Caro Valli,
ho composto per lei e per tutti i lettori di Duc in altum una parafrasi della nota ode All’Italia di Giacomo Leopardi. Al posto dell’Italia ho messo la Chiesa d’oggi. Mi spiace, ma devo restare anonimo.
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Alla Chiesa
O Chiesa mia, vedo i tabernacoli strappati dagli altari,
i presbitèri monchi delle balaustre
e i muti campanili degli avi nostri,
ma la Fede più non vedo,
non vedo i Pastori e i Santi
di cui eran fieri
i nostri padri antichi. Or fatta inerme,
vuoti i seminari e deserte le Sante Messe mostri.
Oimè! quante contraddizioni,
che apostasia, che modernismo! oh, qual ti veggio,
Santissima Madre! Io chiedo al Cielo
e al mondo: – Dite, dite;
chi la ridusse a tale? – E questo è peggio,
che di sacrileghi grembiuli ha ingombre tutte le membra;
sì che sparte le chiome e senza aureola
siede in terra secolarizzata e laica,
nascondendo la faccia
tra le ginocchia, e piange.
– Piangi, ché ben hai donde, Chiesa mia,
le false fedi a vincer nata
e nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
mai non potrebbe il pianto
adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
ché fosti Madre, or sei infida matrigna.
Chi di te parla o scrive,
che, rimembrando il tuo passato vanto,
non dica: – Già fu grande, or non è quella? –
Perché, perché? Dov’è la sacralità antica?
dove la Fede, la Speranza e la Carità?
Chi snaturò il Sommo Sacrificio?
Chi ti tradì? Qual mago o qual demonio
o qual altro sortilegio
valse a spogliarti dei sacri paramenti e dell’antica liturgia?
Come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
Nessun prega per te? Non ti difende
nessun de’ tuoi?
Il Santissimo, qua il Santissimo: io solo
l’adorerò, l’adorerò sol io.
Dammi, o Ciel, che sia foco
al Piccolo Resto il sangue mio.
Cherubino scripsit