di Massimo Viglione
Le seguenti riflessioni sono scritte alla luce del prossimo – sembra ormai certo – documento vaticano per la probabile “liquidazione” (o qualcosa del genere) della Messa in Rito Romano antico apostolico (RRaa).
Per non ripetere cose già dette, ma al contempo essere per quanto possibile breve e chiarire il più possibile la mia visione della problematica, procederò con metodo schematico. Lo scopo vuole essere quello di fornire un aiuto alla razionalizzazione a beneficio dei tanti fedeli giustamente confusi e preoccupati.
È un dato di fatto incontrovertibile che dal motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI del 2007 la Messa in RRaa ha prodotto o ottenuto un numero incalcolabile e incontenibile di conversioni, o comunque di fedeli, in tutto il mondo, e all’estero ancor più che in Italia (la spiegazione di questo aspetto richiederebbe uno specifico approfondimento, essendo di natura politico-psicologica).
Pertanto, gerarchie fedeli a Gesù Cristo, e santamente preoccupate di eseguire il mandato divino loro affidato di “pascere agnelli e pecorelle”, dovrebbero gioirne e dovrebbero agire di conseguenza promuovendo senza più alcun limite il ritorno massivo e definitivo del RRaa in ogni parte del mondo.
Invece avviene esattamente il contrario: il RRaa è sempre più perseguitato e ora la minaccia è la sua – teologicamente illegittima e quindi impossibile – proibizione assoluta.
Non solo: in tutto il mondo (sebbene in Italia in maniera minore per le ragioni speculari di cui sopra), le Messe di Rito riformato montiniano (la cosiddetta “Messa nuova”) si svuotano sempre più, inesorabilmente. E, in ogni caso, per la infallibilità dell’assioma teologico “Lex orandi lex credendi”, producono automaticamente fedeli svuotati di fede, di senso del sacro, di volontà di essere veramente cristiani, di spinta alla trascendenza, di lucidità intellettiva e spirituale, cristiani ridotti sempre più alla mercé del mondo, anzi, proni al mondo, e a questo mondo!
Le cause della follia
Dobbiamo dunque porci una domanda ineludibile. Come mai accade ciò? Quali sono le ragioni che causano questo folle e suicida odio verso la sacralità, la Bellezza, il teocentrismo, la ricchezza incommensurabile della liturgia di sempre della Chiesa da parte degli uomini di Chiesa? Detto altrimenti: perché questo odio verso la salvezza delle anime? Come può accadere che le gerarchie cattoliche combattano spietatamente il più grande e insostituibile mezzo di salvezza eterna che il Salvatore ci ha donato? E quindi la fede stessa?
La prima causa è ovvia e scontata: il successo – evidentissimo soprattutto nelle nuove generazioni, con rinascita di famiglie numerose e seriamente cattoliche – del RRaa e il relativo insuccesso catastrofico – quantitativo e qualitativo – del Rito montiniano.
Questa sorta di “invidia” ideologica non basta però a spiegare il folle comportamento suicida. Occorre trovare altre cause cogenti.
Quali possono essere? Per comprendere quanto stiamo per dire, occorre avere chiara la situazione della Rivoluzione nella Chiesa, apertamente visibile dal Concilio Vaticano II in poi, ma segretamente attiva da molto prima, come del resto la Pascendi Dominici Gregis di san Pio X già nel 1907 ha dimostrato oltre ogni dubbio. Non possiamo fare qui una storia della Rivoluzione nella Chiesa, ma è chiaro che limitare i problemi odierni solamente agli ultimi undici anni è semplicemente una ridicola e anche umiliante (della dignità intellettiva delle persone) e patetica barzelletta. I fatti sono testardi, e i fatti ci insegnano che la Crisi della Chiesa esplode con l’ultimo Concilio, ma inizia molto prima.
Chi ha questa verità incontrovertibile chiara nella mente può capire meglio i punti che seguono.
Il Concilio Vaticano II ha introdotto – con l’affermazione del suo “spirito” (la celeberrima “nuova pentecoste”) – varie innovazioni rivoluzionarie nel Corpo Mistico di Cristo, ma la più dirompente fra tutte è lo spirito ecumenista, peraltro già magistralmente condannato da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos nel 1928; ovvero, l’equiparazione dialogica di tutte le confessioni religiose, oggi ribadita ufficialmente da Bergoglio nel discorso di Abu Dabi.
