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Cronache dalla grotta / Di passeri e bambini

di Rita Bettaglio

Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium (Psal 123, 7).

L’anima nostra come un passero è stata salvata dal laccio dei cacciatori.

Il verbo latino, forma passiva di eripio, significa strappare, portare via con decisione. Dà proprio l’idea di una provvida mano che interviene e restituisce la libertà a un povero uccellino che è incappato, non avvedendosene, nel laccio dei cacciatori.

Anche nella grotta fa caldo e bisogna rifugiarsi nei suoi più reconditi anfratti, laddove la pietra non è stata raggiunta dagli infuocati dardi e conserva almeno parte della propria frescura.

Il corpo ci si rintana in cerca di refrigerio e l’anima lo segue (e in qualche modo ne precede l’anelito).

Nell’ombra lapidea il pensiero corre a questo passero e a quel perfido laccio.

Sono belli e delicati i passerotti, timidi e fragili come talora i desideri di bene che si affacciano nella nostra anima. Hanno movimenti veloci e non stanno mai fermi. Sembrano bimbi che, facendosi coraggio l’un l’altro, s’avventurano in un luogo pieno di mistero e, al primo rumore inaspettato, sentono la paura sottopelle e fuggono.

Una storia come quella di Gigino e la sua ghenga, narrata da Guareschi ne La calda estate del Pestifero (a proposito, leggetela: è bellissima!).

I bambini e i passeri hanno delle somiglianze: per entrambi i Salmi hanno espressioni cariche di tenerezza.

Nel Signore mi sono rifugiato, come potete dirmi: “Fuggi come un passero verso il monte”?” (Sal 11, 11).

Anche il passero trova la casa, la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio (Sal 4).

Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia (Sal 131,2).

Nostro Signore stesso parla dei passeri e della premura che Dio Padre ha per ognuno di loro.

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! (Mt 10, 29-31).

Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3).

Dobbiamo quindi farci piccoli come i bambini e i passeri.

Ma che vuol dire concretamente? Non sempre i bambini sono quel prodigio di dolcezza che paiono quando dormono. Ben lo sanno le mamme: i teneri frugoletti sanno fare pianti estenuanti e ridurre la genitrice a uno straccio con le occhiaie e lo sguardo sfatto.

Neanche i passeri sono sempre graziosi batuffolini, come ben conobbe Tobi, reso cieco dai loro escrementi.

Che dunque? In cosa ci viene chiesto d’imitarli?

Nella semplicità, nel candore, nella schiettezza, nella fragilità. Il passero si nutre di ciò che trova e non esita a raccogliere ogni briciola caduta a terra. Il bambino da solo non sarebbe in grado di vivere se la madre non provvedesse a lui in tutto, fin dal concepimento nel suo grembo.

Un uccello lascia il nido cui crede di fare in breve ritorno. Neppure se lo domanda, perché la vita di un passero è sempre appesa a un filo.

Un bimbo si lascia andare al sonno tra le braccia di un adulto, abbandonandovisi completamente, anche se questi potrebbe essere il peggiore criminale dell’universo.

È l’abbandono la nota comune, la fiducia nella divina Provvidenza.

Ben lo sa il Renzo Tramaglino dei Promessi sposi che, su questa certezza, dette gli ultimi soldi a due povere donne.

“La c’è la Provvidenza!”, disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca, la votò di que’ pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada.

La c’è. Lo sa il passerotto che trema al freddo dell’inverno. Lo sa il bambino che l’assaggia per la prima volta nel grembo materno. Lo sappiamo noi tutti, che così spesso lo dimentichiamo.

Un’ultima cosa: andatevi a vedere, alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, la Madonna del passero del Guercino, dove il bambin Gesù guarda incuriosito il passerotto che la Madonna tiene sull’indice della mano.

 

Aldo Maria Valli:
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