Patrizio e l’Irlanda. Storia di un santo e di un’isola che hanno coltivato e diffuso il cristianesimo con la passione per la Verità
Paolo Gulisano, che voi lettori di Duc in altum ben conoscete per i suoi contributi al blog, è un personaggio decisamente eclettico: medico attivo sette giorni su sette, cattolico impegnato e scrittore prolifico, ha appena dato alle stampe un’avvincente biografia del santo più invocato e amato al mondo: Patrizio. Un santo tra le rovine dell’Impero. Biografia di un santo ma anche di una nazione, l’Irlanda, la cui fede cattolica ha per secoli illuminato l’Europa e il mondo.
Il saggio di Gulisano scorre rapidamente come un romanzo, in cui si intrecciano miti e leggende, paganesimo e cristianesimo, santi ed eroi. Una storia di fede e passione che non troveremmo altrove. Ignorata dall’Impero romano, che la riteneva troppo insignificante e lontana per essere terra di conquista, l’Irlanda divenne invece una preziosa terra di missione per il britanno Patrizio, che dopo aver avuto la visione di un angelo che gli indicava il suo compito andò a evangelizzare l’isola, ultimo avamposto della civiltà celtica.
Paolo Gulisano, ben nota, anche da altre tue pubblicazioni, è la tua passione per l’Irlanda. E questa volta ci racconti, attraverso Patrizio, la storia della sua evangelizzazione.
L’Irlanda è una terra in cui storie e leggende si sono spesso intrecciate e confuse. Terra di prodi guerrieri, di sapienti poeti che conoscevano centinaia di storie narrate alle corti dei re. Tuttavia non leggenda, ma storia vera, per quanto miracolosamente fantastica, è quella che riguarda san Patrizio, l’apostolo dell’Irlanda, che nel V secolo la introdusse nella fede cristiana. L’evangelizzazione, portata da colui che doveva diventare il patrono del paese, trasformò l’Irlanda, l’isola dei celti, l’ultimo avamposto di una civiltà fiorita in gran parte d’Europa fino al trionfo dell’Impero romano, in uno dei più vitali centri di fede e spirituali dell’intero universo cristiano. La conversione degli irlandesi ebbe del miracoloso per il modo in cui avvenne, rapidissimo, radicale, incruento, e testimonia che laddove c’è autentica sete del significato trascendente dell’esistenza la proposta di un avvenimento di vita come il cristianesimo, vissuto con la radicalità richiesta da Gesù Cristo stesso, finisce per conquistare i cuori degli uomini.
Come avvenne questa evangelizzazione?
Gli antichi guerrieri celti, uomini forti e passionali, intensi ed eccessivi, furono persuasi dal Cristo portato da Patrizio, e poi confermato dai suoi successori. L’isola che gli stessi romani padroni del mondo intero avevano
visto con diffidenza e timore divenne l’isola dei santi, dei monaci, dei mistici; un paese rapidamente evangelizzato che immediatamente si trasformò in evangelizzatore, mandando i suoi missionari per tutta l’Europa, dalle isole Faroe alle più remote sponde del Mediterraneo. Patrizio seppe assorbire l’antica religiosità precristiana, purificando i contenuti dei miti, scartando il peggio e trattenendo i valori.
Perché questo sottotitolo: Un santo tra le rovine dell’Impero?
Perché Patrizio intraprese l’epopea dell’evangelizzazione negli stessi anni in cui crollava l’Impero romano. Mi ha sempre profondamente colpito l’affermazione del filosofo scozzese Alistair Mc Intyre, che nel suo libro Dopo la virtù afferma che al momento del crollo dell’Impero, sgretolatosi sotto la spinta delle invasioni barbariche ma collassato anche per la sua decadente corruzione interiore, ci furono uomini che non persero tempo a puntellare un edificio che andava in rovina, ma si impegnarono a costruire qualcosa di nuovo. Questi uomini erano santi monaci come Benedetto da Norcia, e questa nuova costruzione fu la Civitas christiana, ovvero l’Europa. Patrizio fu uno di questi uomini, costruttori di civiltà.
Nelle vicende di Patrizio che tu racconti vediamo una Chiesa che si propone, ma anche che si contrappone, con coraggio.