Il Rito montiniano è di fatto una protestantizzazione della Messa cattolica, fatta – con lo stesso spirito che ha guidato il Concilio Vaticano II – al fine di “aprirsi al mondo”. Tradotto, vuol dire arrendersi, anzi “sbracarsi” al mondo, a partire, come logico, dalle altre confessioni cristiane (o sedicenti tali) eretiche, per passare poi alle altre due “grandi religioni monoteiste”, quindi a tutte le “religioni” e tutti i culti possibili e immaginabili (come la vergognosa assise di Assisi del 1986 – poi ripetuta varie volte – ha dimostrato oltre ogni dubbio possibile), per finire con l’accontentamento delle pretensioni anticristiane, anti-umane (post-umanesimo) e ormai anticristiche dello stesso mondo “laico”, ovvero delle forze che oggi lo guidano verso gli esiti infernali che vediamo sempre più tragicamente in atto dinanzi ai nostri occhi.
Per questo possiamo dire che se Paolo VI ha protestantizzato la Messa per piacere al mondo religioso a-cattolico, l’esigenza del clero odierno, sessant’anni dopo, è ormai quella di globalizzare la Messa protestantizzata per piacere al mondo finanziario e politico odierno.
E che vuol dire globalizzare la Messa, in concreto? Vuol dire creare un rito che sia adatto al prossimo culto unico mondiale, nel quale devono dissolversi tutte le religioni storiche, a partire dal Cristianesimo, con il cattolicesimo in primis.
E, questo, in fondo, è sempre stato lo scopo profondo dell’ecumenismo gnostico.
Poniamoci una domanda chiave: è veramente riuscita fino in fondo la protestantizzazione della Messa in questi sessant’anni?
In realtà, no. Il Rito montiniano, quando celebrato seriamente e secondo tutte le necessarie condizioni, pur nella sua essenza intrinsecamente rivoluzionaria ed ecumenista, antropocentrica e relativista, mantiene la Transustanziazione, ovvero il Sacrificio incruento della Croce, fonte di salvezza eterna delle anime e cuore portante assoluto della Chiesa stessa. Il che, sia detto per inciso, non giustifica affatto però la persistenza alla frequentazione di un rito relativista e protestantizzato, antropocentrizzato e intrinsecamente rivoluzionario. Infetto da gnosi.
E questo è proprio il problema chiave dell’intera questione.
Infatti, se l’ecumenismo è finora, dopo sessant’anni, completamente fallito fino a divenire una tristissima macchietta dialogica pateticamente ripetuta, è proprio perché, al dunque, il clero cattolico post-conciliare, sbracatosi fino all’inverosimile, anzi fino al tradimento pieno del mandato ricevuto dal Salvatore (Mc 16,15-16), non ha però avuto la forza di rendere nullo – quindi di “uccidere” – il Santo Sacrificio della Messa, se non in maniera indiretta, ovvero con le innovazioni posteriori “a capoccia” (come si dice a Roma) che ogni sacerdote (o presunto tale) immette nella sua personale liturgia, facendo scempio ignobile di ogni sacralità e serietà.
Ma l’Eucarestia è il secondo (perché il primo è il dogma della Santissima Trinità stessa) degli ostacoli insormontabili dell’ecumenismo, specie per i protestanti e tutte le altre religioni. Occorre, insomma, ai fini della realizzazione ultima dei piani rivoluzionari, giungere alla definitiva abolizione dell’Eucarestia. Quindi, della Messa cattolica.
Mentre ci si era incamminati su questa strada, con l’avallo della prassi ecumenista di Giovanni Paolo II (al di là delle sue personali intenzioni ultime che solo Dio conosce), Benedetto XVI ha “liberalizzato” il RRaa. Il termine tra virgolette è orribile e senza senso alcuno, ma delinea chiaramente un fatto certo sul quale pochi vogliono riflettere onestamente: ovvero, che prima di Ratzinger la Messa in RRaa era di fatto “agli arresti”, celebrata da pochissimi al mondo solo perché avevano ricevuto un “indulto”, come operato di prassi da Paolo VI e poi formalizzato ufficialmente da Giovanni Paolo II.
