Prima il fulmine, poi le scimmie, ora la cupola nera. I messaggi dalla basilica di San Pietro

di Fabio Battiston

Nessuno di noi potrà mai dimenticare la fotografia che il 12 febbraio 2013, subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, fissò il momento in cui un fulmine colpì la sommità della cupola di San Pietro. Quell’immagine, divenuta simbolo iconico di uno dei più drammatici eventi della bimillenaria storia della Chiesa, è stata ed è tuttora oggetto, da parte di non pochi credenti, di commenti, riflessioni, timori e considerazioni sul significato vero o presunto di quell’evento. All’opposto, sul versante ateo-agnostico, la questione ha alimentato i sarcasmi di chi vi vedeva ribadito il carattere superstizioso, retrogrado e fanatico di molti aspetti legati alla fede e alla religione. Non c’è e non vi sarà mai modo di conciliare queste posizioni, direi anzi che sarebbe un esercizio stupido e inutile il tentare di farlo. Ciascuno può vedere in quella foto ciò che il suo cuore (inteso come un insieme più o meno coerente di fede, scetticismo, coscienza e convinzioni) gli suggerisce. Parto da qui per dare un senso a questo mio contributo, per proporre una mia personale visione su come talvolta eventi e accadimenti – siano essi apparentemente naturali e spiegabili oppure frutto di azioni umane consapevoli – possano nel loro insieme rappresentare un quadro che un credente dovrebbe comunque sentire l’esigenza di analizzare e sul quale riflettere profondamente.

In questo contesto è proprio la cupola michelangiolesca, insieme alla facciata del Maderno che parzialmente ne impedisce la vista, a rappresentare una sorta di metafisico “teatro”. Un boccascena dal quale in questi anni hanno preso corpo, agli occhi di quei credenti che vogliono vedere al di là del mero significato concreto, inquietanti messaggi fin troppo coerenti con la temperie che la chiesa cattolica temporale sta attraversando.

Del fulmine che seguì l’annuncio di Ratzinger, e che precedette di un mese l’elezione del signor Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio, ho già parlato all’inizio. Voglio ora soffermarmi su altri due accadimenti che, in modo diverso, sembrano confermare quanto quella Basilica, la più grande e importante della cattolicità, sia divenuta una sorta di “centro di comunicazione” la cui governance – e questo è un altro aspetto preoccupante della questione – non può essere a mio avviso chiaramente identificata. Ma andiamo con ordine.

L’evento di cui ora parlerò non ebbe nulla di soprannaturale; purtroppo fu il parto di una mente umana, di un pontefice che due anni e mezzo prima aveva deliziato il mondo presentandosi con quel suo “fratelli e sorelle buonasera” degno del miglior Mike Bongiorno. Era l’8 dicembre 2015, festa dell’Immacolata concezione. In Piazza San Pietro quella sera c’ero anch’io. Non potevo ancora sapere che da quel giorno non avrei mai più messo piede sotto il colonnato berniniano. La Santa Sede aveva predisposto una sorta di spettacolo tutto luci, colori e gigantesche, fantasmagoriche immagini proiettate sulla facciata della Basilica. Ci si sarebbe aspettata una sorta di allegoria in onore di Maria Immacolata, col sottofondo delle più importanti musiche composte in suo onore nei secoli. Quello che avvenne fu invece qualcosa di mostruoso; immagini di foreste, animali (alcuni veramente orrendi), paesaggi più o meno selvaggi. Un sabba interamente dedicato alla natura e alla fauna del nostro pianeta. Era il nuovo feticcio ambientalista al quale il neo paganesimo bergogliano aveva dedicato la sua ultima fatica letteraria, quella Laudato sì’ anticipatrice di tutte le oscenità catto-climatiche che ci avrebbe riversato negli anni a venire. Maria, Madre della Chiesa e Avvocata nostra, era stata trasformata nella Madre terra! Quella kermesse, spudoratamente fatta coincidere con la festa dell’Immacolata, era anche il saluto della Chiesa cattolica alla Conferenza mondiale sul clima che, proprio in quei giorni, si stava tenendo nella “Parigi o cara” di verdiana memoria. Non sarà male ricordare chi furono i progettisti e gli esecutori materiali di quell’indegno spettacolo (non so se e quanto pagati dalla Santa Sede): una partnership tra la Vulcan Inc., la LiKa Shing Foundation e la Okeanos, in collaborazione con Ocean Preservation Society e Obscura Digital. Per chi ha tempo risulterà molto istruttivo saperne di più su queste aziende, organizzazioni e personaggi i cui nomi paiono già tutto un programma. Circa tre anni dopo il messaggio subliminale del fulmine che colpiva il crocifisso della cupola, ecco quindi la Basilica ancora protagonista, stavolta per mano umana (ma guidata da chi?), di un tetro spettacolo di morte.

