La grotta e il lago

di Rita Bettaglio

Ultimamente il cielo si è chinato pietoso sulla terra riarsa e ci ha donato il refrigerio della pioggia.

Io sono degli anni Sessanta, quella generazione per cui le vacanze estive duravano oltre tre mesi ed erano così lunghe che ad un certo punto ti veniva nostalgia della scuola. Allora, bei tempi, dopo il 15 agosto arrivavano i temporali, i milanesi scappavano, si alzava la tramontana e veniva quel mare lungo di settembre che è una meraviglia.

Ebbene, quest’anno le burrasche ferragostane sono arrivate puntuali e nella grotta si dorme come al suono di arpe angeliche.

Per questo, forse, la notte passata ho sognato di essere sul lago Maggiore, dove ero stata tanti anni fa coi bambini dell’Azione cattolica: una brezza delicata increspava le acque e i monti bisbigliavano cheti nel crepuscolo. Che dicevano?

Subito non intendevo ma, a poco a poco, udii distintamente una voce. Era un’armoniosa voce di donna, che veniva dal passato.

“Sorelle mie, Gesù Cristo passa e c’invita a seguirlo al martirio; ma un martirio nascosto, che ci fa morire a noi stesse, alle nostre passioni, al nostro cattivo umore, a mille piccole gelosie e suscettibilità; martirio che ci fa essere senza misericordia per noi medesime e ci obbliga ad averla tutta per il nostro prossimo”.

Mi volgo tutto intorno alla ricerca di chi stia parlando. Non riesco a scorgere nessuno, ma la voce si distende sulle acque del lago e nella mia anima.

“Siate dunque molto esatte nel seguire tutte le prescrizioni della santa Regola. Conservate bene il silenzio. Rimanete tutte raccolte in voi stesse e sempre in Dio, senza dissiparvi tanto al di fuori, nelle creature che vi rubano il tempo e l’attenzione che dovete a Dio e v’impediscono di riempirvi di lui”.

Chi parla? Aguzzo gli occhi e, piano piano, ravviso, lontana, la sagoma di una monaca, che mi sorride con una dolcezza per me inusitata.

Vestita di nero, ampio soggolo bianco e un ciondolo dorato che pende sul petto. Non capisco cosa sia…non è una croce, ma attira il mio sguardo. Mi pare che diventi sempre più grande, finché riesco a vederlo distintamente: è un ostensorio. Resto come incantata… d’altra parte nei sogni tutto può accadere, no?

Mi faccio coraggio. “Come vi chiamate, Madre?”, cerco di domandare, ma, come capita nei sogni, la voce non esce. “Da dove venite?”, insisto, ma riesco a formulare le domande solo nella mia mente.

La monaca ha tratti gentili, nobili e pacati. È raccolta in sé, ma ha un luminoso, limpido sguardo che racconta di sofferenze, generosità, amore ed esili che la Provvidenza permette quando vuole fecondare nuove terre. Guerre, violenze, carestie, privazioni e difficoltà sono spesso il catalizzatore per il diffondersi della fede e della vita monastica, la garanzia che sia realmente opera di Dio.

La madre pare aver udito le mie domande, anche se non sono riuscita a pronunciarle. Dalla terrazza di una bella costruzione, immersa nel verde e lambita dal lago, ella non mi dice il suo nome ma solo queste parole.

“Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova.  Gradite in spirito di umiltà tutta la povertà e miseria che la Provvidenza vi fa provare. Le privazioni, le tenebre e le impotenze: tutto è buono, poiché è Dio, la sapienza eterna, che le dona. Rimanete soltanto costantemente abbandonata e non preoccupatevi affatto del resto; Dio provvederà a tutti i vostri bisogni: la vostra santificazione è opera sua”.

Mi sveglio ma coll’anima resto su quel lago.

“La vostra santificazione è opera Sua”. Ha ragione la misteriosa madre…

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