di Paolo Gulisano
Due mesi fa, il 27 maggio, veniva presentata a Roma l’edizione italiana del libro La diga rotta. La resa di “Fiducia supplicans” alla lobby omosessuale (Tradizione Famiglia Proprietà, 2024) degli studiosi José Antonio Ureta e Julio Loredo. Avrebbe potuto essere l’occasione per aprire un serio dibattito sulla delicata questione del rapporto Chiesa-omosessualità, ma proprio quel giorno le agenzie diffusero una notizia decisamente più ghiotta: si trattava della colorita, volgare, incredibile espressione utilizzata da papa Francesco in un incontro con i vescovi, ovvero dei successori degli apostoli: frociaggine. E così la questione dell’omosessualità finì in caciara, come si dice nell’Urbe, finì in battute grasse da cinepanettone, e poi a tarallucci e vino con le rassicurazioni che il papa non aveva voluto offendere nessuno, che niente cambiava nel giudizio positivo e inclusivo rispetto alle persone omosessuali e che l’affermazione perentoria di inizio pontificato (“chi sono io per giudicare?”) era ancora in vigore.
Nel frattempo, l’uscita del papa aveva suscitato gli entusiasmi dei cattolici conservatori, a cui non sembrava vero di poter finalmente arruolare papa Bergoglio. L’ex senatore della Lega caduto in disgrazia presso Salvini, Simone Pillon, postava un trionfale “standing ovation per il Santo Padre”, che finalmente – così i teocon all’italiana valutavano l’intemerata di Bergoglio – aveva “detto quello che tutti pensano”. Si ripeteva l’autosuggestione collettiva già verificatesi con l’uscita un anno fa del libro di Vannacci, visto dall’estrema destra come l’uomo della Provvidenza arrivato a dire “quello che tutti pensano”. In realtà si trattava di un wishful thinking, dell’attribuzione di un pensiero che non è del soggetto in questione, ma che si auspica possa esserlo. Quello che è il vero pensiero di Vannacci, tra l’altro, è stato esplicitato dal generale il 14 luglio, in un post in cui ha esaltato i valori della Rivoluzione francese, quella che secondo Aleksandr Solženicyn fu la madre di tutte le rivoluzioni e di tutti i genocidi del XX secolo.
Di fatto, il libro di Vannacci e le parole volgari di Bergoglio dovevano servire a stanare e monitorare quanto ci fosse ancora nella società e in ambienti culturali di sentimenti classificati come omofobi. E ci sono riusciti. Quanto è stato detto e scritto dopo il 27 maggio da Santa Marta e dalla Sala stampa vaticana conferma che la posizione della Chiesa non è cambiata rispetto a Fiducia supplicans, e che non c’è alcuna intenzione di ritornare alla Dottrina della Chiesa, quella espressa dall’ultimo Catechismo di Giovanni Paolo II curato dall’allora cardinale Ratzinger.
Tolte dunque di mezzo le illusioni e le autosuggestioni, e anche quelle posizioni di effettiva ostilità alla condizione omosessuale in quanto tale dalla quale aveva preso chiaramente le distanze Benedetto XVI (specificando che sono gli atti a essere peccaminosi e non la tendenza a una determinata affettività, per la quale c’è un termine scientifico che è decisamente trascurato, che è omotropia), come affrontare seriamente questa questione?
Il metodo è quello indicato dal libro di Ureta e Loredo, che ripercorrono accuratamente lo “sviluppo” che ha avuto la Dottrina cattolica nel corso degli anni, con un esame attento dei documenti. A fronte di chi si limita a criticare il “Tucho” Fernandez, il libro dimostra chiaramente che l’arrivo del prelato argentino alla testa del Dicastero per la dottrina della fede e la sua clamorosa dichiarazione Fiducia supplicans non costituiscono altro che il coronamento di un progetto di legittimazione dei rapporti sessuali con lo stesso sesso accuratamente portato avanti da parte di settori significativi della Chiesa in ambito sia teologico sia accademico, e nella prassi pastorale anche da vescovi e cardinali. L’obiettivo finale è duplice: in primo luogo sdoganare e legittimare completamente i rapporti sessuali al di fuori del sacramento del matrimonio (obiettivo già raggiunto da tempo in ambito eterosessuale), in secondo luogo estendere questa “apertura” anche ai rapporti con lo stesso sesso. In fondo si deve arrivare all’abrogazione di fatto del sesto comandamento, evidentemente ritenuto superato.
Una delle modalità per portare a compimento il progetto dovrebbe consistere nel cambiare il Catechismo della Chiesa cattolica, che costituisce ancora una sorta di paradigma, togliendo di mezzo la definizione di “atti moralmente disordinati” riferiti a quelli con persone dello stesso.
Altro obiettivo dei settori della Chiesa che oggi controllano le leve della governance è promuovere rapporti stabili tra le persone omosessuali. Poiché la promiscuità e la pluralità di relazioni hanno sempre costituito un problema, anche di tipo sanitario, questa visione psicologica prima che teologica vede in un legame stabile, magari sancito da unione civile, un rimedio a apporti casuali, occasionali, puramente ludici. Una visione in cui sembra esserci un residuo distorto dell’antica interpretazione del matrimonio come remedium concupiscentiae. Nel libro viene ricordato ciò che disse tempo fa l’arcivescovo di Kansas City Joseph N. Naumann:
Gli attivisti per i diritti degli omosessuali hanno chiesto con forza che la società secolare concedesse loro lo stato coniugale civile. Questi stessi attivisti hanno anche chiesto alla Chiesa la benedizione delle unioni omosessuali come affermazione della correttezza della loro attività sessuale e come passo finale per concedere il riconoscimento matrimoniale delle loro relazioni.
Gli autori premettono di non essere mossi dall’intento di denigrare o diffamare nessuno, tantomeno quanti dominano con merito personale una tendenza che la Chiesa definisce “oggettivamente disordinata”. Ureta e Loredo sono consapevoli dell’enorme differenza tra questi ultimi e quegli attivisti che invece presentano il loro stile di vita omosessuale come motivo di orgoglio, cercandone addirittura l’approvazione ufficiale da parte della Chiesa cattolica.
Diventa allora più chiaro perché si è arrivati al documento di Fernández, approvato personalmente da papa Francesco nel dicembre 2023, che dà il via libera alle benedizioni sacerdotali per le coppie che vivono in unioni irregolari, incluse quelle dello stesso sesso.
Il processo è in atto da tempo e, come per molti altri aspetti della vita della Chiesa, ha visto negli ultimi anni un’accelerazione fortissima. Occorre comprenderlo, analizzarlo, e organizzare una robusta e salda opposizione culturale, dottrinale e spirituale. Occorre difendere e riproporre coraggiosamente, con passione, con amore, la Verità umana e cristiana.