Sono stato intervistato da “The Remnant”
Cari amici di Duc in altum, vi propongo l’intervista che mi è stata fatta da The Remnant, una lunga chiacchierata [qui l’originale in inglese] con Robert Lazu Kmita su tutti i temi di attualità che riguardano la situazione nella Chiesa.
La foto del sottoscritto è un po’ datata (tempus fugit!) ma in fondo mi ha fatto piacere che qualcuno ricordi ancora i miei trascorsi televisivi.
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Robert Lazu Kmita: Caro Aldo Maria Valli, innanzitutto ti ringrazio per aver accettato questa discussione. Inizierò il nostro dialogo in un modo che è piuttosto teorico, se non addirittura teologico. Questo perché considero importante chiarire dall’inizio qual è il “nocciolo della questione.” Quindi, ecco la mia prima domanda: cosa significa per te la Tradizione (con la T maiuscola) cristiana? Eventualmente, puoi anche aggiungere brevi note riguardo a quegli episodi della tua biografia che hanno portato a un approfondimento di questa nozione cruciale.
Aldo Maria Valli: Voglio essere onesto. Stai parlando con un giornalista che si è laureato tanti anni fa in Scienze politiche. Non sono un accademico e non ho una preparazione specifica in campo teologico e filosofico. Mi ritengo semplicemente un battezzato, un figlio della Chiesa cattolica, che cerca di non dare mai per scontato il dono della fede e desidera alimentare questo tesoro che ho ricevuto per grazia e non per merito mio.
Intendo la Tradizione prima di tutto nel senso etimologico del termine: il passaggio di un patrimonio attraverso il tempo e le generazioni. Tradizione viene dal latino tradere, che sta a significare consegnare oltre. Consegnare oltre sé stessi, oltre il tempo. Ho quindi un’idea dinamica della Tradizione, ma non nel senso modernista, cioè nel senso di qualcosa che si può modificare a proprio piacimento in omaggio ai tempi che cambiano. La dinamicità sta nel passaggio di questo tesoro così grande e prezioso, la fede cristiana, che non può essere tenuto per noi stessi ma va donato a nostra volta, secondo l’insegnamento di Gesù. E va donato – ecco il punto – integro, non adulterato. Ecco perché è importante sottoporre sempre la fede a verifica rispetto al depositum fidei, l’unico e immodificabile patrimonio di verità consegnato da Gesù agli Apostoli e trasmesso fino a noi, nonostante alcune deviazioni e infedeltà, mediante la Chiesa. È proprio da tale complesso di verità che deve attingere la Chiesa dal punto di vista dottrinale. Il magistero della Chiesa deve certamente fornire linee di orientamento utili per vivere nel tempo storico che ci è stato assegnato, ma senza aggiungere né togliere nulla di sostanziale. Non può compiere alcuna forma di adattamento ai tempi e alla mentalità dominante del momento. Anzi, più la mentalità dominante si allontana dall’insegnamento di Gesù, maggiore deve essere l’impegno a mantenere il depositum integro, dunque completo e intatto. Ecco perché ogni volta che nella Chiesa si parla di “aggiornamento” il battezzato deve drizzare le antenne. Troppo spesso l’idea di aggiornamento, come abbiamo visto nel caso del Concilio Vaticano II, è stata usata per modificare e adulterare il depositum. Oggi più che di aggiornamento si parla di “discernimento”, ma il problema è sempre lo stesso. Dietro c’è la pretesa di modificare ciò che non può essere modificato. C’è la pretesa di mettere l’uomo al posto di Dio. Certo, il discernimento è importante, ma va inteso bene. Discernimento è, proprio alla luce del depostium fidei, cercare di cogliere sempre che cosa ci chiede Dio in determinate circostanze. I modernisti invece lo intendono come adattamento della Parola di Dio e del magistero ai tempi che cambiano.
