Il caso Viganò visto da un ortodosso. Una prospettiva inusuale, che mi è sembrata degna di attenzione. L’autore dell’articolo, Stephen Karganovic, di origini serbe, russe e polacche, è presidente del Srebrenica Historical Project.
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di Stephen Karganovic
L’avvio da parte del Vaticano di un procedimento canonico nei confronti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò segna un nuovo significativo sviluppo nella crescente crisi della Chiesa cattolica romana.
L’arcivescovo Viganò è stato recentemente convocato per rispondere alle accuse di aver commesso tre reati canonici: fomentare lo scisma, mettere in dubbio la legittimità dell’attuale papa e rifiutare il Concilio Vaticano II tenutosi sessant’anni fa e le cui controverse riforme da allora agitano i cattolici tradizionalisti.
È una deliziosa ironia, che non sfuggirà a chi studia le questioni vaticane, che l’organo ecclesiastico che ora sta perseguendo Viganò, il Dicastero per la dottrina della fede, nome dal suono innocuo, sia storicamente il diretto successore del Sant’Uffizio, l’organismo che guidava l’Inquisizione.
L’arcivescovo ha rifiutato di presentarsi davanti ai suoi accusatori nell’udienza iniziale del 20 giugno. D’altra parte, ha detto, tutto è già deciso.
Dal 2018, dopo essere stato nunzio apostolico negli Stati Uniti, Viganò è diventato una voce potente che denuncia gravi mancanze morali nei ranghi del clero cattolico romano. Con crescente severità ha preso di mira il Vaticano per non aver affrontato adeguatamente gli scandali interni. Poi, nel corso del tempo, la portata delle sue denunce pubbliche ha continuato ad ampliarsi. Oltre a richiamare l’attenzione sulla sordida atmosfera morale che pervade la Chiesa cattolica romana, Viganò è diventato un critico personale dell’attuale papa Jorge Mario Bergoglio, in particolare per quanto riguarda la sua incapacità di colpire i malfattori. In seguito, la posizione contraria di Viganò riguardo ai vaccini Covid gli ha procurato ancora più nemici. Mentre Bergoglio ha pubblicamente esortato a osservare rigidamente il regime Covid come un dovere religioso, Viganò ha usato il suo pulpito mediatico per diffondere massicciamente le prove del contrario e facendo eco, fra l’altro, alle affermazioni del professor Chossudovsky secondo cui la “narrazione ufficiale della corona è basata su una Grande Bugia sostenuta da politici corrotti”.
Senza giri di parole, nella sua risposta all’accusa di scisma, Viganò ha accusato a sua volte l’attuale pontefice di essere guidato, nella predicazione e nelle azioni, da una dottrina che non è quella cattolica:
Il globalismo chiede la sostituzione etnica: Bergoglio promuove l’immigrazione incontrollata e chiede l’integrazione delle culture e delle religioni. Il globalismo sostiene l’ideologia LGBTQ+: Bergoglio autorizza la benedizione delle coppie omosessuali e impone ai fedeli l’accettazione dell’omosessualismo, mentre copre gli scandali dei suoi protetti e li promuove ai più alti posti di responsabilità. Il globalismo impone l’agenda green: Bergoglio rende culto all’idolo della Pachamama, scrive deliranti encicliche sull’ambiente, sostiene l’Agenda 2030 e attacca chi mette in discussione la teoria sul riscaldamento globale di origine antropica. Esorbita dal proprio ruolo in questioni di stretta pertinenza della scienza, ma sempre e solo in una direzione, che è quella diametralmente opposta a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Ha imposto l’uso dei sieri genici sperimentali, che hanno provocato danni gravissimi, decessi e sterilità, definendoli “un atto d’amore”, in cambio dei finanziamenti delle industrie farmaceutiche e delle fondazioni filantropiche. La sua totale consentaneità con la religione di Davos è scandalosa.
Rispetto alla gravità di queste obiezioni, l’accusa che il Vaticano è riuscito a formulare contro Viganò appare piuttosto artificiosa e frivola.
Il Vaticano ha buone ragioni per temere che l’audace dissidenza di Viganò possa andare fuori controllo. L’insoddisfazione tra i laici cattolici è tale che potrebbe produrre una scissione con ripercussioni ancora più gravi e di vasta portata di quelle che si ebbero diversi decenni fa con l’uscita dell’arcivescovo Lefebvre e dei suoi seguaci conservatori dall’ovile post-conciliare. Va notato che lo status canonico di questo gruppo scissionista rimane ancora irrisolto. Nella sua attuale composizione, la Fraternità San Pio X, originariamente fondata da Lefebvre, è l’arcinemico del modernismo, precedente denominazione della trappola globalista in cui è caduto il Vaticano. La Chiesa tradizionalista di Lefebvre presenta le sconcertanti caratteristiche di una “chiesa nella chiesa” non allineata: dal punto di vista del Vaticano, una inaccettabile anti-chiesa. La Fraternità aderisce fermamente alla quasi proibita Messa antica, ha una propria gerarchia, qualche chiesa, seminari e altre strutture istituzionali necessarie a sostenerla. È possibile che il Vaticano non legga con precisione le intenzioni di Viganò riguardo allo scisma, ma data la dolorosa esperienza con Lefebvre la sua agitazione è comprensibile.
Ma perché queste convulsioni all’interno del cattolicesimo romano dovrebbero interessare i cristiani ortodossi?
Perché la stessa comunione ortodossa è profondamente infiltrata da prelati e teologi globalisti e, per ora forse indistintamente, cripto-cattolici, il cui obiettivo finale è la fusione “ecumenista” dell’ortodossia mondiale con il Vaticano apostata. Il patriarca di Costantinopoli, “primo in onore” tra i gerarchi ortodossi, è pienamente d’accordo con questo progetto sincretistico e lo sono anche diverse altre influenti giurisdizioni ortodosse.
L’unione con un cattolicesimo romano decadente che, a detta di tutti, e non solo dando credito alle gravi accuse dell’arcivescovo Viganò, si sta liberando delle ultime vestigia del cristianesimo tradizionale per abbracciare avidamente e a tutti i livelli l’asservimento ai dogmi tossici dell’ideologia globalista, per l’Ortodossia è una proposta suicida.
Fonte: strategic-culture.su