di Fabio Battiston
Il 16 giugno scorso si è tenuta a Lucerna, in Svizzera, la più insulsa conferenza di pace nella storia dei tempi moderni. Il falso obiettivo principale – strombazzato ai quattro venti dall’Occidente – era quello di definire un piano, realistico e credibile, che potesse finalmente mettere la parola fine al conflitto russo-ucraino. Voluta e organizzata dall’Onu e dalla cricca Ue-Usa, la conferenza intendeva invece conseguire, dal punto di vista dei paesi euro-nordamericani, tre fondamentali scopi:
sancire in modo indiscutibile l’isolamento politico, militare e finanziario della nazione russa e del suo indiscusso leader;
dimostrare al mondo la propria vocazione a essere l’unico soggetto in grado di garantire stabilità e pace su questo pianeta di fronte alle più gravi crisi internazionali;
mostrare all’odiato nemico ex-sovietico la propria indefettibilità nel preservare la libertà e l’indipendenza dell’amata sorella Ucraina e, nel contempo, l’incrollabile volontà di raggiungere questo scopo con ogni mezzo, anche con la forza.
Tutto questo castello di desiderata, costruito con un maleodorante miscuglio di fango, sabbia e paglia, è crollato miseramente ancor prima che fosse detta la parola fine all’inutile meeting elvetico. Su 193 Paesi (quelli membri delle Nazioni Unite) potenzialmente coinvolgibili nell’iniziativa, soltanto 92 (circa il 48%) erano infatti presenti; neanche la maggioranza. Tra le poltrone vuote spiccavano quelle di due nazioncelle di terz’ordine: Russia e Cina. Prendo atto di come il non invito alla Russia sia stato motivato dalla sua preannunciata indisponibilità (che ho condiviso) a sedersi al tavolo di quella specie di conferenza. Va da sé che il più ovvio buon senso avrebbe dovuto sconsigliare l’avvio di un simile consesso. Come si può infatti realisticamente avviare un dialogo di pace in assenza di una delle due nazioni coinvolte direttamente nella guerra? E cosa si sarebbe mai potuto formalizzare in mancanza dell’interlocutore cinese senza il quale sarebbe problematico, per il mondo intero, prendere qualunque tipo di decisione, non solo nello scenario dei conflitti armati ma in ogni settore della vita del pianeta (capito intrepidi catto-ambientalisti ed “euro-gretini” ecosostenibili)? Queste semplici considerazioni dovrebbero far chiaramente comprendere i veri motivi che hanno spinto l’Occidente a realizzare questa kermesse che definire un’anatra zoppa è un eufemismo.
Tuttavia le due, sia pur pesantissime, defezioni russo-cinesi si sono rivelate quasi un’inezia di fronte a ciò che è accaduto durante la conferenza e, in particolare, analizzandone i risultati ottenuti. Anzitutto il contenuto della relazione finale. Per molti osservatori internazionali esso, a onta dei proclami di un Occidente sempre più millantatore, è stato redatto con non poca cautela nei confronti della Russia e non poteva essere altrimenti. Nonostante le limature apportate sino all’ultimo momento, sono stati ben 12 su 92 i Paesi che non hanno firmato la relazione conclusiva. Si dirà che ciò corrisponde a poco meno del 13% del totale ma, come giustamente accade nell’analisi di questi eventi, i voti non solo si contano ma “si pesano”. Ecco quindi che scorrendo la lista dei dissidenti si scoprono alcune cose veramente interessanti. Tra i dodici contrari figurano infatti: Brasile, India e Sud Africa, tre grandi democrazie che insieme a Russia e Cina formano l’ossatura dei Brics. Per i pochi che lo ignorassero, questa sigla indica un’organizzazione politico-economico-finanziaria di Stati tra le più potenti del pianeta, se considerata non solo sul piano politico-strategico ma anche in termini di Pil (Prodotto interno lordo) complessivo. Vi sono poi altre nazioni per nulla insignificanti come Emirati Arabi Uniti (anch’essi nei Brics), Indonesia, Messico, Thailandia, Armenia, Colombia e Libia. Oltre all’importanza strategico-economica, queste dodici nazioni, insieme a Russia e Cina, raggruppano una popolazione di circa tre miliardi e ottocento novanta milioni di persone. Parliamo di circa il 50% degli abitanti del pianeta.
Con buona pace del mondo occidentale a trazione euroamericana, quindi, la Conferenza di Losanna – lungi dal sancire l’isolamento e la condanna ufficiale di gran parte del mondo verso la Russia putiniana – ha solo consentito di acclarare che una parte quantitativamente e qualitativamente non banale del pianeta non approva il giudizio dell’Occidente su questo conflitto e sulla sua genesi. La narrazione che l’Onu e le “libere e democratiche” potenze occidentali cercano di far passare come vera, su quanto accaduto dalla caduta del Muro di Berlino in poi, non incontra più il favore di moltitudini che è sempre più difficile condizionare con gli abituali e sempre più sofisticati strumenti di oppressione e falsificazione della realtà. Si tratta delle stesse insulse narrazioni che, purtroppo, gran parte dei cittadini occidentali si “bevono” ogni giorno, acriticamente, su molti altri temi: ambiente, clima, tecnologia, sanità, vaccini, diritti soggettivi e altre amenità.
È veramente triste dover constatare che gli àpoti (cioè quelli che non se la bevono) di prezzoliniana memoria albergano oggi in maggior misura tra genti e popoli apparentemente meno abituati a saper cogliere la verità in mezzo ad un oceano di menzogne accuratamente preparate e servite dallo chef chiamato pensiero unico.