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Ucraina e sistemi d’arma ad alta tecnologia. Chi preme quei bottoni?

di R. Daneel Olivaw

In queste ultime settimane l’attenzione di quasi tutti gli organi di informazione è puntata su un aspetto particolare del conflitto russo-ucraino: il supporto militare occidentale al governo di Kiev e, nella fattispecie, la fornitura alle forze armate di quel paese di sofisticati sistemi d’arma. Stiamo parlando di sistemi missilistici utilizzabili sia per attacchi su obiettivi terrestri sia per esigenze di difesa controaerea. Queste armi possono essere “lanciate” sia da mezzi aerei (è atteso l’arrivo a Kiev, ad esempio, dei caccia multiruolo F-16) come pure da piattaforme mobili terrestri. Tra queste ultime – è notizia degli ultimi giorni – figura anche il SAMP/T, un sistema missilistico italo-francese per la difesa aerea e antimissile a medio raggio, di cui il nostro ministro degli affari esteri, Antonio Tajani, ha annunciato il prossimo invio in Ucraina.

In tale scenario il tema più dibattuto dai mass media riguarda il possibile impiego di questi sistemi direttamente contro il territorio russo per colpire installazioni e basi militari, dislocamenti di truppe e mezzi o siti industriali per la produzione di armi e munizioni. In questo mio contributo vorrei dimostrare che l’aspetto maggiormente preoccupante per noi non risiede tanto su dove colpiranno queste armi (argomento grave e certamente da non sottovalutare) quanto piuttosto su chi potrà/dovrà impiegarle nella prima fase della loro operatività, un tempo che potrebbe non essere affatto breve. Prima di entrare nel merito della questione ritengo opportuno sottolineare che quanto riportato nel seguito non rappresenta un’opinione personale ma deriva dalla mia esperienza diretta in qualità di specialista che ha operato per molti anni nel settore della Difesa. Le attività di cui mi sono occupato hanno riguardato, in particolare, l’addestramento operativo e manutentivo del personale addetto a sistemi d’arma complessi e le problematiche di ingegneria del supporto logistico connesse con il loro efficace impiego.

Quando sentiamo parlare di forniture belliche occidentali all’Ucraina (e di niente altro) occorre sempre fare delle distinzioni e valutare i modi, i tempi, e le problematiche tecniche che devono essere trattate e risolte per consentire alle varie armi di essere efficacemente impiegate e manutenute nelle operazioni di teatro. Se il discorso riguarda gli armamenti cosiddetti leggeri (fucili, mitragliatrici, armi automatiche di varia tipologia fino ad arrivare ad armi pesanti portatili, tipo taluni sistemi anticarro per la fanteria) non vi sono particolari problemi. Le armi e le munizioni arrivano a destinazione e possono essere impiegate praticamente in tempo reale (scusate il cinismo). Tuttavia, già se parliamo di mezzi pesanti la questione inizia a complicarsi. Artiglierie semoventi, autoblindo, caccia-carri, carri armati e la panoplia di mezzi blindati da combattimento e trasporto truppe, necessitano di un certo livello di training preliminare e sono accompagnati da un non banale apparato di supporto logistico. Vi è poi la problematica del loro impiego tattico. Nella guerra moderna l’uso combinato di numerosi mezzi sul terreno implica l’adozione di strategie, tecnologie e supporti senza i quali il loro “rendimento” viene drasticamente ridotto, se non annullato. Tradotto in altri termini, fornire all’esercito Ucraino cinquanta carri armati Abrams M1 (Usa) può significare molto o… praticamente niente. Occorre mettere questi strumenti bellici nella condizione di una loro piena e continua “disponibilità operativa” ed essere in grado di farli funzionare per conseguire gli obiettivi tattici per i quali sono stati progettati e costruiti. E non è come premere un grilletto.

Tali questioni, poi, si fanno molto più complesse se le forniture riguardano sistemi missilistici terrestri e, più in generale, sistemi d’arma innovativi denotati da grande complessità ingegneristica e funzionale (tra essi anche quelli che appartengono al settore della guerra elettronica). Mi sto riferendo a tecnologie che, per poter essere efficacemente impiegate per i loro obiettivi operativi, necessitano di cicli di formazione, destinati a personale altamente specializzato, della durata di diverse settimane, talvolta di mesi. Vi è poi il rilevantissimo aspetto di ciò che si chiama supporto logistico integrato, cioè di tutto quanto deve essere messo in campo “dietro” al sistema di combattimento vero e proprio; si tratta di tecnologie, strumenti, laboratori, parti di ricambio e relativi depot, personale esperto nella manutenzione meccanica, elettrica, elettronica eccetera. Parliamo di quanto è indispensabile per garantire la piena disponibilità operativa di questi mezzi (occorre tener presente, infatti, che guasti, malfunzionamenti o degradazioni delle prestazioni operative possono essere tutt’altro che infrequenti anche in tempo di pace).