Penso di aver sempre amato la Tradizione, forse anche perché mi sono formato nella Chiesa ambrosiana, che nella liturgia ha conservato, direi con orgoglio, il patrimonio che si rifà direttamente al vescovo e padre Ambrogio. Essendo nato nel 1958, è chiaro che sono cresciuto nella Chiesa postconciliare, e quindi ho respirato l’aria del cosiddetto “rinnovamento”, ma mi sembra di poter dire che ho sempre conservato dentro di me una sorta di nostalgia. Ho un ricordo sfuocato di me bambino nel santuario mariano della mia città. Avrò quattro o cinque anni e assisto alla santa messa con il prete che celebra rivolto al tabernacolo e predica dal pulpito. Molto più tardi ho scoperto la figura di monsignor Lefebvre e mi sono chiesto: com’è possibile che me l’abbiano sempre dipinto come un nemico della Chiesa quando invece è un vero difensore della fede? Durante il giubileo del Duemila, che seguii come vaticanista, rimasi affascinato dal pellegrinaggio della Fraternità San Pio X, forse l’unico momento veramente cattolico in un giubileo che rischiò di trasformarsi spesso in un happening con ben poco di spirituale. Oggi, purtroppo, non sempre riesco a partecipare a sante messe vetus ordo, ma da quando ho riscoperto il rito antico (che io preferisco chiamare rito di sempre) la messa riformata mi appare come qualcosa di contraffatto se non di snaturato, e mi chiedo come sia stato possibile arrivare a tanto. Preciso tuttavia che non nutro alcuna forma di animosità o di rancore. Anzi, ringrazio il Signore di avermi fatto riscoprire il rito tradizionale e di avermi fatto crescere, pur nella Chiesa del dopo Concilio, accanto a bravi sacerdoti.
Robert Lazu Kmita: Hai menzionato l’arcivescovo Marcel Lefebvre, uno dei più importanti difensori della Tradizione Cristiana, e la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Implicitamente, quindi, hai diretto la nostra attenzione verso l’argomento più importante: la crisi senza precedenti della Tradizione, attaccata da coloro che dovrebbero difenderla. Infatti, sia il Concilio Vaticano II che i papi degli ultimi decenni hanno sviluppato esattamente quella visione della Tradizione che implica il suo tradimento: uno “sviluppo” che in realtà significa un “aggiornamento” nel senso di adattare il Vangelo del Salvatore Cristo ai tempi moderni e alla mentalità secolare di oggi. Come giornalista che segue la vita cattolica nell’Italia contemporanea, come descriveresti la situazione dopo la reazione dell’arcivescovo Marcel Lefebvre? Ci sono stati vescovi in Italia che lo hanno seguito? E come stanno le cose al momento presente?
Aldo Maria Valli: Marcel Lefebvre fu un autentico vescovo, nel senso etimologico della parola: fu in grado di esercitare un ruolo di sorveglianza e di controllo, al di sopra della mentalità dominante e delle mode. Fu dunque lungimirante e la sua lucidità ci colpisce, perché l’amore per la fede e la Chiesa lo rese un vero profeta. In Italia abbiamo avuto due cardinali, Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, che già nel 1969 inviarono una lettera a Paolo VI (Breve esame critico del Novus Ordo Missae) per segnalare “gravi perplessità circa la “nuova messa”, e durante il Concilio alcuni vescovi italiani fecero parte del Coetus Internationalis Patrum, gruppo di ispirazione tradizionalista in ambito teologico e liturgico. Accanto ai già citati Ottaviani e Bacci, ricordo per esempio Ernesto Ruffini, Luigi Maria Carli ed Ermenegildo Florit, ma non abbiamo mai avuto un Lefebvre. Nel complesso, l’episcopato italiano, pur con alcuni distinguo, ha aderito alla linea del “rinnovamento” conciliare. E oggi la situazione è, direi, disperante. L’orientamento dominante è quello di ispirazione bergogliana: inclusività camuffata da misericordia, ecologismo, fratellanza (nel senso più massonico che cattolico del termine), vago umanitarismo. I vescovi scelti da Bergoglio non hanno alcuna preparazione specifica in campo teologico, dottrinale e liturgico. O, se ce l’hanno, è di tipo modernista. Francesco li sceglie dalle “periferie”, tra quelli che si dedicano ai migranti e sono attenti ai temi ecologici. In generale Bergoglio non si fida dei vescovi italiani e loro non si fidano di lui, il che determina anche una situazione di stallo e di mancanza totale di progettualità. Politicamente, sotto la guida del cardinale Zuppi, la Conferenza episcopale italiana è appiattita sul Partito democratico, il che la dice