apparso sulla faccia della terra. Forse solo L’invasione degli ultracorpi, film cult del 1956, può rendere l’idea del processo in atto.
Siamo quindi giunti al redde rationem? Il conflitto russo-ucraino si trasformerà in guerra totale? Purtroppo è una prospettiva che si presenta possibile ogni giorno di più. È l’Occidente che la vuole. La desidera ardentemente il mostro americano a trazione dem-woke, che farà di tutto per vincere le elezioni con un colpo di mano giudiziario e avere poi mano libera (guerra civile permettendo). La brama senza posa quest’Unione europea, portatrice di corruzione, disvalori e potere economico-finanziario. Un’Europa le cui bellicose decisioni potranno essere delegittimate e depotenziate solo se i suoi sudditi, in un’improvvisa resipiscenza, sapranno disertare in massa le urne di inizio giugno. Ed infine la vuole la chiesa cattolica temporale – accodata alla vipera euro bruxellese – che sotto l’ipocrita parvenza di un pacifismo da accatto vede in questa possibile nuova crociata del XXI secolo lo strumento per togliere di mezzo un millenario e sempre odiato nemico: l’Ortodossia.
Per giustificare, senza ulteriori discussioni, la necessità assoluta della scelta astensionistica è sufficiente leggere queste parole pronunciate dal signor Mattarella in occasione della festa della Repubblica: “L’Italia è inserita nell’Ue, di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento europeo, la sovranità”.
Ecco che significa andare a votare l’8 e il 9 giugno: legittimare la sparizione della nostra libertà e sovranità. Più chiaro di così! E lo dice nientepopodimeno che colui che dovrebbe essere il garante massimo della nostra indipendenza!
Vulgus vult decipi, ergo decipiatur.