Io sono per te

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione dell’articolo [qui] in cui Elena Martinz ha raccontato la storia dei bambini Phlipp e Raphael, l’autrice torna sulla vicenda. Da un punto di vista singolare.

*** 

di Elena Martinz

Ho lunghe orecchie che penzolano fino a terra e grandi occhi dolci. Il mio muso pacifico comunica una infinita tenerezza. Sono morbido: tutte le mie membra si muovono con leggerezza e senza alcun impedimento. Sono facile da sollevare, non mangio e non abbaio. Non mordo e non riesco a piangere.

Sono un cane di peluche, ma ho imparato a soffrire e gioire. Sono un cane di peluche, ma ho imparato ad amare.

Tutto è iniziato il giorno in cui una giovane donna ha deciso di regalarmi. Fino a quel momento ero uno dei tanti giocattoli ammucchiati sullo scaffale di una vetrina di un negozio e come tutti avevo un’etichetta come orecchino.

Un giorno d’inverno mi si avvicinò una donna molto silenziosa. Era sola, senza bambini schiamazzanti al seguito. Mi prese in braccio, muovendo ogni zampa e accarezzando il mio pelo. Mi confrontò con gli altri miei compagni di vetrina in esposizione: “Questo è il più morbido di tutti. Solo stoffa e finto pelo” fu la sua sentenza finale.

Fino ad allora i bambini che cercavano il loro peluche preferito mi deridevano: non ero capace di stare eretto sulle mie quattro zampe e avevo sempre il muso appiccicato al pavimento. Ero un cane schiacciato dalla forza di gravità. Le quattro zampe allargate e le orecchie enormi da elefante facevano di me più uno straccio per lavare i pavimenti che un fiero e nobile peluche. “Che buffo!” era uno dei commenti più gentili.

“È perfetto”: la giovane mi strinse con gli occhi lucidi e mi fece impacchettare. Ero un regalo! Finalmente ero stato scelto! Ero contento e fiero: facevo invidia ai miei “vecchi” compagni di vetrina. Sarei stato una sorpresa! Un bimbo mi avrebbe spacchettato e i miei occhioni avrebbero incontrato il suo sguardo colmo di gioia ed eccitazione!

Nel buio pacco regalo sognavo il volto del mio padroncino, le corse e i voli nei parchi, le storie di cui avrei fatto parte. Avrei arricchito i suoi giochi e avrei protetto il suo sonno dormendo al suo fianco, sul suo lettino. Ma più di tutto avrei ricevuto un nome! Un vero nome, un nome speciale, tutto e solo per me. Sognavo il mio nome e quasi mi pareva di sentire la voce del mio padroncino che lo pronunciava solennemente, sollevandomi in alto, proteso verso uno splendido cielo azzurro. Sognavo il suo abbraccio e le sue carezze. Sarei stato il suo migliore amico e lo avrei consolato nei momenti tristi. Avrei goduto ogni minuto e ogni giorno in cui sarei riuscito ad attrarre la sua attenzione. Sapevo che dopo qualche tempo i bimbi si stancano di te e ti chiudono in un qualche scatolone che puzza di naftalina in una buia soffitta. In quel momento non m’importava: finché il mio padroncino avesse avuto bisogno di me, io ci sarei stato con tutto me stesso. Ero un pupazzo, cosa potevo pretendere di più? A quel tempo non conoscevo i sentimenti. Sapevo solo di essere un gioco; nessuno mi aveva mai parlato di Amore o di Dolore. I sentimenti… quelli li avrei ricevuti io come regalo, all’apertura del pacco.

Sono trascorsi due anni dall’apertura del pacco regalo e sono ancora senza nome, ma ho un cuore e non mi allontano mai dal mio padroncino che ha un nome bellissimo: Philipp.

