Analisi / La débâcle di Biden? Come il cacio sui maccheroni per il vero progetto Dem

di Fabio Battiston

Dopo il primo (e forse ultimo) duello televisivo tra Biden e Trump in vista delle prossime elezioni presidenziali di novembre, i commentatori registrano quasi unanimemente gli opposti stati d’animo manifestati dai rispettivi schieramenti politici. Da un lato la disperazione/depressione dell’apparato Dem, ormai saldamente nelle mani dell’ultrasinistra woke, che piange lacrime amare (di coccodrillo?) nell’attesa di una ormai certa sconfitta del loro leader. Un Biden che, mai come in quest’occasione, ha mostrato suo malgrado al mondo – senza reticenze né censure – la prostrazione cui lo ha condotto il suo pessimo stato di salute. Dall’altra l’esultanza dei supporters trumpiani che vedono (con ragione?) le risultanze dell’impietoso CNN Presidential debate come un viatico per una sicura e trionfale rielezione del settantottenne tycoon newyorkese. Va da sé che, dopo la performance televisiva, non pare esserci un solo analista politico disposto a scommettere anche solo mezzo dollaro sulla riconferma di Biden.

Questa sembra essere la “realtà”, così come è stata mostrata e narrata all’intero globo terracqueo. Vorrei però permettermi di dare all’evento una mia personalissima interpretazione, ovviamente diversa da ciò che la rappresentazione nuda e cruda dei fatti sembra dimostrare in modo incontrovertibile.

Penso che ciò a cui abbiamo assistito sia stato quello che l’intero apparato politico democratico sinistrese voleva che avvenisse, nei modi e caratteristiche con cui si è poi effettivamente manifestato. Cercherò ora di dare un senso a questa mia considerazione.

L’immagine formale e la sostanza della performance bideniana hanno certamente suscitato nel pubblico blues due sentimenti concreti: da un lato lo sconcerto per una candidatura che appare ormai destinata a una inevitabile sconfitta; dall’altro una probabile e sincera solidarietà personale all’uomo Biden per il momento di grande sofferenza che questa parte finale della vita lo costringe a sopportare. Questo per gli elettori. Per l’apparato politico Dem, invece, le penose e spietate immagini del proprio candidato hanno rappresentato un vero “cacio sui maccheroni”. Sì, perché ora essi avranno la possibilità di eliminare dalla corsa presidenziale un vero e proprio ostacolo che non avrebbero mai potuto defenestrare senza andare incontro a seri problemi di credibilità politica, specialmente dopo l’indiscutibile pronunciamento delle primarie. Da oggi, invece, si offre loro l’opportunità di trovare il giusto sostituto (o sostituta?) in un modo eticamente e politicamente corretto, formalizzato da un nobilissimo discorso del tipo: “Le condizioni di salute di Biden hanno raggiunto un tale livello di gravità che, per rispetto dell’uomo, del politico e della sua storia, il consesso del Partito Democratico ha ritenuto non solo necessario, ma doveroso, chiedere al candidato di ritirarsi dalla competizione elettorale. Egli renderà in tal modo un grande servizio al Paese, un merito che gli verrà riconosciuto dalla storia”.

Ecco ciò che a mio avviso è accaduto: i Dem hanno teso a Biden, in modo premeditato, una vera e propria trappola mediatica, strumentalizzando ai loro fini la sua penosa condizione che pare ormai averlo debilitato seriamente anche sul piano cognitivo. Si dirà che il presidente Usa aveva già da tempo manifestato un precario stato psico-fisico; questo è vero ma… attenzione. Un conto sono gli attacchi personali da parte degli avversari, un conto sono le sequenze prese un po’ qua e un po’ là durante meeting, conferenze o discorsi, ben altro riscontro hanno invece quelle immagini in diretta nelle quali il povero Joe, proprio durante l’esordio contro il suo avversario in un match di importanza capitale per la corsa alla Casa Bianca, si è improvvisamente trovato a dare, suo malgrado, un così penoso spettacolo di sé stesso. È ignominiosamente caduto nella rete che i malefici ragni del suo partito gli hanno astutamente tessuto intorno. E ora? Ora inizia la seconda parte della messa in scena, quella destinata a individuare rapidamente chi, in questi quattro mesi, dovrà sostenere la battaglia elettorale contro Trump. Sempre attingendo alla mia personale interpretazione dei fatti, questo personaggio esiste, è stato già tempestivamente individuato e per tale compito egli, o meglio ella, si sta da tempo preparando. Si tratta, forse qualcuno l’avrà capito, di Michelle Obama. La signora appare infatti come la candidata ideale per scongiurare la seconda presidenza Trump ed è in grado di smuovere alla battaglia delle urne il compatto mondo della “nuova frontiera” americana, quello dei razzisti alla rovescia (contro gli sporchi bianchi), quello del Mee Too e del Black Lives Matter, gli ambientalisti talebano-climatici e gli odiatori antisemiti ed antisionisti di Israele, nel contempo adoratori dei tagliatori di teste di Hamas. Una Michelle santa protettrice di abortisti, queer e di tutto il mondo LGBTQ…, graditissima al Deep State, a Big Pharma e al proseguimento senza fine dell’aiuto militare al presidente Zelens’kyj.

