Cronache dalla grotta / Meditando su una pozzanghera in estate

di Rita Bettaglio

Il caldo è arrivato. Anche nella grotta o, almeno, nelle immediate vicinanze. A poco vale la brezza marina, più invocata che reale.

E con il caldo ecco quella spossatezza che, se non si vigila attentamente (e non si prendono adeguate contromisure), rischia di attaccarsi all’anima. E allora sì che sono guai.

Nihil sub sole novum, niente di nuovo sotto il sole. Anzi, dato che il sole picchia duro, svaporano le arie di virtù e restano le miserie.

Avete mai osservato una pozzanghera? Tutto sommato, quando è piena d’acqua, ha una certa sua dignità. Resta una pozzanghera, certamente, non si può scambiarla per il mare. Certe volte siamo anche capaci di farlo e poi, come dice padre Stefano, prendiamo una nasata galattica.

Una pozzanghera, specie allogata in quei bei buchi che costellano le strade delle nostre città, ha una sua solennità, ma niente a che vedere con quelle delle vie di campagna, in terra battuta e ciottoli. A ogni modo una pozzanghera fa sempre l’effetto di una promessa di profondità, come un medico appare, all’ammalato, promessa di salute. Sappiamo, dall’emorroissa e dalla nostra personale esperienza, quanto questo sia aleatorio.

Sulla superficie di una pozzanghera ci si può specchiare e vedere, diceva il poeta, come una stampa antica bavarese, con quella dolcezza del cielo subalpino. Ricordi di scuola.

Basta, però, in passo incauto, qualche ora di sole, e il nostro personale lago alpino si mostra per quello che è: pata, umile fango con due dita d’acqua pronte a lasciarlo in un baleno.

Perché mai, direte voi, tutto questo sproloquio? Perché il solleone, Deo gratias, coi suoi raggi spietati asciuga le pozzanghere di effimeri piovaschi e inaridisce tutto ciò che non ha radici profondissime.

Ventilabro del mondo e dell’anima, mette a nudo e dissecca. L’erba dei tetti, il mondo e la nostra anima.

Allora parole e comportamenti che parevano intrisi d’acqua viva diventano cocci aguzzi di bottiglia, che un tempo sormontavano i nostri muri di Liguria.

Arido come il coccio è il mio palato, dice il salmista. Aridità benedetta e salutare!

Sapete come si puliscono gli scarponi da montagna quando si riempiono di fango? Non si lavano, ma si fanno asciugare al sole, perché il fango si secchi. Così potrà essere rimosso, almeno per la maggior parte. La pulitura di fino sarà possibile in un secondo tempo.

Così per noi, per il mondo e per la Chiesa, nostra madre. Il sole cocente inaridisce le pozzanghere, evapora simulacri di virtù, riduce il nostro terreno a povere stoppie. Tutto ci sembra desolato, morto stecchito.

Le cicale friniscono nell’imbatto meridiano, ci riempiono le orecchie come crudeli risate e ci confondono.

Ma il fiume di Dio è sempre gonfio di acque, anche se tutto ci pare sfiorito. Il fiume di Dio è carsico e scorre nel profondo delle anime e della Chiesa. Non potrà mai prosciugarsi perché non è una delle nostre pozzanghere: è un fiotto inarrestabile che esce dal costato di Cristo.

Le ossa paiono inaridite, ma si ricopriranno di carne: torneranno i muscoli e i tendini. Lo sappiamo con la certezza della fede. Torneranno quando il Signore vorrà, né un attimo prima né uno dopo.

Perché la santa Chiesa è sua e noi l’amiamo come nostra madre e piangiamo con lei, se questo ci viene concesso per la nostra crescita e purificazione.

Non la lasceremo mai perché, nonostante i peccati di tutti gli uomini, è una, santa, cattolica e apostolica. E romana.

Le pozzanghere passano, Nostro Signore Gesù Cristo e la Chiesa no.

 

 

 

 

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