Caro Aurelio,
da una finestra del mio appartamento vedo la chiesa parrocchiale nella quale fui battezzato (1958) e ricevetti il sacramento della cresima e la prima comunione (1967). Il campanile svetta nel cielo lombardo (“così bello quand’è bello, così splendido, così in pace” per usare le parole del Manzoni) e, se il vento tira dalla parte giusta, mi arriva il bel suono delle campane ambrosiane.
Anche se da alcuni anni sono tornato alla tradizione e ho aperto gli occhi sugli errori, le deviazioni e i tradimenti nati con il Concilio Vaticano II, la chiesa che vedo dalla finestra resta la mia Chiesa, non solo in quanto edificio. È in questa Chiesa che sono nato e cresciuto. È in questa Chiesa che la Provvidenza mi ha fatto incontrare don Filippo, il prete dell’oratorio che mi ha formato alla fede. A questa Chiesa sono molto affezionato e ringrazio sempre il buon Dio per un dono così grande.
A volte gli amanti della tradizione sono un po’ afflitti, mi sembra, da pessimismo e negativismo. Per quanto le loro posizioni siano oggi anche le mie, tendono a nutrire una certa ostilità verso l’ambiente circostante quando non corrisponde ai loro desideri e alle loro aspettative. Per quanto mi riguarda, al contrario, ciò che avverto è soprattutto un sentimento di riconoscenza e tenerezza. Anzi, più vedo che nella Chiesa ci sono deviazioni e tradimenti più mi sento partecipe delle sue sorti. Non ho mai pensato nemmeno per un istante di uscirne.
Tutto ciò vale anche per la figura del papa che, come tu giustamente sottolinei, è un custode, un mediatore, e non va mitizzato. Sono molto affezionato al papa, a qualunque papa, perché ubi Petrus ibi Ecclesia, senza papa non c’è Chiesa cattolica. E quando, in coscienza (la coscienza nutrita dalla retta dottrina) vedo che Pietro si lascia conquistare dal mondo e non mi conferma nella fede, per prima cosa prego per lui, per il suo ravvedimento e perché torni a essere pastore. Se poi Pietro diventa pertinace nell’errore, mi prende una grande tristezza, ma mai sconforto, perché so bene che la Chiesa è di Gesù, non mia né di qualunque papa.
A partire dal 2013, come tu sai fin troppo bene, di motivi di sconforto ne ho avuti un bel po’, ma non è che prima le cose andassero tanto meglio. È da più di sessant’anni che nella Chiesa hanno incominciato a manifestarsi vistosi sbandamenti a tutti i livelli: liturgico, teologico, dottrinale, morale. Poiché sono nato nel 1958, posso dire che l’arco della mia vita su questa terra corrisponde proprio al periodo dello slittamento della Chiesa dalla tradizione al mondo. Tuttavia, come dicevo prima, questa Chiesa mi ha nutrito e mi è stata madre. E i papi che si sono succeduti in questi decenni, sebbene ora ne veda tutti i limiti e gli abbagli, sono stati i miei papi.
Oggi c’è un vivace dibattito attorno alla questione se Francesco sia papa o meno. Ribadisco che nel mio cuore non lo avverto come padre nella fede, ma non ho alcuna competenza per pronunciarmi circa il suo effettivo essere papa. Non su tutte le questioni ci si può pronunciare con la dovuta perizia. Io, che per tanti anni ho lavorato nei giornali, posso dire come si impagina un articolo. E avendo giocato a pallacanestro e seguito corsi per allenatori, posso dire come si tira su una squadra di minibasket. Ma, per dire, non posso pronunciarmi su come si guida un aereo o si esegue un’operazione chirurgica.
Tutto ciò non mi impedisce certamente di leggere, informarmi, partecipare alla discussione. Avere coscienza del proprio limite non vuol dire disinteressarsi. Vuol dire soltanto che, in ultima analisi, non spetta a me emettere un decreto.
La fede che mi ha nutrito è una fonte costante di ringraziamento e di lode. Non c’è giorno in cui non ringrazi il buon Dio per avermi fatto nascere e crescere nella bella e nobile Chiesa ambrosiana, la mia casa. E se oggi la casa è occupata da quelli che mi appaiono come pastori falsi o per lo meno confusi, vuol dire solo che devo avere ancora più fede e devo pregare ancora di più.
La vicenda di padre Pio, alla quale accenni nella tua ultima lettera, la conosco abbastanza bene. Sono stato studente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, e conosco anche la vicenda del padre Agostino Gemelli, il fondatore della Cattolica che scrisse cose gravissime sul frate di Pietrelcina. Nella Chiesa non sono mai mancati questi drammi, spesso frutto di incomprensioni che nascono da storie personali e sensibilità molto diverse. Tutto ciò fa parte della dimensione umana della Chiesa. Ma grazie al Cielo questa non è la dimensione decisiva.
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