lunga sulla situazione. Quando si parla con ciascuno di loro, si scopre che, a parte alcuni pasdaran bergogliani, la maggior parte dei vescovi nutre dubbi crescenti su questo pontificato e non mancano le critiche. Ma sono espresse a mezza bocca, mai a viso aperto. C’è una sconcertante mancanza di coraggio. La parresia di cui tanto parla Bergoglio non esiste. Aggiungo che scegliere vescovi in larga parte impreparati è, da parte di Bergoglio, anche una strategia. Pensa così di assicurarsi il loro consenso e di poterli governare più agevolmente, ma il risultato, per la Chiesa, è solo il disastro unito a una totale irrilevanza. Non c’è un vescovo che sappia elaborare una visione originale e condurre un’analisi degna di questo nome sulla vita spirituale, religiosa e sociale. Della mancanza di incidenza sulla realtà italiana abbiamo avuto prova in occasione delle elezioni europee: i vescovi hanno appoggiato la sinistra, ma i cattolici hanno scelto o l’astensione o la destra.
Robert Lazu Kmita: I dettagli che hai fornito sulla situazione in Italia non fanno che confermare il quadro generale. A partire da Humanae vitae (1968) di papa Paolo VI, quando abbiamo visto intere conferenze episcopali distanziarsi dalla dottrina tradizionale della Chiesa, fino alle recenti azioni della Conferenza episcopale tedesca, osserviamo questa situazione lamentevole della gerarchia cattolica. Inoltre, se pensiamo ai papi degli ultimi decenni, con l’eccezione di papa Benedetto XVI, vediamo la stessa linea caratterizzata da ciò che potremmo chiamare “neo-modernismo”. Come si spiega una situazione così disastrosa? Come siamo arrivati qui? E come spieghi che l’Italia, il paese di tanti santi, si trovi nella situazione da te descritta?
Aldo Maria Valli: Non sono del tutto d’accordo sul fatto che Benedetto XVI abbia costituito un’eccezione. Mi sembra che abbia solo applicato una ricetta più moderata, ma restando sempre nell’alveo del neo-modernismo post Concilio Vaticano II. E non stupisce, visto che di quel Concilio fu uno dei protagonisti. Certo, in seguito si è reso conto dei pericoli e ha azionato il freno a mano, ma non ha potuto impedire all’automobile (per continuare nella metafora) di andare a sbattere. D’altra parte, dobbiamo essere consapevoli del fatto che i problemi di cui ci occupiamo, e che provocano in noi tanta sofferenza, nascono ben prima del Concilio Vaticano II. L’analisi del come si è arrivati fin qui richiederebbe un trattato, e in proposito sono state scritte tante opere. In due parole direi che è stato un progressivo cedimento della Chiesa al mondo. Per molteplici ragioni di varia natura (non escluse quelle psicologiche), la Chiesa ha incominciato a desiderare di essere in sintonia con il mondo anziché in perenne contrapposizione. Mi rendo conto che questa è una semplificazione, ma, se ci pensiamo, per risultare più in sintonia con il mondo e più “simpatica” (nel senso etimologico della parola: patire insieme, condividere emozioni), la Chiesa ha messo progressivamente da parte la questione della Verità ed ha abbracciato il relativismo e il soggettivismo etico che dominano la scena nel mondo. In tutto questo, l’avvento dei mass media ha avuto un ruolo centrale, anche se spesso ignorato. Come giornalista, posso testimoniare che il fascino esercitato dai mass media (in particolare dalla televisione) sugli uomini di Chiesa li ha portati in molti casi, al fine di essere accolti nel sistema della comunicazione, a mostrare un volto più cordiale, più amichevole, il che ha contribuito a determinare un cedimento sul piano dottrinale, morale e culturale. Da una Chiesa magistra vitae siamo passati a una Chiesa compagna di strada. La figura stessa del sacerdote ha subito questa metamorfosi. Non più l’alter Christus ma l’amico, il compagno. Per secoli e secoli la Chiesa ha insegnato che la Verità è tale indipendentemente dal nostro consenso. Il desiderio di risultare simpatica ha invece condotto la Chiesa a manipolare la verità al fine di adattarla al mondo, e il consenso del mondo ha acquisito un ruolo determinante. Ecco così la manipolazione dello stesso concetto di amore cristiano e di misericordia. Ha prevalso un sentimentalismo che ha svuotato il messaggio evangelico riducendolo a umanitarismo. E certe nozioni fondamentali (“Il mio regno non è di questo mondo” e noi, in quanto creature, siamo collaboratori di Dio nel piano di salvezza) sono state spazzate via.
