A Viganò profeta
di G.R.
Tira e molla, molla e tira,
alla fine scatta l’ira
del pontefice argentino,
distruttore del divino.
Lui si serve soprattutto
di un amico alto e brutto:
è Fernandez cardinale,
che fa rima con anale.
Baci e amplessi, pube e seno:
tra la mistica e l’osceno,
tutto spiega con dovizia
alla coppia e alla novizia.
Egli regge un dicastero
molto alto e molto austero,
che trattava di dottrina…
e già sembra una latrina.
Per suo mezzo il Dittatore
ora accusa il Monsignore:
«Viganò, che ossessione!
Scisma, Codice, espulsione!».
Chi comanda sotto il sole
apre e chiude come vuole,
anche dentro al Sant’Uffizio:
qui però c’è un grande indizio.
In effetti, tutti sanno
che di accuse, in ogni anno,
Viganò ne ha fatte molte,
tutte gravi; e mai l’ha tolte.
«Al tedesco sopraffino
segue il povero argentino:
questo è un papa da eresia,
è colluso, vada via!».
Ma da un anno, a toni accesi,
finalmente cambia tesi,
e già dice ciò che io penso:
«Bergy ha un vizio di consenso».
«Egli è nullo, è usurpatore,
come Giuda è un traditore;
è un massone, un luterano,
col Concilio sempre in mano».
«È un flagello, è incapace;
non conforta, non dà pace;
non è papa, né pastore,
anzi è un lupo sbranatore».
Questo dunque il grande indizio
che ci offre il Sant’Uffizio:
la condanna e l’espulsione
fanno onore al Monsignore;
ciò conferma quanto detto
sul massone maledetto:
«Non è papa – oh dolore! –,
non è un vero successore».
Qui si chiude il nostro dire,
qui si allevia il gran soffrire:
«Deh, Signore, porta via
questa grande apostasia!».
Già tua Madre, a La Salette,
quante cose aveva dette!
«Roma incredula – vergogna! –
sarà simile a una fogna».