di Roberto Parisotto
Caro Aldo Maria Valli
seguo quotidianamente il blog Duc in altum, e particolarmente quella che si potrebbe ormai definire una rubrica: le segnalazioni dei lettori sugli abusi liturgici. Anch’io, come la signora Marina al cui intervento [qui] mi rifarò, tre anni fa sono passato alla Messa di sempre, e più in generale alla Tradizione cattolica, riscoprendovi i tesori della Fede, a partire dal concetto di sacralità. Da allora non ho più voluto partecipare a celebrazioni novus ordo, ritenendole oggettivamente dannose per la fede e preferendo piuttosto percorrere ogni domenica circa settanta chilometri per poter assistere al vero Sacrificio dell’Altare.
Qualche settimana fa, a seguito della morte di un conoscente, ho partecipato al Rosario in suo suffragio in un paese vicino, nella chiesa parrocchiale, e qui ho potuto fare alcune interessanti osservazioni.
Al momento dell’ingresso in chiesa molti dimostrano di non avere molta confidenza con il luogo: segni di croce frettolosi, genuflessioni da contarsi sulle dita di una mano, incontri e abbracci in un’atmosfera ben poco idonea al raccoglimento.
Idem per l’ingresso del celebrante: nessun segno di croce, nessuna genuflessione. Raggiunto l’altare, da parte del sacerdote solo un prosaico e gagliardamente bergogliano “Buonasera a tutti” anziché un magari più consono “Sia lodato Gesù Cristo”, almeno per rispetto del luogo e soprattutto del Padrone di casa, che se ne sta lì in un angolo, appeso alla croce.
I presenti, tutti seduti, all’arrivo del sacerdote si alzano, ma, di rimando, lui li invita subito a risedersi e dopo un breve commento di circostanza dà il via a un Rosario che snocciolerà in poco più di un quarto d’ora, tralasciando di enumerare le virtù dei singoli misteri.
Io e mia moglie rimaniamo in ginocchio per tutta la durata del Rosario, ma siamo i soli a farlo. Per cercare di non sentire il detestabile “non abbandonarci alla tentazione”, cui tutto il consesso aderisce invece tranquillamente, recitiamo il Rosario in latino, in un fuori coro che ci richiede maggiore impegno e concentrazione. Notiamo che alcuni ci osservano come se fossimo degli esibizionisti.
Iniziano quindi le litanie, che non si possono definire lauretane per la semplice ragione che lo sono soltanto nella prima parte: da un certo punto in poi inizia infatti un florilegio di locuzioni che non esiterei a definire sacrileghe, come “Maria figlia del popolo in cammino”, “Maria una di noi” e via ereticando, tanto che mi scappa detto: “Ma se le sta inventando?”, e lo dico a un volume tale che qualcuno si gira, mentre mia moglie mi fulmina con un’occhiata.
Mi sorge una domanda: perché Maria e non piuttosto Gina o Silvana o Luisa? In fondo sta affermando che pari sono, Maria qui è considerata il paradigma della condizione umana, nelle sue debolezze e nel suo peccato, un’eresia.
Segue un discorsetto di circostanza in cui il celebrante (ma in questo caso chiamarlo presidente suona decisamente meglio) tra l’altro garantisce che il defunto in quel momento ci sta benedicendo tutti dal cielo. Quindi, così com’è iniziata (”di nuovo buonasera!”), la seduta è tolta.
Attonito, mi guardo intorno. È già un brulicare di persone verso il primo banco, dove ci sono i parenti. Strette di mano, baci, abbracci, condoglianze, quindi l’uscita di chiesa come se si uscisse da un museo. Nessuna riverenza, pochi segni di croce, e tutto finisce così.
Perché sembrano rimasti tutti indifferenti davanti ad abusi e stranezze che avrebbero dovuto almeno suscitare qualche obiezione? Alcuni dei presenti li conosco e nei capannelli che si sono formati capisco che molte persone nel loro privato condividono interessi che di cristiano hanno davvero pochino: yoga in primis, più altre attività di natura prevalentemente gnostica. Eppure so che parecchi di loro sono considerati ottimi cristiani. Sono venuti per ricordare il defunto e far sentire la loro personale vicinanza ai parenti. Tutto bello, ma lo stesso risultato si sarebbe forse potuto ottenere organizzando una bicchierata, almeno ci saremmo risparmiati certi abusi.
Mi guardano strano. Alcuni mi conoscono: io sono quello che tre anni fa ha “abbandonato la chiesa”, quello che è passato con gli “scomunicati” (FSSPX). Il discorso è chiuso. E qui mi riallaccio all’intervento della signora Marina: perché la gente denuncia, ma continua a rimanere all’interno dello stesso giro?
Credo vada osservato che le critiche provengono da una ristretta minoranza, certamente attenta e bene intenzionata, ma che vive comunque innestata in quel mondo. Non mi sembra possa valere il discorso della difficoltà di trovare una chiesa dove si celebri la Messa di sempre. In questi tre anni ho proposto a diverse persone, anche critiche nei confronti dell’andazzo attuale, di partecipare alla Messa vetus ordo, ma ho sempre ottenuto lo stesso risultato: nulla di fatto, non si schiodano, piuttosto si fanno mancare la Messa.
Penso, in base alla mia esperienza, che a monte ci sia la mancanza del senso del sacro. Il clero neo-modernista dal quale le parrocchie sono generalmente governate contribuisce alla grande, agevolato in questo da una generale ignoranza dei più elementari principi dottrinali, sostituiti da quel “giudizio secondo coscienza” che è in realtà falsa coscienza svincolata dalla Verità che la chiesa dovrebbe proclamare, Cristo stesso, e si avvicina invece in maniera drammatica al libero esame protestante, il tutto condito in salsa democratica, il che impedisce di distinguere chiesa docente da chiesa discente, con conseguente confusione di ruoli anche da parte del semplice fedele.
Quando feci la mia scelta, tre anni fa, compresi che essere critici non basta più. Non serve a nulla se non si fanno passi adeguati: poco produttivo stare a litigare con il parroco mentre il tempo passa e le cose peggiorano. Mi resi conto che il tempo perso non avrebbe in alcun modo contribuito alla salvezza della mia anima, semmai alla sua perdizione.
Credo che capirlo sia una grazia a disposizione di tutti, o almeno dei più attenti e critici, ma non tutti la accolgono.
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