La Chiesa, che nei primi due secoli della sua storia si era scontrata duramente con il potere imperiale, fino alla pace stabilita dall’imperatore Costantino aveva visto la sua profonda vitalità fondarsi sul sangue dei martiri. Il conflitto era tra Gesù Cristo con la sua grande istituzione, la Chiesa, e ciò che Gesù stesso aveva chiamato “mondo”. Non una contrapposizione tra mondo pagano e mondo cristiano, ma uno scontro tra le ragioni della fede cristiana e le pretese idolatriche del potere. Fu attraverso il sangue dei martiri che la Chiesa non solo si vivificò, ma acquistò autorevolezza e credibilità nei confronti dei popoli “barbari”, come i celti, colpiti dall’eroico spirito di sacrificio dei cristiani.
Tu racconti che l’evangelizzazione in Irlanda avvenne senza spargimento di sangue, senza il “martirio rosso”…
E infatti gli irlandesi cristiani ricercarono altre forme di testimonianza estrema di fede. Prima il “martirio verde”, ossia il lasciare tutto, la casa, gli affetti, per seguire Cristo nella via eremitica e monastica, poi il “martirio bianco”, ovvero lasciare anche la propria terra, l’Irlanda, per farsi missionari e portare ovunque l’annuncio di fede che Patrizio aveva recato loro. A queste forme di martirio, verrebbe da dire con una certa tristezza, oggi si dovrebbe aggiungere il “martirio nero”, quello che soffrono molti fedeli ad opera di istituzioni della Chiesa stessa. In Irlanda, presso l’ultima civiltà celtica, la Chiesa trovò una società in cui la curiosità intellettuale era molto viva, disposta a ricercare la Verità: quando Patrizio vi portò il seme della Parola di Dio, egli vi trovò un terreno perfettamente pronto ad accoglierlo e a dare frutti.
Dalla lunga tradizione civile, religiosa e culturale irlandese emerge una straordinaria passione per la libertà: una passione mai venuta meno nei secoli e che l’Irlanda ha trasmesso all’Europa e al mondo.
L’Irlanda infatti non visse la sua conversione in uno splendido isolamento insulare, ma contribuì con gli uomini che inviava sul continente – monaci, santi, cavalieri, studiosi – a forgiare l’Europa. Questo Paese che non aveva mai conosciuto la sottomissione allo straniero si consegnò spontaneamente alla verità portata da un profeta disarmato, un uomo che era stato schiavo, fino a costruire una civiltà di scuole e monasteri, fino a dare all’intera Europa evangelizzatori e santi. La cultura irlandese, dalla venuta di san Patrizio, è il più luminoso esempio europeo di uno sviluppo letterario, artistico, filosofico e cristiano di un popolo barbaro che era rimasto fuori dei confini dell’Impero romano. La fede degli irlandesi è stata testimonianza e modello per tutto il mondo cristiano, dall’antichità a oggi. Una fede vissuta in modo vibrante, appassionato, una fede che generava monaci, mistici, santi, o anche solo famiglie in grado di superare prove terribili come la persecuzione, la miseria, l’emigrazione. Non si può, dunque, non riconoscere quanto il cristianesimo abbia riempito di significato la storia di quest’isola e del suo popolo, disegnando un cammino segnato dall’evento cristiano.
Che cosa può dire san Patrizio all’Irlanda e alla cristianità di oggi?
Patrizio compì un’impresa straordinaria: portare alla fede una nazione intera, e mantenere in essa le generazioni seguenti. L’Irlanda contemporanea è vittima della cultura woke e della cancel culture, mentre per secoli la forza della società irlandese fu sempre nel solido senso della famiglia, nella decentralizzazione del potere, nella tenacia del popolo, nel suo radicamento in una tradizione diffidente nei confronti delle innovazioni. Ciò permise all’Irlanda di sopravvivere a lunghi secoli di sofferenze. Dunque è necessaria una nuova eroica testimonianza di fede, e Patrizio resta un modello cui guardare con gratitudine e speranza.
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Paolo Gulisano, Patrizio. Un santo tra le rovine dell’Impero, Ares 2024, 160 pagine, 15 euro