Perché Ratzinger lo ha fatto? Forse per dare un suo specifico spazio al mondo della Tradizione, ma soprattutto per frenare la deriva irrefrenabile del rito montiniano, nella speranza dialettica (“ermeneutica della continuità”) che la tesi del Rito antico e l’antitesi di quello montianiano avrebbero alla lunga prodotto la sintesi di un nuovo rito – migliore della “Messa nuova” ma peggiore del RRaa – adatto ai tempi odierni. Ma, al di là delle sue intenzioni, ciò che conta è che la “liberalizzazione” ha infranto i sogni di tutto il clero modernista, che era convinto che nessuno – eccetto pochi vecchietti nostalgici – avrebbe seguito la Messa di sempre, la quale sarebbe scomparsa per morte naturale in pochi anni. Invece è avvenuto esattamente il contrario, con il successo incontenibile anzitutto fra le nuove generazioni, più libere spiritualmente e mentalmente degli “anziani”, troppo infetti di modernismo conciliare e di papolatria sentimentalistica.
Così Bergoglio – il quale in questi anni, con tutto quello che di rivoluzionario, sovversivo e anticattolico ha fatto e detto finora, ha enormemente aiutato, per logica reazione e suo malgrado, la diffusione mondiale della Messa in RRaa – si è ritrovata una “bella gatta da pelare”, ed è sotto la pressione di forze ipermoderniste, perfino peggiori di lui, che lo spingono continuamente verso la “soluzione finale”.
Il fine della follia
Eccoci quindi al cuore della questione.
Benedetto XVI l’ha fatto grossa nel 2007! Anziché facilitare la scomparsa del santo Sacrificio della Messa, dell’Eucarestia, ai fini ecumenisti e oggi anche globalisti, ha provocato, consapevole o meno che fosse, l’effetto contrario. E ciò spiega anche l’odio da cui era sempre più circondato, fino all’atto della Rinuncia.
A questo punto, si rendono necessarie due esigenze per i distruttori – interni ed esterni – della Fede e della Chiesa cattolica:
l’abolizione, prima possibile, della Messa di sempre in RRaa, la quale, per la sua fedeltà assoluta alla Verità, per la sua oggettiva immutabilità sostanziale, deve per forza essere il primo passo verso l’eliminazione definitiva dell’Eucarestia dal mondo;
fatto questo, cambiare definitivamente il canone della Messa montiniana (sempre mutabile per il suo intrinseco relativismo antropocentrico), in modo, appunto, da eliminare anche in questo rito la Transustanziazione.
Ottenuti, nel più breve tempo possibile, questi due scopi, il “Cristianesimo” sarà pronto a essere prono e adattabile ai due grandi fini della Rivoluzione:
l’unione di tutte le confessioni cristiane in un “supercristianesimo” con un’idea astratta e gnostica di Dio, senza sacramenti e quindi senza Eucarestia: l’Ente Supremo di massonica e illuministica memoria, che di per sé richiede la scomparsa anche dell’Entità trinitaria, mentre la Madre di Dio sarà trasformata nella dea Gaia, come Bergoglio ci ha già fatto capire con il culto idolatrico della pachamama;
lo “scioglimento” (se così si può dire), o la “conversione” di questo “supercristianesimo” nella costituenda e ventura religione mondiale globalista. Una religione pagana, anti-umana, perché trans-ecologista, post e trans-umana, a sua volta preparatrice all’avvento dell’Anticristo nel mondo.
Ed ecco esplicato, per chi vuol capire con onestà mentale e morale, l’odio, altrimenti inspiegabile, verso il RRaa e la relativa guerra condotta non da Nerone, Elisabetta I d’Inghilterra o da Robespierre o Stalin, e nemmeno dai maomettani, bensì dalle gerarchie dell’attuale chiesa vaticansecondista, chiesa che, in consistentissima parte, cattolica non è più, ma è certamente prona al globalismo imperante della Rivoluzione nuovomondialista in atto.
Che fare?
Cosa si può fare a questo punto?
Come Aldo Maria Valli ha detto nel suo articolo del 24 giugno [qui] , divenire “ricusanti”. In concreto:
continuare a frequentare solamente e sempre la Messa in RRaa, ovvero la Messa cattolica;
organizzare sul territorio comunità tradizionali e trovare luoghi dove celebrare la Messa di sempre;
aprire le proprie case ai sacerdoti perseguitati che la celebreranno in futuro, mantenendoli nelle loro esigenze materiali; sulla scia dei cattolici inglesi sotto la tirannia infernale di Elisabetta I.