All’interno di questo quadro, l’Italia non ha fatto eccezione. Forse qui la frequenza alla santa messa e ai sacramenti ha fatto registrare numeri meno devastanti di quelli del Nord Europa, ma in sostanza i pastori si sono progressivamente piegati al mondo. La parola chiave in questo processo è stata “dialogo”. La Chiesa ha smesso di insegnare e si è messa a dialogare. Ha smesso di considerare sé stessa come la più importante e decisiva realtà educativa per diventare una specie di centro di ascolto e di grande Caritas (nel senso di agenzia di soccorso) all’interno della quale è vietato non solo fare apostolato ma persino parlarne, perché suona male alle orecchie del mondo. Le responsabilità degli atenei cattolici e dei seminari è enorme. La filosofia che viene insegnata è impregnata di pensiero anti-cristiano. Tommaso d’Acquino è stato messo in un angolo e al suo posto abbiamo esistenzialismo e agnosticismo. Il tomismo classico è stato considerato un reperto da mettere in soffitta. E vogliamo parlare della concezione della regalità sociale di Cristo? Completamente omessa, eliminata. Tutto al fine di “abbracciare” il mondo. Come stupirsi, dunque, se oggi la Chiesa, anche in un paese di antica tradizione cattolica come l’Italia, riduce il suo pensiero a ecologismo e omosessualismo?
Robert Lazu Kmita: Condivido pienamente le opinioni riguardo a papa Benedetto XVI. Sono anche a conoscenza degli articoli che hai dedicato al controverso argomento delle sue dimissioni. Raccomando vivamente a tutti di leggere il post sul tuo blog del 15 giugno.[i] Per i nostri lettori, ti chiederei di presentare l’essenza della tua interpretazione: è stata valida o meno la rinuncia di Ratzinger? E di conseguenza, cosa puoi dirci riguardo alla elezione di papa Francesco?
Aldo Maria Valli: Circa la rinuncia di Benedetto XVI, mi sembra assodato che egli abbia rinunciato al ministerium ma non al munus. Ha rinunciato a esercitare attivamente la funzione papale ma non ha rinunciato al suo essere papa. La riprova sta nel fatto che si è dichiarato papa emerito, dunque papa. Non è tornato a essere il cardinale Ratzinger, ma ha mantenuto l’abito bianco, ha lasciato che lo chiamassero papa, ha firmato lui stesso messaggi con la qualifica di papa emerito ed ha impartito più volte la benedizione apostolica. Lui stesso in diversi interventi, specie subito dopo la Declaratio di rinuncia, ha detto di aver rinunciato al “ministero petrino”.
Secondo alcuni, avendo rinunciato al solo ministerium attivo e mai al munus, Benedetto XVI rimase, fino alla morte, l’unico vero papa, e il conclave che elesse Francesco fu, di conseguenza, invalido. Dalla Declaratio fino alla morte di Benedetto XVI avremmo quindi avuto una situazione di sede apostolica impedita, mentre dalla morte di papa Ratzinger saremmo in situazione di sede vacante.
