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Cronache dalla grotta / Appartenenza e stabilità, virtù perdute

di Rita Bettaglio

L’appartenenza e la stabilità sono ancora dei valori?

Nel mondo di oggi sembrerebbe di no. Appartenere in maniera stabile a qualcosa o a qualcuno viene ora considerata una diminuzione della libertà individuale.

Appartenere è darsi, legarsi a una realtà o una persona precisa. È incarnarsi, fondersi indissolubilmente con altro da me, hic et nunc. È passare dal dio dei filosofi al Dio cristiano. A questo si riferiva san Paolo quando chiamò “Cristo crocifisso scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23).

Anche nella grotta è arrivato giugno, con le sue giornate lunghissime, il sole sincero e dirompente e la delicata bellezza dei papaveri. Che fiore umile e affascinante il papavero: silenzioso, delicato coi suoi petali sproporzionati, così grandi e così sottili. Mi pare la figura di chi riconosce umilmente la propria fragilità, ma, come un bimbo, osa ergersi sul suo sottile stelo e dire: ecco, ci sono anch’io a rallegrare questo campo e i vostri occhi.

Le finalmente lunghe giornate di giugno ben si prestano alla contemplazione del mistero di Dio dal quale, per il quale e nel quale ogni cosa è stata creata. Questo Dio si è incarnato e ci chiama a fare lo stesso.

Ci chiama ad appartenere a Lui, a legarci, a fare professione di stabilità in Cristo e nel Suo corpo mistico che è la Chiesa.

I figli e le figlie di san Benedetto fanno voto di stabilità: essi vivranno e moriranno nel monastero in cui Dio li ha voluti. In quel luogo preciso, in quella comunità monastica, in quella terra. La stabilitas loci è l’incarnazione del monaco: tra quelle mura, sotto quel cielo, con quei fratelli, sotto quell’abate egli si legherà e apparterrà tutto a Cristo. Non avrà più nulla di proprio, non per un oscuro piacere di alienazione, ma perché, rinunciando a tutto, avrà tutto.

Cos’è questo tutto? In cosa consiste? In una veste nera e una cocolla così larga da perdercisi dentro?

Dice Doroteo di Gaza (che è stato tanto qui nella grotta e ha lasciato il segno coi suoi insegnamenti), citando il Gerontikon: “La cocolla è simbolo della grazia di Dio nostro salvatore, che ripara la nostra facoltà spirituale superiore e riscalda la nostra infanzia in Cristo per difenderla da coloro che cercano sempre di percuoterla e ferirla”.

Nella cocolla ci si perde: è larga e ha le maniche lunghissime e oltremodo larghe. Cantando notte e giorno l’Ufficio divino il monaco perde sé stesso, i propri pensieri e ragionamenti per unirsi ai fratelli nella lode della salmodia e a Dio autore della salmodia stessa.

Come piccoli rivoli, le voci dei monaci s’uniscono in un grande fiume, placido e antico come il mondo, che porta a Dio la lode e la supplica a nome proprio e di tutti gli uomini.

I monaci sono uomini chiamati a vivere più vicini a Dio di tutti gli altri: grande e tremendo privilegio che costa lotte e duri combattimenti contro la natura e le sue passioni. Questo loro stare sulla soglia della divinità, prossimi al roveto che arde ma non si consuma, è qualcosa che la gente comune coglie immediatamente, anche se di religione o di vita spirituale non sa pressoché nulla. Ma capisce che i monaci che sono veramente tali stanno tra loro e Dio e guardano all’Uno e agli altri, parlano a Lui di tutti loro. Per questo essi sono attratti dai monasteri e vi salgono volentieri.

Spesso i monasteri sono sul monte, in posizione elevata e con la preghiera abbracciano tutta la valle sottostante, raccolgono i sospiri e gli aneliti di tutti i suoi abitanti e li presentano al cielo.

Gente che parla all’orecchio di Dio, i monaci. Che fa ciò che di più prezioso c’è al mondo: tibi sacrificabo hostiam laudis et nomen Domini invocabo.

“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”: ecco cosa si fa nei monasteri, attraverso l’Ufficio divino e la celebrazione del santo Sacrificio della Messa.

Ci può essere sulla terra qualcosa di più prezioso e utile? Ci può essere vocazione più speciale di questa? Riflettiamoci sotto questo bel cielo terso di giugno.

Per ora dalla grotta è tutto. Nel silenzio meridiano i grilli e le cicale friniscono il loro particolare e semplice ufficio, come Dio ha prescritto loro da anni annorum. Deo gratias.

Aldo Maria Valli:
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