Cronache dalla grotta / I due padroni e il settembre che arriva
di Rita Bettaglio
Nemo potest duobus dominis servire: nessuno può servire due padroni.
Eh, già. Sembra così evidente, lapalissiano. Nelle cose del mondo è chiarissimo: salvo persone geniali che il Signore ogni tanto dona all’umanità, noi, poveri mortali, riusciamo a stento a servire in una professione o uno stato di vita. Quelli che provano a vivere più vite o vocazioni contemporaneamente s’illudono e, presto o tardi, perdono i pezzi per la strada.
Il problema serio è quando uno dei due padroni siamo noi stessi. Padrone che passa inosservato e che non ci sembra tale. Padrone inevitabile, si potrebbe dire. Padrone, tuttavia, che Nostro Signore ci chiede di rinnegare. E, se ce lo chiede, non può essere altro che per il nostro bene.
Nella grotta è rinfrescato: settembre si avvicina colle sue brevi promesse che verranno inghiottite dall’autunno coi suoi grigiori.
“Settembre, andiamo. È tempo di migrare”. Il pensiero va non solo ai pastori che scendono dai monti con le greggi, ma anche alla migrazione interiore che accompagna il cambiamento della stagione. C’è consonanza tra l’anno solare e quello dell’anima: Dio, nella sua provvida intelligenza e nella sua intelligente provvidenza, ci conduce, anima e corpo, attraverso i diversi stati della natura e dell’anima.
La mente va ai bellissimi versi del D’Annunzio.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Lo so che qualcuno potrebbe storcere il naso, perché D’Annunzio non fu propriamente un chierichetto, ma, come si dice, ogni dono viene dall’alto…e lui ebbe una penna vibrante ed efficacissima.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
I fonti alpestri a cui i pastori hanno bevuto, ma non bevuto e basta: bevuto profondamente. Non capiamo bene, ma certo intuiamo in un et che quest’avverbio ha risonanze interiori. Non è solo acqua per il corpo; è qualcosa che rimane “ne’ cuor esuli a conforto”.
I cuori esuli…anche il nostro cuore è così e lo sappiamo perfettamente, lo sperimentiamo ogni momento. Esuli da una terra lontana, e vicina allo stesso tempo, una terra di cui conserviamo un ancestrale ricordo, l’immagine di Dio nelle nostre anime.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente.
Sull’”erbal fiume silente” mi arrendo e mi lascio trasportare senza opporre più resistenza alcuna. È il fatto che sia silente, silenzioso e lieve che mi conquista. E mi ritrovo, senza saper come, alla marina, laddove “il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori”.
Devo stare attenta, più attenta. Forse è l’età… ma in un mondo dove trionfa la bruttezza, esteriore e interiore, parole come queste sono da assaporare lentamente come un buon vino.
Tuttavia l’apostolo Pietro, ogni sera a compieta, ci redarguisce con la sua ruvida concretezza: Fratres, sobri estote et vigilate!
Vigilare, stare attenti al nostro padrone interiore che confonde le acque e ci convince che il nostro pensiero è importante, anzi fondamentale. A tutti i livelli. Anche ecclesiale. Per non dire ecclesiastico.
“Adda passà a’ nuttata” diceva Eduardo nell’ultima scena di Napoli milionaria. Così passerà anche tutto ciò che pensiamo, insieme al cielo e alla terra. Passerà il metodo storico-critico che prosciuga la fede nella Rivelazione di Dio, ma passeranno anche pizzi, merletti e dominusvobiscum, per dirla con Peppone, se non saranno solo e unicamente a gloria di Dio.
“Sic transit gloria mundi” dicevano un tempo, bruciando una stoppia davanti al pontefice appena incoronato. Sic transit il nostro pensiero, i nostri attaccamenti, il nostro capriccioso padrone interiore.
E anche la grotta, se diventasse un comodo rifugio e perdesse le sue benedette scomodità.