Se il vescovo predica bene ma dimentica che la Chiesa razzola male
di Lorenzo Gnavi Bertea
Caro Aldo Maria Valli,
l’arcivescovo di Torino monsignor Roberto Repole, riferendosi alla recente legge sull’autonomia, ha affermato [qui]: “Quando si fanno delle riforme che toccano la Costituzione, bisognerebbe farle non partendo da una posizione contrapposta all’altra, ma cercando il più grande consenso”.
Mi domando se questo rispettabilissimo modus operandi vada invocato esclusivamente per le decisioni del Parlamento italiano oppure anche per quelle assunte dai vertici Chiesa.
Nella fattispecie, domando a Sua Eccellenza Repole se gli risulta che la decisione di abolire il Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI sia stata condivisa con tutti i fedeli, ascoltandoli e facendo tesoro delle loro opinioni e dei loro suggerimenti.
E ancora: il Monsignore sa dirci se la lettera apostolica Traditionis custodes sia stata scritta dopo avere cercato e ottenuto il più grande consenso?
Purtroppo, contrariamente a quanto asserito dall’arcivescovo di Torino, a Roma poco importa dell’opinione di svariate migliaia di cattolici sparsi nel mondo: non soltanto costoro non sono stati interpellati, ma hanno dovuto subire, loro malgrado, le dolorose conseguenze di decisioni assunte contro ogni sano principio di Carità cristiana e in maniera smaccatamente antidemocratica (con buona pace della tanto strombazzata sinodalità).
Eccellenza, non me ne voglia, ma Ella ci ha appena dimostrato che cosa significa predicare bene, dimenticandosi che la Chiesa razzola male.