Negli Usa degli imbrogli. Così il progetto Kamala sta andando in porto
Non ti vaccini, ti ammali, muori. Così diceva Mario Draghi, l’uomo più buono del mondo. E oggi, di fronte alla vicenda Biden, viene spontaneo parafrasarlo: ti vaccini, ti ammali lo stesso, esci di scena.
Come nell’Unione Sovietica dei bei tempi andati (ricordate gli Andropov e i Černenko?), negli Usa dell’anno di grazia 2024 di Biden sappiamo poco o nulla. Sparito di scena. Sarà ancora vivo?
In ogni caso, il Covid è arrivato proprio al momento giusto. Fuori il vecchio Joe Biden, dentro la rampante Kamala Harris.
Tutta la faccenda è roba da incompetenti d’alto bordo o frutto di un’astuzia senza precedenti? Mah… Constatiamo comunque che sulla democrazia a stelle e strisce, sempre impegnata a dare lezioni al mondo intero, pesa di nuovo il sospetto dell’imbroglio. Esattamente come nelle elezioni del 2020. E il regno di Biden, nato da voti dubbi e manovre quanto meno ambigue, finisce allo stesso modo.
Nel campo democratico il normale processo di selezione del candidato è stato stravolto. L’uomo che, in un modo o nell’altro, era risultato eletto, sparisce dalla scena, ed ecco subentrare una nuova figura sospinta dal clima di emergenza.
La verità sulle condizioni di salute di Joe Biden era ben chiara e documentata già da prima che annunciasse la sua candidatura. Ma il partito lo ha imposto, lo ha fatto correre e ora, con la stessa disinvoltura, lo ha messo da parte a favore di un altro cavallo. Non c’è che dire: un bell’esempio di democrazia effettiva e di partecipazione dal basso.
Prima hanno lasciato che Biden si sfiancasse e poi, ora che è tardi per la normale procedura di selezione di un candidato, ecco Kamala Harris, la donna del destino. “Che cosa potevamo fare?” si giustificano i democratici con la lacrimuccia. “Chi poteva immaginare un tale declino fisico e cognitivo?”. E tutti lì a ringraziare il vecchio Joe per il prezioso servizio e la nobiltà della scelta di farsi da parte. Solo a sinistra sono capaci di queste messinscene.
Emergenza, confusione, incertezza. Le condizioni ideali per i poteri forti. Le regole non sono più valide, le procedure possono essere semplificate o aggirate. E poi dicono che il nemico della democrazia sarebbe Donald Trump!
Negli States è convinzione diffusa che Kamala Harris in condizioni normali non ce l’avrebbe mai fatta a superare le primarie. Ma ora eccola lì, l’ultraprogressista.
Sotto il profilo religioso, l’identikit di Kamala è perfetto per una certa linea di pensiero. Madre induista, padre cristiano, marito ebreo. Da giovane ha frequentato la chiesa battista e il tempio indù. Prima dell’elezione alla vicepresidenza, andava alla Third Baptist Church di San Francisco, il cui pastore, il reverendo Brown, ha definito Kamala “una persona spirituale”. E fortemente schierata per la libertà di aborto e i “diritti” degli omosessuali.
I sondaggi per ora la penalizzano. Troppo a sinistra, poco affidabile. La sua risata nervosa, ostentata ogni volta che si trova in una situazione che le provoca disagio, non piace agli americani. Ma chi l’ha voluta non bada a questi dettagli. E comunque sarebbe un errore sottovalutarla. I suoi potenti alleati, tra i quali i generosi donatori pro-aborto, sanno come sostenerla.
God bless America!