La conclusione dell’analisi, semplice e preoccupante al tempo stesso, riguarda chi premerà, o magari sta già premendo, i bottoni di questi sistemi. I punti fondamentali da tener presente sono i seguenti.

Qualunque sistema d’arma missilistico terrestre (o comunque tecnologicamente sofisticato) inviato dall’Occidente all’Ucraina, come ad esempio il SAMP/T dall’Italia, non potrà essere immediatamente ed efficacemente utilizzato se non dopo un periodo non breve di preparazione e predisposizione (siti operativi, personale, logistica, test preliminari). Questo significa che se, come apparso in questi giorni sugli organi di informazione, alcuni sistemi inviati negli ultimi giorni o settimane sono già stati positivamente impiegati contro i russi, siamo di fronte ad una di queste possibilità:

1) il personale militare ucraino ha già svolto e positivamente concluso un’intensa attività di addestramento – tattico, operativo e manutentivo – che consente loro, qui ed ora, di utilizzare al 100% e autonomamente questi sistemi. Dal momento che queste attività preliminari, come abbiamo visto, hanno durate medie nell’ordine di alcune settimane o qualche mese, ciò significa che personale civile e militare occidentale le ha condotte direttamente in Ucraina oppure che aziende della Difesa e basi militari europee hanno ospitato ufficiali e sottufficiali ucraini nelle proprie sedi.

2) questi sistemi d’arma sono inviati in Ucraina insieme a personale militare (di comando, operativo, manutentivo e logistico) dei paesi Nato. In tal caso, come nazione aderente all’alleanza, noi saremmo già direttamente e attivamente coinvolti nel conflitto.

Personalmente vedo poco probabile l’ipotesi 1, per queste ragioni:

a) scarsità di personale militare ucraino disponibile (e specializzato), da distogliere per settimane o mesi dallo scenario bellico a motivo delle esigenze addestrative. Tale numero non è piccolo di per sé e occorre anche prevedere il necessario avvicendamento del personale dovuto a morti, feriti o temporaneamente indisponibili per varie cause (scusate per la seconda volta il cinismo). Tra l’altro, a causa delle vicende belliche e delle innumerevoli perdite subite, le forze armate ucraine hanno di molto incrementato l’aliquota di personale non professionale (la leva, ad esempio, mobilita ora i giovani dai venticinque anni e non più dai ventisette) quindi con maggiori esigenze di addestramento sia generale che specialistico;

b) difficoltà per il personale appena addestrato di utilizzare subito e operativamente al meglio questi sistemi d’arma. L’esperienza diretta suggerisce infatti che, subito dopo i periodi addestrativi, vi è sempre necessità dei cosiddetti on the job training per consentire al personale formato il necessario periodo di familiarizzazione pratica con i sistemi. Una fase del genere è praticamente impossibile in uno scenario bellico attivo. Si rischia di mandare gli operatori allo sbaraglio.

Ecco quindi che, a mio avviso, è molto più probabile la seconda opzione, quella peggiore, che potrebbe portare ad una rapida ed ingovernabile escalation del conflitto.

Insomma, stiamo molto attenti alle informazioni “ufficiali” che stanno circolando. I mass media concentrano l’attenzione sul fatto che questi sistemi siano o meno utilizzati (o utilizzabili) contro il territorio russo. Teniamo presente che questo è già in parte avvenuto. Nel caso del SAMP/T di fornitura italiana, poi, quest’aspetto è comunque ininfluente, trattandosi di un sistema prettamente difensivo. Il punto più drammatico è invece un altro. Chi sta materialmente utilizzando e manutenendo, e con quali divise, queste armi ad alta tecnologia? Il mio timore (e tremore, per dirla con Kierkegaard) è che un numero non esiguo di soldati della Nato stia già combattendo da quelle parti, chiuso negli shelter di comando e controllo di questi sistemi d’arma o impegnato nella loro manutenzione.

Che Dio non voglia.

 

Aldo Maria Valli:
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