Infatti, se dovesse veramente arrivare questo documento che proibisce definitivamente (o quasi definitivamente, come io tendo a ritenere) la Messa in RRaa, questo evento sarà lo spartiacque per il clero cattolico odierno aperto alla Tradizione liturgica di sempre: ogni sacerdote che non appartiene alla Fraternità Sacerdotale San Pio X o a ordini religiosi di tendenza sedevacantista, dovrà necessariamente prendere la decisione più importante della propria vita: obbedire alla Rivoluzione nella Chiesa, oppure resistere alla Rivoluzione nella Chiesa, divenendo un sacerdote contro-rivoluzionario. Che, tradotto, vuol dire fedele a Gesù Cristo, alla Chiesa di sempre, alla liturgia di sempre, alla dottrina di sempre.
Ma una cosa deve essere chiara: quei sacerdoti che riterranno essere giusto rinunciare a celebrare la Santa Messa in RRaa per obbedienza alle attuali gerarchie, per paura di una sospensione a divinis o di scomunica, inevitabilmente, fra non molto, dovranno accettare la riforma della riforma del Messa montiniana, che li obbligherà a celebrare un rito completamente non cattolico, nel quale non avviene più alcun Sacrificio della Croce, alcuna Transustanziazione. Perché questo, e solo questo, è il vero scopo ultimo di quanto sta accadendo oggi. Anzi, da decenni, ormai. E, per alcuni casi, dal 1969.
Ecco una prova concreta della necessità di avere una formazione controrivoluzionaria per la comprensione piena e corretta della Rivoluzione. Solo chi la possiede capisce veramente quanto stiamo affermando.
I sacerdoti che, insomma, obbediranno alle attuali gerarchie e smetteranno di celebrare il RRaa (o lo celebreranno saltuariamente di nascosto), devono essere consapevoli che di qui a breve si troveranno, volenti o nolenti, nel vicolo cieco di un rito a-cattolico.
Certo, ci potrà essere anche una terza via, quella di coloro che rimarranno fedeli alle gerarchie vaticansecondiste ma in segreto, a proprio rischio e pericolo, continueranno, con l’aiuto dei fedeli tradizionali, a celebrare anche la Messa in RRaa. Ma il problema è che, come appena detto, anche per costoro, alla lunga, se Dio non interviene prima altrimenti, si porrà il problema suddetto della distruzione del Sacrificio nel rito conciliare. Perché la meta è inesorabilmente la sparizione dell’Eucarestia dal mondo. Come, peraltro, predetto dalla Bibbia stessa.
Stiamo quindi andando a vivere, nella Chiesa come nella società, i giorni più decisivi e fatali della storia, almeno dal Diluvio in poi. E ogni cattolico dovrà inevitabilmente prendere la propria posizione e scegliere il suo campo definitivo, da chierico o laico che sia. Chi prima, chi poi, ma così avverrà.
Non dimenticando mai che «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).
Noi laici della Tradizione cattolica abbiamo due doveri imprescindibili:
rimanere fedeli alla Chiesa e alla liturgia di sempre;
fare tutto quanto a noi possibile per sostenere il clero che rimarrà fedele.
Esattamente come avvenne durante la tirannia elisabettiana in Inghilterra o durante la Rivoluzione Francese con il clero refrattario. Solo che stavolta il persecutore siede in Vaticano e nelle curie.
Perché combattere la Rivoluzione nella Chiesa significa combattere la Rivoluzione nella società. E viceversa. Ovvero, il globalismo del Nuovo Ordine Mondiale, con la sua futura religione unica idolatrica, trans-ecologica, post-umana, anticristica.
Dio è uno, e pure il demonio è sempre uno. A noi la scelta di campo definitiva.
Tenendo presente che tutto concorre alla gloria di Dio, unico vero padrone assoluto della storia e della Chiesa; e che la Rivoluzione stessa avanza sempre e solo fino a dove Dio lo permette. E, in qualsiasi momento, Dio può mutare le cose, come, del resto, anticipatoci più volte nelle apparizioni (approvate ufficialmente) della Madre di Dio in terra.
Ciò che Dio lascia invece intatta è la nostra personale libertà di scelta di campo fra il Bene e il male, la menzogna e la Verità.