In proposito non sono giunto ad alcuna conclusione, né penso che mi competa. Osservo che aver “scomposto” la figura papale in due è qualcosa che stride con tutta la tradizione precedente. In un certo senso, è come se Ratzinger avesse secolarizzato la figura del papa sottraendole sacralità a beneficio di una visione che privilegia la funzionalità e l’efficienza. Ma lungo questa strada la Chiesa non rischia forse di perdere la propria identità? Il vescovo Ambrogio disse Ubi Petrus, ibi Ecclesiam. Ma se i Pietro sono due? E come non temere che lo sdoppiamento della figura papale possa portare con sé un processo di relativizzazione dell’auctoritas?
Robert Lazu Kmita: Leggendo le tue parole, rifletto su di esse e su tutte le risposte e interpretazioni che ho letto negli ultimi dieci anni. È ovvio e prevedibile che tutti cerchiamo di trovare la risposta corretta per la situazione attuale. Eppure, ogni volta sentiamo che qualcosa ci sfugge, che qualcosa ci supera. Ci sentiamo piccoli e impotenti. Questo potrebbe nascondere la lezione che Dio stesso vuole ricordarci. Quella del Vangelo di Giovanni (15:4): “Senza di me non potete fare nulla”. In questo senso ti porrò una domanda che considero, dal punto di vista delle nostre vite, la più importante: Cosa possiamo e dobbiamo fare in un tale contesto per assicurarci di essere con Dio? Quali virtù dobbiamo praticare? Come dobbiamo pregare? In che modo dobbiamo vivere aspettando l’esito di questa crisi senza precedenti nella storia?
Aldo Maria Valli: In questi anni, dopo l’elezione di Francesco, io ho vissuto fasi diverse. Inizialmente, per la naturale deferenza che ogni cattolico ha nei confronti del papa, ho voluto accettare la situazione. Devo dire però che ogni volta che vedevo l’immagine dei due papi restavo turbato e qualcosa, dentro di me, la rifiutava. La trovavo incongruente e inquietante. Due papi? Ma com’è possibile? Pietro è uno! Nostro Signore ha affidato a lui solo la missione e la responsabilità di essere la roccia. Come pretendere di dividere la roccia? E cosa potrà succedere in futuro? Quando si inizia a dividere, non c’è il rischio che tutto si frantumi?
Poi si sono aggiunti i pronunciamenti e gli atti di Bergoglio, e da lì in poi il Signore mi ha fatto un grande dono: una benda mi è caduta dagli occhi. Una fase altamente provvidenziale, perché, dopo aver vissuto per tanto tempo da modernista inconsapevole, mi sono avvicinato sempre di più alla Tradizione e ho riscoperto la santa messa apostolica.
Più di recente mi sono trovato alle prese con una domanda che non riesco a mettere a tacere: come conciliare la contro-testimonianza di Francesco con il suo essere papa? Mi trovo in questa situazione e affido tutto al Signore. Certo, ci sono alti e bassi, e qualche volta stanchezza e sconforto sembrano prevalere, ma non rinuncio alla battaglia. Umanamente la preoccupazione per lo stato della Chiesa è forte, ma ho l’assoluta certezza che se il buon Dio ci ha mandato questa prova lo ha fatto, e lo sta facendo, per il nostro sommo bene. Il Signore ci sta invitando a essere svegli e vigilanti. Con la certezza che il male non può venire da Dio.
Tutto ciò significa intensificare la vita di preghiera, coltivare la salute dell’anima, alzare lo sguardo verso l’Assoluto. E significa, per me, andare all’essenziale, lasciando da parte tutto ciò che, al più, è solo contorno. Sto cercando di riscoprire, e di coltivare, i sette doni dello Spirito Santo (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1831): la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. Nella preghiera chiedo di cogliere la volontà di Dio, di essere coraggioso e di riuscire a sottomettermi a Dio riconoscendo la sua potenza.
L’esito della crisi non dipenderà da noi. A noi è chiesto di vigilare. Teniamoci pronti, con le lampade accese. La mia sensibilità è piuttosto lontana da ogni tipo di millenarismo, ma devo ammettere che i tempi in cui stiamo vivendo sono eccezionali sotto molti aspetti, e tutto ciò che è seguito alla rinuncia di Benedetto XVI non ci può lasciare tranquilli e imperturbabili, come se nulla fosse avvenuto.
