Dubbi sulla navigazione di Viganò? Dalla barchetta di “Duc in altum” qualche parere (prendendo spunto da un articolo di Roberto de Mattei)

Leggo sempre con interesse i contributi del professor Roberto de Mattei, tanto più quando riguardano argomenti che mi appassionano, come nel caso degli ultimi sviluppi della vicenda che vede al centro monsignor Viganò, convocato dal Dicastero per la dottrina della fede per rispondere dell’accusa di delitto di scisma. Mi riferisco in particolare al suo intervento Gli ultimi sviluppi del caso Viganò: cosa pensare, pubblicato su Corrispondenza romana [qui].

Come sappiamo, ricevuta una generica mail di convocazione, Monsignore ha fatto sapere pubblicamente di non avere la minima intenzione di partecipare al procedimento giudiziario a suo carico. Dopo di che l’arcivescovo ha anche scritto un forte J’accuse [qui] nel quale, ribaltando l’imputazione a suo carico, scrive fra l’altro: «Dinanzi ai miei Confratelli nell’Episcopato e all’intero corpo ecclesiale, io accuso Jorge Mario Bergoglio di eresia e di scisma, e come eretico e scismatico chiedo che venga giudicato e rimosso dal Soglio che indegnamente occupa da oltre undici anni. Ciò non contraddice in alcun modo l’adagio Prima Sedes a nemine judicatur, perché è evidente che un eretico, in quanto impossibilitato ad assumere il Papato, non è al di sopra dei Prelati che lo giudicano».

La posizione di monsignor Viganò, come rileva lo stesso de Mattei, non potrebbe a questo punto essere più chiara. Egli non riconosce l’autorità del tribunale che pretende di giudicarlo, né del prefetto del Dicastero per la dottrina della fede né di Bergoglio.

E qui de Mattei colloca la sua prima riflessione:

«C’è chi sottolinea che alle severe misure annunziate contro mons. Viganò non corrisponde altrettanta severità nei confronti di notori propagatori di eresie, quali sono alcuni vescovi tedeschi. Ma i vescovi tedeschi, applicando la strategia del modernismo, secondo cui bisogna lottare contro Roma rimanendo all’interno delle mura di Roma, si guardano bene dal negare pubblicamente l’autorità del Papa. Essi meritano indubbiamente di essere condannati, ma come si potrebbe pretendere la loro condanna, se Roma si astenesse dal condannare chi rifiuta, non di fatto, ma di principio la sua autorità?»

Circa la «strategia modernista», l’osservazione è corretta. Il più celebre modernista italiano, don Ernesto Buonaiuti, diceva: «Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati».

Resta il fatto che, da parte dell’attuale papa, la critica nei confronti dei vescovi tedeschi impegnati nel «cammino sinodale» è stata o inesistente o assai blanda. Dunque, osservare la disparità di trattamento (buffetti sulla guancia ai vescovi tedeschi, cannone puntato contro Viganò) significa solo rilevare un dato di fatto che la dice lunga sull’orientamento sostanziale dell’attuale pontificato.

Seconda osservazione di de Mattei:

«C’è anche chi paragona la vicenda di mons. Viganò e quella dell’arcivescovo francese mons. Marcel Lefebvre. La differenza tra i due casi è però evidente. Mons. Lefebvre non ha mai disconosciuto l’autorità di Roma».

Vero. Ma paragonare la vicenda Viganò a quella di Lefebvre non vuol dire mettere i due personaggi e le due storie sullo stesso piano. Nelle due vicende ci sono differenze, e nessuno lo nega; ma come non vedere le analogie?

Scrive ancora de Mattei:

«Non colgono dunque il punto molti ammiratori di mons. Viganò, che hanno reagito alla notizia del processo, dando ragione all’arcivescovo, perché “parla chiaro come mons. Lefebvre”, a differenza di altri Pastori oggi silenti davanti alla profonda crisi della Chiesa».

Ma perché noi che diamo ragione a Viganò (e nel novero mi ci metto pure io con la barchetta di Duc in altum) non potremmo dire che Viganò parla chiaro come Lefebvre? Nei fatti, è proprio così. Tra i punti in comune, Viganò e Lefebvre hanno il linguaggio, cristallino in entrambi i casi e alieno da ogni dissimulazione e ipocrisia clericale. E lo stesso Lefebvre, ai suoi chierici, più volte espresse gravi dubbi sulla legittimità di un papa che si apprestava a convocare ad Assisi un incontro interreligioso.

Veniamo al punto forse più sostanziale nella riflessione del professor de Mattei, il quale scrive:

«Inoltre non ci si può limitare a compiere un atto talmente grave e radicale limitandosi ad annunziarlo in un comunicato, senza darne un valido fondamento dottrinale».