Non mi ha mai abbracciato: sono io ad avvolgere lui con le mie lunghe e buffe orecchie. Non mi ha mai accarezzato: sono io a dargli sollievo, sfiorando col mio morbido pelo la sua pelle delicata e sensibile. Non sono un freddo ornamento appoggiato al bordo del suo lettino, ma lascio che il suo fragile corpicino si appoggi a me e che la mia morbidezza dia sollievo al suo dolore, addossandomi il peso delle sue braccia e delle sue gambe. Non correrò mai con lui in un prato, ma trascorriamo tutta la giornata insieme, scambiandoci i sogni. Non lo vedrò mai il suo sorriso, ma tante volte ho asciugato col mio muso le sue lacrime. Ho imparato ad amarlo e a soffrire per lui. Ho il suo odore e la mia vita è tutta dedicata a lui. Lui non può stare senza di me e io non posso stare senza di lui.

Un pupazzo non potrebbe augurarsi regalo migliore di questo: essere strumento d’amore; essere sollievo per il dolore, essere indispensabile per il sonno della creatura più dolce del mondo.

A volte suona un allarme e allora qualcuno accorre affannato: solleva Philipp con il viso preoccupato. I suoi occhi si dilatano, esprimendo paura, quasi terrore, il suo respiro diventa affannoso e la sua pelle violacea. Trema tutto e allora sento il mio corpo di stoffa riempirsi di quell’angoscia che prova lui… Io non posso fare nulla, ma la ragazza che accorre lo coccola, lo accarezza, gli sussurra canzoni dolci, lo pulisce, insomma fa di tutto, finché finalmente quel suono pungente anche per le mie orecchie di pelo sfuma nel silenzio… e lui si riabbandona delicatamente ai suoi amici di peluche. Sì, perché non sono il solo: siamo in tanti ad avere la fortuna di appartenere ad un padroncino come lui.

Altre volte sento qualcuno pronunciare una parola che non conosco e ogni volta i volti si disegnano di una tristezza indescrivibile. ”Sta morendo”, bisbigliano tra loro. Mi vengono i brividi quando sento pronunciare questa frase a me ignota. Deve trattarsi di qualcosa di brutto, che fa paura…per questo ho promesso al mio piccolo padrone che lo proteggerò da quella cosa, che non scapperò e che lo avvolgerò per tenerlo al caldo e per non farlo sentire solo e spaventato.

Un giorno la donna che mi scelse come regalo mi si avvicinò e, sistemandomi sotto i piedini del mio padroncino, mi sussurrò: “Grazie per quello che fai per Philipp. È in coma, sai? Non potrà mai giocare con te, ma sono sicura che siate diventati buoni amici”.

Scoppiò a piangere, bagnando il mio muso: le sue lacrime crearono le mie.

Sono di pezza e la mia sofferenza non bagna, non si vede.

Guardandola la ringraziai: mi aveva permesso finalmente di piangere.

“Io amo Philipp. Sono tutto per lui” le dissi a modo mio.

Lui sospirò. Lei capì. La vita a volte va al di là dei suoi confini.

Pochi giorni dopo vestirono Philipp in maniera molto elegante e lo appoggiarono su uno strano letto. Ci lasciarono separati per tutta la notte: nessun pupazzo lo circondava più. Era la prima volta e per me fu insopportabile non sentire più il suo calore. La donna che anni prima mi aveva scelto mi guardò e in qualche modo comprese il mio desiderio: mi sdraiò vicino a lui in quello strano letto bianco. Ci baciò entrambi, poi non vidi più nulla.

Ma ho mantenuto la mia promessa: nulla e nessuno ci potrà mai più separare.

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Philipp era in grado di comunicare con un linguaggio senza parole, senza sguardi, senza gestualità; un linguaggio che comprende solo chi lo ha conosciuto e tenuto tra le braccia.

Era un puro scambio d’amore, un abbandono dell’uno nelle braccia dell’altro. Era un “sentirsi” che andava al di là della vita che si tocca con mano…per questo rimarrà e non solo come ricordo, ma come vera presenza anche ora che il suo nome è scolpito su una piccola croce bianca.

Grazie Philipp Braunias, per avermi insegnato che si può vivere solo di carità e di amore e che ogni vita è indispensabile e degna di essere vissuta.

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