Ringrazio il buon Dio per questa prova, che ha un contenuto altamente purificante, e cerco di mettermi al suo servizio con i talenti che mi ha donato.
Robert Lazu Kmita: Considerando che vivo in un paese in cui la liturgia tradizionale cattolica romana non è mai disponibile, è passato abbastanza tempo prima che abbia potuto scoprire questo tesoro. Tuttavia, ogni volta che incontro cattolici che l’hanno scoperta, sono sempre desideroso di ascoltare la loro storia. Nella tua ultima risposta hai parlato della scoperta della Tradizione e della liturgia gregoriana. In particolare, come è successo questo? E cosa significa per te questo tesoro liturgico della nostra Chiesa?
Aldo Maria Valli: Un certo interesse verso il rito antico l’ho sempre nutrito. Ero curioso di sapere come si celebrava prima del Concilio Vaticano II, com’erano le sante messe frequentate dai nostri nonni e genitori. Ma un vero avvicinamento alla Tradizione da parte mia risale solo al Duemila. Quando, nel corso del giubileo, vidi il pellegrinaggio dei sacerdoti della Fraternità sacerdotale San Pio X ne rimasi, come ho già detto, molto colpito. Incominciai così a conoscere meglio la figura di Marcel Lefebvre, soprattutto per quanto riguarda il drammatico rapporto con Paolo VI. Più tardi, grazie al mio blog, alcuni amici mi hanno spinto a fare l’esperienza della messa vetus ordo, ma è solo da quando sono andato in pensione, nel 2019, che ho potuto veramente frequentarla, perché ho più tempo a disposizione per gli spostamenti. Nella città in cui vivo, infatti, non viene celebrata.
Per me è stato veramente come scoprire un tesoro nascosto. Mi sono chiesto: ma com’è possibile che la Madre Chiesa abbia rinunciato a tutto questo? Com’è possibile che mi abbia fatto crescere senza mai mostrarmi prima d’ora questa ricchezza? Noi italiani abbiamo un modo di dire: meglio tardi che mai. E io sono grato al Signore per il suo dono. Ci sono arrivato tardi, ma ci sono arrivato.
Quando si scopre la santa messa vetus ordo, la messa riformata sembra una brutta copia dell’originale. Nel rito antico non c’è protagonismo umano e non c’è tutta la verbosità che caratterizza la “messa nuova”. Nel rito antico si rende veramente gloria a Dio, e Lui è al centro di tutto, non il sacerdote, non il fedele. Non è una semplice cena, ma è veramente sacrificio eucaristico. E tutto concorre a prefigurare la bellezza di cui godremo in Cielo.
A volte incontro cattolici che mi dicono: ma io la messa in latino non la capisco. Allora cerco di spiegare che non si tratta di capire, ma di lasciarsi abbracciare. Si tratta di entrare nel Mistero eucaristico come bambini, fidandosi del Padre e lasciandoci condurre per mano. Capire tutte le parole non è importante. Anzi, la pretesa di capire rivela che non siamo come bambini, ma mettiamo noi stessi prima di Dio. Piano piano, con la frequenza, le parole si capiranno meglio, ma l’importante è abbandonarsi alla bellezza e contemplare il Mistero. Se si entra in questa dimensione, viene voglia di inginocchiarsi e di prostrarsi, perché quanto avviene davanti ai nostri occhi è qualcosa di incommensurabile: il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo! È Gesù che torna, per noi, per la nostra salvezza! Nella messa riformata tutto ciò resta sullo sfondo, sommerso dal protagonismo umano. Nella messa tradizionale invece il Mistero d’amore risalta e noi lo possiamo contemplare in tutta la sua grandezza.
Mi spiace che in massima parte la gerarchia della Chiesa, specialmente ora, sia schierata contro questo tesoro liturgico e spirituale. Credo che molti uomini di Chiesa siano accecati dall’ideologia del Concilio Vaticano II. Probabilmente è anche un fatto generazionale. Vedo infatti che i preti più giovani si avvicinano volentieri alla Tradizione, e lo stesso vale per tante famiglie giovani. Dobbiamo pregare intensamente perché la santa messa tradizionale non sia più perseguitata.