Ora, il professor de Mattei, da attento studioso della Chiesa, certamente sa che in questi ultimi anni monsignor Viganò, attraverso molteplici interventi, ha prodotto un insieme di considerazioni che dal punto di vista teologico e dottrinale formano senz’altro un insieme organico. Nel caso del comunicato in risposta alla convocazione del Vaticano, si è ovviamente limitato ad alcune osservazioni, com’è nello stile e nella natura, appunto, di un comunicato da diffondere subito, ma basta fare una ricerca nel web per imbattersi in tutto ciò che Viganò ha prodotto dal 2018 (anno del suo rapporto sul caso McCarrick) a oggi. Aggiungo che una ricerca di tal genere permette anche di verificare il cammino fatto da monsignor Viganò, con un progressivo approfondimento delle sue tesi. Il che gli va riconosciuto come esempio di trasparenza e onestà intellettuale. Inoltre, lascia stupiti che il Professore non tenga in considerazione le molteplici denunce e «correzioni filiali» in cui l’eterodossia di Amoris lætitia, della condanna della pena capitale (che per la Morale cattolica è lecita in determinati casi) o della benedizione delle coppie omosessuali era accompagnata da autorevoli fonti (come il Professore ben sa, essendone stato egli stesso promotore!) ma che pure non hanno ottenuto alcun risultato. Anzi, qualcuno potrebbe osservare che se le denunce formali di cardinali e di vescovi non hanno meritato nemmeno una risposta da Bergoglio, le ragioni di Viganò per compiere un passo ulteriore appaiono ancor più giustificate.

A proposito della posizione a cui è giunto monsignor Viganò, il professor de Mattei osserva:

«Il “vizio di consenso” di cui parla mons. Viganò corrisponde alla “Tesi di Cassiciacum” di mons. Guérard de Lauriers, a cui oggi si richiama l’Istituto Mater Boni Consilii? Che sia questa o altra la posizione di mons. Viganò, dovrebbe essere appoggiata da approfonditi studi di teologia, di diritto canonico, di storia della Chiesa, che fino ad oggi non sono stati prodotti».

Ora, vorrei invitare il professor de Mattei a leggere, o rileggere, ciò che monsignor Viganò ha prodotto a proposito del vizio di consenso. Non saremo forse in presenza di uno studio nel senso classico del termine, ma di certo l’arcivescovo ha argomentato in modo piuttosto organico. Basterebbe, a questo proposito, andare al testo prodotto da Viganò nell’ottobre scorso in occasione della Catholic Identity Conference [qui, ma anche qui].

Nel testo in questione monsignor Viganò, al solito, parla molto chiaramente. Non solo. Prende anche in considerazione le possibili obiezioni al suo ragionamento, e alla fine arriva a dire:

«Io credo che l’accettazione del Papato sia viziata perché egli [Bergoglio] considera il Papato altra cosa rispetto a ciò che è, come il coniuge che si sposa in chiesa escludendo i fini specifici del Matrimonio e rendendo quindi nulle le nozze per vizio di consenso, appunto».

E ancora:

«Vorrei che prendessimo in seria, serissima considerazione l’eventualità che Bergoglio abbia voluto ottenere l’elezione con il dolo, e che si prefiggesse di abusare dell’autorità di Romano Pontefice per fare l’esatto contrario di ciò che Gesù Cristo ha dato mandato a San Pietro e ai suoi Successori di fare: confermare i fedeli nella Fede cattolica, pascere e governare il Gregge del Signore, predicare il Vangelo a tutte le genti».

Ma chi, nel mondo cattolico, finora si è preso veramente la briga di raccogliere l’invito di Viganò? Purtroppo, mi sembra che fra gli studiosi nessuno l’abbia fatto seriamente. L’ha fatto qualche giornalista, ma noi giornalisti non siamo accademici. Quindi, anziché prendersela con Viganò, penso che bisognerebbe invitare gli studiosi a uscire dal loro torpore. O dal loro timore. Sempre che questo silenzioso torpore non sia motivato dalla volontà di compiacere i potenti e apparire moderati, additando in Viganò un eccessivo rigorismo.

Ed eccoci alla penultima osservazione di de Mattei:

«Ma c’è un altro aspetto ancora più dirimente. Nella attuale confusione di crisi religiosa non è possibile sopravvivere spiritualmente senza un aiuto speciale della grazia, che giunge attraverso i sacramenti, soprattutto quelli più frequenti nella vita quotidiana, come la comunione e la confessione. Quali sono i sacerdoti a cui, secondo mons. Viganò, bisognerebbe rivolgersi per ottenere l’alimento spirituale necessario? Sembra che dal suo orizzonte siano esclusi non solo gli istituti che fanno riferimento all’ex-Ecclesia Dei, ma la stessa Fraternità San Pio X, che prega abitualmente Pro Pontifice nostro Francisco».

