Pessime abitudini in chiesa / 13

Caro Valli,

frequento le messe, ma non le sacrestie, perciò non posso avere l’opportunità di levarmi questo fastidioso dubbio: nei nuovi messali, dopo la benedizione finale, è prescritto di salutare il pubblico, pardon i fedeli, con un buona domenica, buona giornata, buonasera eccetera?

Infatti, in ogni parrocchia in cui mi è capitato di essere presente (di rito ambrosiano o romano che fosse) tutte le Messe – tranne una volta, “sarà un dissidente” ho pensato – sono terminate così.

Tanto che appunto mi è sorta questa curiosità: dopo il Gloria e il Padre nostro, è forse stato fatto un ritocchino anche alle formule finali della Messa?

Nat

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Caro Valli,

ho partecipato a un’altra Messa pastoralmente creativa domenica mattina nella mia parrocchia, alla presenza dei ragazzi che nel pomeriggio avrebbero avuto la prima confessione. Presenza anche di domenica sparuta, ma ben ostentata in pole position davanti al presbiterio, in semicerchio e con pratiche sedie, così nessuno imparerà mai a inginocchiarsi. Messa in Novissimus Ordo con zelante voce guida di zelante commissione liturgica che ha “concelebrato” in alternanza didascalica, canone compreso. L’atto penitenziale non si fa all’inizio perché “ragazzi, quando si fa l’esame di coscienza si ascolta prima la Parola per fare discernimento”. È vero che nell’Ordo Poenitentiae si ascolta la Scrittura per chiedere perdono, ma adesso stiamo celebrando Messa, non la Confessione; e nell’Ordo Missae si chiede perdono per ascoltare la Scrittura… Comunque nessun problema con i ragazzi presenti che, data la scarsa frequentazione, probabilmente ancora non si sono resi conto di come all’inizio della Messa ci sia un atto penitenziale. E men che meno ne prenderanno coscienza oggi, visto il dis-Ordo Missae propinato.

E allora ascoltiamo la Scrittura, pardon, la Parola. Letto il Vangelo, dall’ambone il parroco si sposta in mezzo al presbiterio, per pronunciare l’omelia davanti all’assemblea portandosi in “protrusione pastorale” ai margini del presbiterio.

Se la liturgia è “ordo” (il temine corrisponde all’ebraico “sèder”, il conviviale ma rigoroso rito della cena di Pasqua, che è traducibile precisamente con “ordine”), di gesti, collocazioni, successioni, parole, oggetti che “sono segni”, cioè “significano”, indicano univocamente, eloquentemente e ripetitivamente ciò che si “celebra” (e non ciò che estemporaneamente si fa, si dice, si racconta…), la spontanea domanda a mezza voce dell’inesorabile Carla che sento dietro di me, in dialetto altrettanto spontaneo, è quanto mai pertinente: «E adesso cosa fa lì in mezzo, in piedi come un cavallo?». A riconferma che il sensus fidelium non è puro costrutto teologico. In effetti l’inesorabile Carla “sa” che i “luoghi significativi” della celebrazione sono l’ambone (liturgia della Parola) e l’altare (liturgia dell’Eucarestia), cui si aggiunge la sede (o la cattedra per il vescovo). E dunque questa collocazione dis-ordinata del parroco che viene mantenuta per tutta la predica, per tutto l’atto penitenziale in transizione liturgica, per tutto il Credo e per tutta la preghiera dei fedeli, questo quartum quid, dico con la Carla, che “significa”? Perché la Carla, prima ancora che Marc Augè, mi sta avvertendo che ci troviamo di fronte a un “non luogo” liturgico, o se vogliamo a un luogo dell’insignificanza liturgica. Precisamente quella che scaturisce dalla retorica dell’”ars celebrandi” e dell’”adattamento” rituale per i quali non è più l’assemblea chiamata a convertirsi all’ordine dei significati della liturgia, ma è appunto la liturgia che, non più celebrata quale “opus Dei” e “actio Christi”, viene sequestrata all’obbedienza ministeriale e diviene “ordo ingeniosus” di chi più non agisce in persona di Cristo ma in presidenza dell’assemblea. E pastoralmente, come si sa. E così il minister (minus = meno) diviene magister (magis = più).

Ma sul clericalismo, meglio, sul clericocentrismo, sostituitosi al cristocentrismo, della condizione attuale della liturgia riformata, ci sarebbe da dire per ore…

Sempre con stima,

Maurizio

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Gentile e caro Valli,

sto seguendo con interesse misto a tristezza la panoramica di orrori liturgici perpetrati nelle celebrazioni Novus Ordo.

Che fare? Il primo consiglio è cercare una chiesa dove si celebri la Messa perenne in rito antico. Così faccio io dai tempi del Summorum Pontificum. A volte però siamo impossibilitati o perché siamo in vacanza, o perché non stiamo bene, o in mancanza di auto o taxi. In tal caso possiamo cercare nei paraggi una chiesa dove la liturgia riformata venga celebrata con un minimo di decoro e senza interpolazioni e improvvisazioni ideologiche, senza chitarre, coreografie eccetera. Seguiremo così il rito unicamente per non mancare al precetto festivo.

Consiglio peraltro di inviare al proprio parroco una lettera in cui spiegare con esattezza il motivo della nostra defezione. Devono accorgersi del nostro dissenso e sentire la mancanza delle nostre offerte. Chi teme ritorsioni può firmarsi semplicemente “Un fedele “.

Marina Panetta

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