Robert Lazu Kmita: Dopo una tale meravigliosa testimonianza personale, credo che possiamo concludere, ma non prima di averti ringraziato per questo dialogo aperto, pieno di suggerimenti e riflessioni che aiuterà noi tutti ad avanzare con speranza e calma attraverso la densa oscurità della crisi attuale. Ora una doppia domanda che si rivolge alla tua esperienza di giornalista e vaticanista. Tutti noi abbiamo sentito della possibile proibizione totale della liturgia tradizionale. Cosa credi che ne seguirebbe? E soprattutto, quale pensi sarà il risultato di questa situazione senza precedenti in cui il Vaticano non rappresenta più un bastione della fede cristiana ma un focolaio neo-modernista?
Aldo Maria Valli: In Vaticano esistono diverse tendenze e sensibilità rispetto alla questione liturgica. Lo stesso schieramento progressista non è così compatto come potrebbe sembrare. Purtroppo c’è una frangia oltranzista, collegata ad ambienti accademici, che vorrebbe davvero arrivare a una “soluzione finale” proibendo completamente la santa messa tradizionale. Non so se si arriverà a tanto, ma ne dubito. Ipotizzo che lo stesso Bergoglio non accetterà questa linea. Non tanto perché abbia a cuore la liturgia, ma per ragioni politiche. Lui preferisce che il campo tradizionalista possa sopravvivere in una “riserva indiana”, tale da non creare troppi problemi e da poter essere controllato con un sistema di concessioni.
Purtroppo vedo che già oggi il Vaticano, sotto molti aspetti, non è più un bastione della fede cristiana ma un focolaio neo-modernista. Anzi, il focolaio principale. Il papa non conferma i fratelli nella fede ma semmai conferma i lontani nella loro lontananza. Dalla cattedra suprema arrivano messaggi ambigui o distorti. E non su questioni marginali, ma sul cuore stesso della fede. Durante questo pontificato è stata negata l’armonia trinitaria, è stata messa in discussione la divina maternità di Maria santissima e la divinità stessa di Gesù Cristo. La giustizia divina e il castigo sono stati aboliti in nome di un distorto senso della misericordia. Sono state legittimate le unioni sodomitiche. Si è sostenuto che in certe circostanze Dio stesso può chiedere di vivere una situazione non in linea con i comandamenti divini e che Dio stesso ha voluto la diversità delle religioni. Di qui l’abolizione dell’idea di apostolato. Abbiamo anche visto che il proselitismo è considerato qualcosa da vietare. Più di recente un documento vaticano ha messo apertamente in discussione il primato petrino sottomettendo il mandato affidato a Pietro ai criteri della sinodalità e dell’ecumenismo. L’elenco delle distorsioni e delle menzogne è ormai lungo e lo conosciamo.
Al momento, il risultato è uno scisma di fatto. Mi sembra che ci sia davvero poco in comune tra un cattolico neo-modernista e uno tradizionalista. Ma l’esito nefasto di questo pontificato è anche una crisi senza precedenti dell’auctoritas papale. Siamo sinceri: ormai il papa parla, ed è percepito dai più, come un influencer fra i tanti. Nulla lo distingue ormai dalle molteplici voci che riempiono il sistema massmediale. E davvero non so come il pontificato, in quanto istituzione, potrà riprendersi da questo processo di degradazione.
Ma lo ripeto: se perseveriamo nella fede dei Padri, questo è anche un tempo di profonda purificazione. Ci è chiesto di portare a compimento la nostra santificazione nel timore di Dio, senza compiacere la mentalità dominante. Siamo impegnati in una dura battaglia e non dobbiamo smettere di chiedere il dono di uno spirito saldo.
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[i] https://www.aldomariavalli.it/2024/06/15/rinuncia-di-ratzinger-conclave-del-2013-pontificato-di-francesco-situazione-attuale-duc-in-altum-a-cuore-sempre-piu-aperto/