Una candidatura che scatenerà l’orgasmico entusiasmo degli adepti della nuova religione universale capitanati dai quattro Cavalieri dell’Apocalisse, stavolta sguinzagliati dall’innominabile, che rispondono ai nomi di Bergoglio, Parolin, Zuppi e Fernández. E già vedo lo sdilinquirsi dell’informazione catto-dem, con Avvenire in prima fila, immaginando il trionfo della rappresentante obamiana ai danni del demone trumpiano.

Quello che vivremo, in questi mesi che ci separano dal primo martedì di novembre 2024, sarà un periodo di enorme importanza non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo nella sua globalità. L’intero malefico apparato che sta tentando di orientare definitivamente i destini dell’uomo su questa terrà si sta al tempo stesso mobilitando come non mai per scongiurare che il suo progetto venga ostacolato, frenato se non addirittura sconfitto. E per far questo occorre continuità. Ce ne sarà assoluto bisogno in chi guiderà politicamente questi processi, nelle strutture sovranazionali che ne assicureranno la governance, nel potere che dovrà essere assicurato a tutte quelle strutture non strettamente politiche (multinazionali, consessi internazionali multidisciplinari e gruppi di pressione) che dovranno garantire metodi, strumenti, tecniche e… persuasione affinché il Deep State possa conseguire i suoi obiettivi.  Ecco perché, in questo possibile scenario, anche l’elezione del nuovo presidente Usa deve garantire continuità. Un tipo di assicurazione che la “mina” Trump non può e non vuole dare.

Analisi campate in aria? Ricostruzioni fantastiche e senza fondamento? Si vedrà; ognuno ovviamente può fare le considerazioni che ritiene più opportune. Chiedo solo di rifletterci.

La mia convinzione è che i prossimi quattro anni saranno decisivi per consolidare – forse in modo irreversibile – le fondamenta di un nuovo mondo che già da anni si va preparando. Un mondo in cui dovranno imperare, tra gli altri, la nuova etica, frutto dell’imposizione globale di un umanesimo naturalista e senza più Dio; il feticcio scientista e tecnicista, trainato dall’espansione della dittatura sanitaria e dell’intelligenza artificiale; l’ambiente e il clima, idoli della nuova religione universale di stampo sincretistico e neo-pagano.

Molti sono i mostri all’opera per garantire tutto questo. Dello scenario americano abbiamo già detto. Insieme ad esso ed ai suoi satrapi si muovono, come le mostruose creature del film Progetto Quatermass, nomi a noi purtroppo ben noti: l’Onu con i suoi ignobili sottoprodotti, l’Oms, La Banca mondiale e quella europea, L’Unione europea, il World Economic Forum, Big Pharma, la Fondazione Clinton, Bill Gates e George Soros, il Gruppo Bilderberg. No, non ho dimenticato il nome che per noi è il più doloroso da pronunciare, quello della chiesa cattolica temporale e delle sue diverse truppe cammellate. Ci sono anche loro tra questi mostri e sono, purtroppo, tra i più agguerriti e crudeli.

Donald Trump potrà piacere o non piacere, ma anche dalla sua vittoria o sconfitta passeranno i destini di un’umanità che, mai come ora, è candidata a una lunga e tremenda schiavitù. Facciamocene una ragione.

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