Lettera a “Duc in altum” / Un Pietro che sbaglia o un falso Pietro? Qualche criterio per orientarsi
di Flavio Aldrighetti
Caro Valli,
mi permetto di scriverle per condividere qualche pensiero sul criterio da utilizzare per sapere se ci troviamo di fronte a un Pietro che sbaglia o a un falso Pietro.
In questo momento di grande confusione, mi sto sempre più convincendo che, sul piano dottrinale, la chiave di lettura materialiter/formaliter sia quella più corretta per inquadrare compiutamente la realtà che dobbiamo interpretare. Seguendo questa impostazione si giunge alla logica conclusione che l’attuale occupante materialiter della sede petrina sarebbe solo “pietro”, ossia un Pietro apparente e dunque, tecnicamente, un falso Pietro. Questa mi sembra essere, oggettivamente, la situazione checché ne dicano coloro che considerano come pura blasfemia l’ipotesi del vizio di consenso e la distinzione materialiter/formaliter su cui è fondata. Tutti ripetono a pappagallo che Pietro è Pietro anche quando sbaglia, e che può tranquillamente sbagliare anche oggi così come ha già fatto in passato (a) quando ha rinnegato Nostro Signore Gesù Cristo e (b) quando è stato ripreso da san Paolo nella famosa disputa sui gentili. Orbene, a mio modesto parere, rispetto a queste contestazioni mi sentirei in primo luogo di sottolineare quanto segue:
a) è vero che san Pietro ha rinnegato Nostro Signore: lo ha fatto subito dopo la consegna delle chiavi e, successivamente, dopo il suo arresto nell’Orto degli ulivi. Ma il Pietro che ha rinnegato Gesù non era ancora diventato in tutto e per tutto suo vicario. Al più lo era in senso materialiter, ma lo divenne in pienezza (cioè in senso formaliter) solo dopo la passione, morte e risurrezione di Nostro Signore. Infatti, il Pietro designato ad essere vicario mediante la consegna delle chiavi del Regno è solo una pallida controfigura di quello divenuto vicario che si è fatto crocifiggere a testa in giù per testimoniare la Verità del Risorto;
b) san Pietro vicario di Cristo si è immediatamente e umilmente ravveduto dopo il richiamo di san Paolo, cosa che non si può dire altrettanto per Bergoglio, il quale persevera ostinato per la sua strada nonostante le numerose correzioni filiali ricevute.
Sgombrato il campo dall’idea che Pietro possa insegnare abitualmente ed esteriormente l’errore per sei decenni pur rimanendo il vero vicario di Cristo (a prescindere dal suo essere o non essere dichiarato ufficialmente eretico, che è un’altra questione), rimane da capire quale sia, tra tutte le eresie professate che trovano sintesi nel modernismo, quella che si presta meglio a rappresentare la portata dell’apostasia.
Metterei sul primo gradino del podio la libertà religiosa. Tanto innocua in apparenza quanto letale nella sostanza, è la peggiore e più esiziale di tutte. Nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune sottoscritto nel 2019 da “papa” Francesco e dal sultano Al-Azahar al-Sharif (noto come “Accordo di Abu Dhabi”) il nome di “Dio” compare sedici volte, il nome di “Cristo” nessuna. La parola “figlio” compare una volta ma non indica né il Cristo né il fatto che, in quanto fratelli, dovremo pur essere figli di un unico “Padre”, parola che non compare mai. Dio non è mai il Dio vero, trinitario, creatore e redentore, ma solo un vago Dio creatore di tutti gli esseri umani. Gesù Cristo, che è la Via, la Verità e la Vita, è stato rimosso e sostituito dalla cultura del dialogo come via, nuovo vitello d’oro del terzo millennio.
Ho provato a immaginare come si sarebbe comportato Nostro Signore se avesse incontrato il profeta Maometto. Se Gesù Nazareno avesse sottoscritto nero su bianco il documento che il suo “vicario” non ha esitato a firmare, si sarebbe auto-rinnegato declassandosi a mero profeta (come lo considerano i musulmani e i giudei) invece di proclamarsi Figlio di Dio e Re dei Re come, invece, ci testimonia la Passione firmata con l’inchiostro rosso del suo preziosissimo sangue.
Quello che voglio dire è che Cristo, che è la Verità, non avrebbe mai potuto dichiarare il falso davanti a Maometto, come non lo ha dichiarato davanti a Pilato. Ce lo immaginiamo Nostro Signore che, interrogato da Pilato con quel “Dunque tu sei Re?”, invece di rispondergli “Tu lo dici, io sono Re” gli avesse semplicemente detto: “Beh, adesso non esageriamo: innanzitutto che io sia Re è tutto da dimostrare. Fosse anche vero, sono prima di tutto una persona umile che non vuole mettere in imbarazzo nessuno. Se voi preferite pensare che io sia un profeta, chi sono io per giudicare? Io non mi offendo mai perché sono misericordioso e la cosa più importante è mettere da parte le divisioni e vivere in pace rimanendo sempre uniti come fratelli. Caro Pilato, dimmi dove devo firmare per il rilascio; per la cauzione parla con Giuda, che questa volta l’ha combinata veramente grossa anche se è tanto un bravo ragazzo. Poi, se avete piacere, potete seguirmi tutti al lago dove sarete miei ospiti per il fine settimana”.
Ecco, perché Gesù Cristo non ha parlato così a Pilato? O forse l’ha fatto a nostra insaputa e l’avvenimento è documentato da un quinto evangelo che lo Spirito Santo ha recapitato personalmente a ciascun padre conciliare con dedica esclusiva e vincolo di segretezza? Finché il mistero non sarà svelato, ci tocca purtroppo prestare fede ai sinottici.
Ebbene, se Gesù Cristo non ha voluto rinnegare sé stesso, tantomeno può permettersi di farlo colui che vuole esserne il vero vicario e pretende di agire nel suo nome! Dal momento in cui Pietro cessa di confermare abitualmente ed esteriormente i fratelli nella fede di Cristo e di professare il magistero infallibile e irreformabile della sua santa Chiesa, deve cessare immediatamente anche di esserne il supremo rappresentante terreno perché non è più in comunione con lui pur continuando a occupare materialmente la sede petrina. Che ci piaccia o no, questa è la situazione e tale si protrarrà fino alla nomina di un “papa” che vorrà essere papa, perché vorrà fare il papa riprendendo la sequela di Cristo là dove è stata interrotta.
L’accordo di Abu Dhabi è uno dei frutti nati dal seme della dichiarazione Dignitatis humanae promulgata nel 1965 dal Concilio Vaticano II. Sottoscrivendo questo accordo, la gerarchia materialiter ha nuovamente rinnegato, come fece allora, la Regalità di Nostro Signore rifiutandosi altresì di riconoscere il Sommo Pontefice come Suo Vicario e, conseguentemente, come Autorità universale in piena e perfetta comunione con Lui.
Se le cose stanno così, che Autorità può mai essere quella che non viene riconosciuta nemmeno da sé stessa e che valore possono mai avere i suoi atti?