Caso Khelif: quando una buona causa usa armi sbagliate

di Paolo Gulisano

Una delle due parole ebraiche che indicano il peccare è cheit, che letteralmente significa “mancare il bersaglio”, un termine riferito al tiro con l’arco. Peccare è, metaforicamente, mandare la freccia fuori bersaglio.

È quanto accaduto con il caso dell’atleta algerina Khelif, in gara alle Olimpiadi nel pugilato femminile. Nel momento in cui l’algerina è stata sorteggiata per affrontare un’italiana, Angela Carini detta “La tigre”, è iniziata una polemica rovente in cui si sono gettati anche i politici.

Imane Khelif è un’atleta che ha già subito una squalifica per il tasso di testosterone superiore al consentito. Occorre ricordare che il testosterone è stato purtroppo utilizzato nello sport femminile come forma di doping, perché potenzia le masse muscolari. Osservando l’atleta algerina, non si riscontrano masse muscolari ipertrofiche. Tuttavia, ad esami genetici, la Khelif presenta anomalie cromosomiche con presenza di caratteri maschili.

Nelle polemiche che si sono scatenate, spesso caratterizzate da volgarità, si è parlato, e si parla tuttora, di un’atleta transgender. Non è assolutamente così. Imane è nata femmina, è stata registrata all’anagrafe come bambina, ed è stata cresciuta come una femmina. Non è mai stata un maschio, anche se con il tempo sono emerse caratteristiche sempre più maschili. Sono situazioni che si riscontrano, in natura, da sempre. Imane non ha mai effettuato una “transizione di genere”, né chirurgica né ormonale.

Chi dunque sta sostenendo che si tratti di un trans ha scagliato la freccia fuori bersaglio. Imane è una persona che si trova in condizioni fisiche che attualmente, e nello sport che pratica, le danno un indubbio vantaggio, ma che nel corso della sua vita potrebbero causarle diversi problemi, primo fra tutti la sterilità.

Le persone che stanno cavalcando questo caso in buona fede, per contrastare la subcultura gender fluid, devono però sapere che non fa bene a tale causa buttarsi a capofitto e con livore a parlare di “atleta transgender”, anche perché i media progressisti se ne usciranno con un bel fact checking e li accuseranno di disinformazione transfobica.

Utilizzando un’altra metafora sportiva direi: un clamoroso autogol. Inoltre, nelle caratteristiche di Imane non c’è nulla di fraudolento: lei è così per natura. Allo stesso modo, il nuotatore Michael Phelps, l’atleta più medagliato della storia, ha dominato nel suo sport perché aveva una variante genetica che faceva sì che producesse la metà dell’acido lattico, con conseguente enorme vantaggi rispetto agli avversari. Forse che per questo motivo sarebbe stato da escludere dalle gare?

Un altro caso di atleta dotato dalla natura di mezzi fisici eccezionali è stato quello del cestista americano Shaquille O’Neal: con 220 centimetri di altezza e 150 chilogrammi di muscoli sovrastava largamente ogni avversario di pari ruolo. Avrebbe dovuto per questo essere escluso dalla NBA? No, anche perché aveva limiti tecnici, e quindi era affrontabile. Gli stessi limiti tecnici che evidentemente ha la Khelif, visto che prima dell’incontro con la Carini aveva un bilancio, su tredici incontri ufficiali, di otto vittorie e cinque sconfitte: piuttosto mediocre. Si tratta quindi di un’atleta battibilissima, e se nei prossimi turni dovesse essere sconfitta, ecco che coloro che hanno presentato l’incontro con la Carini come un pericolo per l’incolumità dell’atleta italiana, addirittura per la sua stessa vita, farebbero una davvero brutta figura.

Oltretutto, il clima mediatico creato attorno all’incontro non ha giovato alla poliziotta napoletana, che dopo pochi secondi e un paio di pugni (attutiti dal casco con cui combattono nella boxe i dilettanti) si è immediatamente e ingloriosamente ritirata. Una scelta che ha giustificato ai suoi stessi sbigottiti secondi con le parole “mi ha fatto male”. Ma il pugilato, purtroppo, è uno sport in cui si deve convivere con il dolore. Forse Angela invece di leggere le intemerate dei media e dei social di estrema destra avrebbe dovuto rivedersi il film Rocky, dove l’eroico Balboa, di fronte alla raffica di colpi di Apollo Creed che gli rompono costole e zigomi e gli aprono le arcate sopracciliari, continua a ripetersi: “Non fa male… Non fa male”.

Avrebbe potuto giovarle anche vedere il film Cinderella Man, vera storia dell’irlandese d’America James J. Braddock che sfidò per il titolo mondiale dei pesi massimi Max Baer, il quale aveva già ucciso su un ring un avversario e ridotto in fin di vita Primo Carnera. Baer era più alto e pesava dieci chili più di Braddock, dati che nella boxe contano moltissimo. Inoltre, combatteva con odio, come una belva feroce. Braddock resistette, seppe incassare (che nella boxe è una qualità fondamentale), finì l’incontro in una maschera di sangue, ma vinse il titolo, tra l’esultanza dei cattolici irlandesi di tutta America che avevano recitato il rosario durante il match, e che ne fecero il loro eroe.

Peraltro, ci sono segnali mediatici che mostrano come anche Angela Carini sia stata scelta come possibile eroina, come “grande donna italiana”. Speriamo che la brava poliziotta napoletana non si faccia irretire da queste sirene, magari dall’offerta di una candidatura elettorale, e continui invece a praticare lo sport che ha scelto, fatto di tanti sacrifici, e possa arrestare tanti mariuoli, magari assestando loro qualche bel diretto.

E speriamo che chi vuole uno sport pulito, fatto di fair play, indirizzi la propria indignazione a miglior causa, in particolare quella del doping, vera peste dello sport, una frode vergognosa realizzata con atleti chimicamente modificati con ingiusti vantaggi; un problema di cui stranamente non parla nessuno. Lo ha fatto solo il grande giornalista d’inchiesta Nando Sanvito, che da anni denuncia le magagne del doping, comprese le vergognose manovre per screditare degli innocenti. Fu proprio grazie a Sanvito che venne fuori la verità su Alex Schwatzer, il campione suditirolese vittima di un complotto per fargli mancare due olimpiadi.

Insomma: si cerchi di mirare meglio il bersaglio, e fare centro.

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