Molti credenti, all’epoca, manifestarono alto il loro sbigottimento e la loro protesta di fronte a quell’incredibile messinscena. Nessuno di loro, tuttavia, poteva sospettare che quello proposto fosse soltanto un piccolo antipasto di ciò che sarebbe avvenuto di lì a pochi anni. Nell’ottobre 2019, infatti, il famigerato sinodo amazzonico ufficializzava l’ingresso del paganesimo nella Chiesa cattolica. L’immagine della pachamama in processione adorante nella chiesa della Traspontina, a Roma, fu l’icona simbolo di quei tremendi giorni.

Ed eccoci al terzo accadimento, quello che da diverso tempo sta provocando la curiosità (per qualcuno l’angoscia) sia di molti romani sia della moltitudine di turisti che quotidianamente si riversano in San Pietro. Questo evento è di nuovo ascrivibile, come il fulmine, a un fenomeno fisico-chimico del quale però, almeno così pare, nessuno è sinora riuscito a dare una spiegazione plausibile: la cupola di San Pietro è diventata nera!

Ecco come il corrierediroma.org ha descritto la situazione:

Al termine dei lavori [di restauro, N.d.R.] la Cupola è apparsa ripulita, bianca (anche se alcune parti già si sono scurite per via dell’inquinamento) ma c’è un fenomeno che ha colpito (e colpisce) gli occhi dei romani e non solo: le lastre di piombo. La struttura ha assunto, nella sua parte curva, un colore assolutamente inusuale. Le lastre sono diventate scure come se si fossero ossidate improvvisamente. Quel colore grigio chiaro, proprio delle cupole rinascimentali e barocche, che da secoli ha accompagnato il panorama di Roma, è improvvisamente scomparso dalla Cupola per eccellenza, assumendo un colore, all’occhio umano, quasi nero. Cosa è successo? Sarebbe interessante conoscere, attraverso un comunicato dei servizi tecnici vaticani, il motivo di tale “fenomeno” che ha cambiato radicalmente la visione tradizionale “der Cuppolone”.

Un segno dei tempi che mutano? Chissà se qualcuno potrà rispondere a tale quesito. Pare si tratti, quindi, di un processo ossidativo che ha colpito la struttura anche se nessuno, al momento, è stato in grado di spiegare la causa di un simile fenomeno e il perché si sia manifestato nei modi e nei tempi che stiamo osservando. È interessante, comunque, la domanda finale che l’articolista si pone. Ad essa ne potremmo aggiungere altre: quali tempi stanno mutando? In che direzione? E perché proprio ora? Una cosa è certa: nessun ufficio tecnico e nessun ingegnere esperto in strutture antiche potrà mai dare una risposta a queste domande. Per quanto mi riguarda si tratta dell’ennesimo (e inquietante) messaggio che il grande palcoscenico berniniano-michelangiolesco ci sta proponendo proprio da dodici anni a questa parte.

Sono forse anch’io un membro di quello sparuto esercito superstizioso, fanatico e retrogrado che farnetica di malefiche presenze e lugubri messaggi che dal sottosuolo di Gerusalemme arrivano in via della Conciliazione? Chissà.

Forse, di fronte a tutto questo, il Poeta non esiterebbe a proclamare: Pape Satàn, Pape Satàn aleppe!

 

 

 

I miei ultimi libri

Sei un lettore di Duc in altum? Ti piace questo blog? Pensi che sia utile? Se vuoi sostenerlo, puoi fare una donazione utilizzando questo IBAN:

IT64Z0200820500000400192457
BIC/SWIFT: UNCRITM1D09
Beneficiario: Aldo Maria Valli
Causale: donazione volontaria per blog Duc in altum

Grazie!