Caro Valli,
in merito alle considerazioni che leggo, e confermo con la mia personale esperienza, nella sua rubrica Pessime abitudini in chiesa, desidero condividere qualche riflessione, in particolare sulla partecipazione alla santa messa, fulcro di ogni altro atteggiamento buono o cattivo verso ciò che è sacro.
Riconosco che nel novus ordo missae possano esservi molteplici vizi di forma, di certo superabili, e che il vetus ordo esprima meglio la natura sacrificale della celebrazione, tuttavia è indubitabile la validità del messale rinnovato e credo che, se ben celebrato, il novus ordo possa esprimersi in modo altrettanto degno. Vedasi, ad esempio, le celebrazioni del Santo Padre Benedetto XVI.
Ora, se nulla impedisce che miglioramenti si possano apportare, il vero problema credo vada ricercato nell’elevato grado di libertà concesso oggi al clero nell’interpretare in modo personalistico la celebrazione eucaristica, da cui scaturiscono gli abusi che in Duc in altum si vanno elencando. È una libertà attuata senza una seria supervisione da parte dei vescovi nei confronti dell’operato dei presbiteri. Anzi, spesso sembra che questa distorta libertà si faccia largo proprio nel pieno disinteresse, se non nella condiscendenza, dell’episcopato.
Certo, quella che molti qui propongono, ovvero migrare verso la santa messa vetus ordo, può essere una soluzione, però in questo modo faremmo probabilmente solo gli interessi della nostra anima, e forse di chi ci è più vicino, disinteressandoci del destino della comunità dei credenti. Ritengo invece, più opportunamente, che le anomalie vadano denunciate con la nostra presenza e testimonianza, contribuendo a correggerle nel tempo, piuttosto che evitandole nel nascondimento di un rifugio sicuro.
Allora che cosa fare? Qualche proposta.
– Partecipare in modo degno alla celebrazione.
– Non parlare e non socializzare in chiesa, soprattutto durante la santa messa.
– Non indossare abiti immodesti.
– Nel Credo, inchinarsi alle parole et incarnatus est.
– Non ricevere la Comunione sulla mano, bensì sulla lingua.
– Nel ricevere la comunione accostarsi a un consacrato ed evitare i “ministri straordinari”.
– Tenere le mani giunte durante il Padre mostro.
– Recitare il Padre nostro secondo la vecchia formula e possibilmente in latino.
– Non scambiarsi la stretta di mano né occhiate pacificatrici.
– Ricevere la benedizione finale in ginocchio.
– Se il celebrante conclude la santa messa con un “buona domenica”, evitare di rispondere, tanto meno dicendo “altrettanto”.
– Non partecipare mai a iniziative ed eventi non pertinenti al luogo sacro.
Mi permetto di osservare che alcuni atteggiamenti consoni al luogo e al momento, quando ci si trova in un contesto che non li conosce o non li concepisce, anche se praticati in perfetta buona fede possono apparire come ostentazione e alterigia.
Per esempio, se in una comunità parrocchiale non è consuetudine inginocchiarsi per ricevere la Comunione, inginocchiarsi mentre tutti gli altri stanno in piedi e porgono le mani può, nella migliore delle ipotesi, suscitare curiosità, ma non essere interpretato come atteggiamento esemplare. Invece, in un simile contesto, un atteggiamento più sobrio (magari un inchino) sarebbe gradito al Signore e l’assemblea lo potrebbe recepire come un atteggiamento di esemplare devozione, divenendo educativo.
Se, invece che fuggire verso lidi sicuri, tutti coloro che scorgono il dileggio del sacro attuato nelle nostre parrocchie manifestassero questo dissenso silenzioso, sono sicuro che qualcosa cambierebbe. Le cose non cambieranno mai, al contrario, se lasceremo le nostre comunità in balia delle proprie inadeguatezze. Di una voce ci si può non accorgere, ma se le voci diventano un canto di testimonianza possono insegnare qualcosa, e magari anche le alte sfere si muoverebbero per porre fine ad abusi e anomalie.
Pietro
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