Spinose questioni canoniche e pensierini di un cattolico basico

Da qualche tempo fra i lettori che mi scrivono (grazie sempre a tutti) predominano i temi di diritto canonico. Parlano di munus e ministerium, di sede impedita e sede vacante, di papa materialiter e papa formaliter, citano insigni studiosi, espongono tesi e contro-tesi. E vogliono sapere come la penso.

Apprezzo molto, davvero. E mi complimento per le analisi. Ma non posso dare risposte perché non sono all’altezza. E poi, sinceramente, non mi ci appassiono. Non è che rifiuti la trattazione di questi problemi. In proposito ho letto parecchio (il che non è usuale, perché noi giornalisti siamo notoriamente pigri e superficiali), ma alla fin fine mi sembra che sia tutto sterile, inconcludente.

Vado sul concreto. Mettiamo che io muoia proprio adesso (cosa possibilissima e che in fondo non mi spiacerebbe, dato che morirei scrivendo, cioè coltivando la mia passione).

Bene. Cerco di immaginarmi la scena. Ecco che l’anima del sottoscritto, abbandonato il vecchio corpaccione, si presenta al cospetto del buon Dio. E come mi accoglie il Giudice Supremo? Mi chiede forse che cosa penso della rinuncia di Benedetto XVI? Vuol forse sapere da che parte sto circa la faccenda del munus e del ministerium? Mi interroga sulla sede impedita e sul sedevacantismo?

Certo, tutto è possibile (come diceva Ratzinger quando non voleva dare una risposta netta), quindi è  anche possibile che il buon Dio, dinnanzi a un’anima arrivata fresca fresca al Suo cospetto abbia voglia di interrogarla un po’ sull’ordinamento della Chiesa (dopo tutto, l’ha voluta Lui). Ma, francamente, mi sembra uno scenario improbabile. Penso piuttosto che la prima domanda sarà qualcosa tipo: “Allora Aldo Maria, eccoti qui. Dimmi, sei stato un uomo buono? Hai osservato i miei comandamenti? Hai creduto in Me? Hai testimoniato la fede? Hai voluto bene a mio Figlio? Mi hai messo sopra ogni cosa?”.

Dopo di che, avendo preso confidenza, ci si potrà anche spingere sul scivoloso terreno dei più spinosi nodi ecclesiali (e a quel punto penso proprio che sarei io a chiedere al buon Dio di togliermi qualche curiosità). Ma, ripeto, immagino che le priorità sarebbero altre.

Mi direte: “Ah, sei un bel furbetto, così te ne lavi le mani”. Ma no, l’ho detto e lo ripeto: non ignoro l’importanza di certe questioni. Semplicemente, mi sembra che non siano così determinanti per il destino della mia anima. Anzi, ho l’impressione che mi spingano a diventare inutilmente polemico e a perdere di vista ciò che più conta.

Mi direte ancora: e allora perché appoggi monsignor Viganò? Semplice: lo appoggio perché condivido la sua analisi e ritengo che, in mezzo a tanta confusione, la sua sia una voce chiara, che mi aiuta a nutrire la fede. Tuttavia, non spetta a me stabilire se il Tal dei Tali, a rigor di codici e di canoni, sia papa o non lo sia. Né mi sembra utile inseguire fumose ricostruzioni retroscenistiche. Io posso solo dire, in tutta sincerità, se il Tal dei Tali lo avverto nel cuore come papa, cioè padre, oppure no. E  in proposito mi sono già pronunciato apertis verbis, più volte: il papa che c’è adesso non lo avverto, nel cuore, come padre. L’ho anche messo nero su bianco (era il febbraio 2021) in un articolo intitolato Roma senza papa [lo trovate qui], come il bellissimo romanzo di Morselli. E il motivo è molto semplice: non lo avverto come papa perché non mi conferma nella fede. Se poi egli sia un usurpatore, un abusivo e un papa non autorizzato lo lascio decidere a chi di dovere. A me bastano le parole del Vangelo: “Dai frutti li riconoscerete”.

A proposito, una domanda che il buon Dio, ci scommetto, mi rivolgerà sarà proprio questa: “E tu, caro mio, che albero sei stato? Che tipo di frutti hai prodotto? Lo sai, vero, che ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco?”.

Al che mi prenderà un’ansia tremenda, come in tutti gli esami che ho sostenuto nella mia vita a partire da quello di seconda elementare, quando rimasi muto come un pesce davanti alla signora maestra che pretendeva di sapere da me quanto fa quattro per quattro.

Lo so, lo so… Se un teologo della nuova scuola leggesse questi miei appunti (tutto è possibile) ora direbbe: “Ma guarda che retrogrado! Ancora con questa storia del Giudice Supremo! Ancora il timor di Dio. Poveretto, non sa che tutto ciò è stato superato!”.

Beh, con rispetto parlando, la mia impressione è che i teologi della nuova scuola dicono così perché sotto sotto non gliene importa un fico secco del buon Dio, ma vogliono solo una vita facile.

Comunque. Il punto è che il diritto canonico ed ecclesiastico lo lascio volentieri a chi ha studiato la materia. E mentre loro sono impegnati a sciogliere intricatissimi nodi, rivolgo al Cielo una preghiera: “Signore, abbi pietà di me peccatore”.

Sarò anche un cattolico basico, ma questo è quanto.

(Anche l’invocazione “Signore, abbi pietà”, ne sono certo, ai teologi della nuova scuola non piace. Ma sapete cosa? Non me ne importa un fico secco).

 

 

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