Questa domanda offre lo spunto per invitare monsignor Viganò a intervenire esplicitamente sul tema, magari integrando un contributo da lui già prodotto nel 2021 [qui], quando, in risposta a un sacerdote che gli scrisse, ragionò sulla questione dell’autorità nella Chiesa, un testo che offre di per sé numerosi spunti di riflessione. In ogni caso, le osservazioni dell’arcivescovo Viganò sui punti critici, per così dire, degli istituti ex-Ecclesia Dei e della Fraternità San Pio X non lo hanno mai portato a consigliare di non frequentare i sacerdoti di quegli istituti. Anzi, egli stesso si è fatto promotore di una pastorale genuinamente tradizionale – e in questo positivamente innovativa – rivolta a quei sacerdoti e laici che non sono né tradizionalisti né conservatori, ma che comprendono l’anomalia del post-concilio e vanno dunque accompagnati ad abbracciare la Tradizione. Per questo Monsignore ha creato la Fondazione Exsurge Domine che intende offrire uno sbocco a seminaristi desiderosi di perseguire una sana formazione tradizionale al sacerdozio.

Ed eccoci all’ultimo punto affrontato dal professor de Mattei:

«E qui si arriva alla domanda conclusiva: dov’è, per mons. Viganò, la Chiesa cattolica? Non la chiesa virtuale a cui aderiscono molti assidui frequentatori dei blog tradizionalisti, ma la Chiesa reale, che è visibile nella sua dottrina immutabile, nella sua ininterrotta successione apostolica e nella vita infusa dai suoi sacramenti. Senza questa chiesa visibile, che è il Corpo Mistico di Cristo, l’anima muore asfissiata.

Shakespeare diceva che “tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne solamente degli attori” (As you like it, Atto II, 7). C’è una profonda verità in queste parole, ma la scena del mondo non è un blog, perché il destino degli uomini che recitano su questo palcoscenico è una drammatica realtà. Ciò che è in gioco è la loro vita eterna».

Non capisco bene perché de Mattei usi un tono sottilmente denigratorio nei confronti dei blog tradizionalisti, dal momento che sono proprio questi blog (con grande dispendio di energie) a condurre una battaglia che dovrebbe toccare ai pastori. Ma, a parte questo, mi sembra che Viganò abbia già risposto alla domanda sul dov’è la Chiesa cattolica. Lo ha fatto [qui] citando la parabola del banchetto di nozze (Mt 22, 1-14), che «non lascia dubbi circa la necessità di indossare la veste della Grazia per potervi essere ammessi».

Vorrei chiedere a de Mattei: dov’era la Chiesa durante l’eresia ariana, o nella Germania protestante, nell’Inghilterra anglicana, dove i vescovi e i sacerdoti abbracciavano in gran numero l’eresia e lo scisma, tenendosi le chiese e i conventi, i pulpiti e le cattedre? E lì non c’era nemmeno internet con i suoi blog tradizionalisti. Dov’era la Chiesa reale, quando sant’Atanasio era mandato in esilio perché era uno dei pochissimi rimasti fedeli all’ortodossia cattolica in una Chiesa che era piombata nell’eresia? Dov’era la Chiesa reale, quando i papi tacevano dinanzi agli errori per non inimicarsi l’imperatore di Bisanzio o i potenti prelati ariani? La sensazione è che, come talvolta accade a persone  immerse nei loro studi, la realtà finisca per cedere il posto alla sua rappresentazione astratta, e che essa debba essere sempre letta alla luce di una ben preciso schema teorico che non sempre, come la storia ci insegna, risolve i problemi concreti. Il passato ci mostra che in certi casi la Provvidenza ha permesso che situazioni canonicamente intricate si risolvessero con colpi di mano non propriamente leciti, ad esempio da parte dei sovrani. E questo ci porta a comprendere il motivo dell’avversione che il Signore aveva nei confronti dei farisei, i quali usavano la legge contro lo spirito della legge: rimanere fissati sui manuali e sui codici senza alzare lo sguardo può far perdere di vista che lo scopo delle norme canoniche è ordinato – e subordinato – al Bene, e non può né deve essere imprigionato.

«Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15,14). Non c’è niente di complicato o di oscuro. Si tratta di costruire la casa sulla roccia e non sulla sabbia. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7:21).

Il professor de Mattei avverte il bisogno che anche su questo punto venga prodotto uno studio dottrinale e teologico?

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