Rendere bella la casa di Dio: quel dovere che dobbiamo riscoprire
Il grande panico da Covid forse è passato, ma gli effetti residui della pandemia sono ancora tra noi. Chiamatelo “lungo Covid culturale”: sembra esserci una netta linea di demarcazione prima-dopo, con alcuni che portano ancora le cicatrici del trauma, compresi quelli di noi che dovettero combattere per il diritto di culto quando alle attività commerciali, ai musei e ai saloni dei tatuaggi venne concesso di riaprire.
In California ogni contea ha emanato le proprie ordinanze sanitarie, comprese le norme relative ai luoghi di culto. In quelle prime settimane in cui tutto era chiuso, chiesi ai miei preti di lasciare aperte le chiese durante il giorno in modo che i fedeli avessero almeno accesso a uno spazio sacro per la preghiera privata. Nell’ordinanza non c’era alcuna norma al riguardo, eppure fui attaccato dai media dopo essere stato accusato dai funzionari della città di aver violato le norme sanitarie locali. A quanto pare, i nostri funzionari governativi non hanno mai considerato un edificio ecclesiastico come uno spazio sacro da utilizzare per la preghiera privata, ma semplicemente un edificio in cui svolgere un servizio di culto pubblico in sicurezza.
Un simile atteggiamento è emblematico di un modo utilitaristico e eccessivamente pragmatico, o funzionale, di vedere non solo le chiese, ma tutta la vita nella nostra società moderna e, ancor di più, postmoderna. Ovviamente, un tale modo di guardare il mondo è in netto contrasto con la nostra comprensione cattolica, che la Chiesa ci ha tramandato fin dall’insegnamento di nostro Signore nei vangeli, a partire dagli apostoli e attraverso i secoli fino ai nostri giorni.
Una delle tante grandi benedizioni della nostra eredità cattolica è costituita dai numerosi santi che ci forniscono esempi di santità e virtù eroica. Una cosa che i santi ci insegnano è che la nostra prima priorità deve essere Dio. Al primo posto deve esserci la vera adorazione dell’unico, vero Dio, al quale occorre dare solo il meglio, indipendentemente dalle circostanze personali della vita.
San Francesco d’Assisi, patrono della mia città, è noto soprattutto per il suo amore per gli animali, per il creato e per il fervente abbraccio a Madonna Povertà. Ma il primo grande impegno del santo fu un progetto edilizio: la riparazione di una cappella. Riguardo alle sue priorità, scrisse nel suo Testamento:
Sopra ogni altra cosa, voglio che il Santissimo Sacramento sia onorato e venerato e conservato in luoghi riccamente ornati.
Anche il Curato d’Ars (san Giovanni Matia Vianney) visse in grande povertà, ma i proprietari di negozi di articoli religiosi di Lione raccontano che era notoriamente pignolo in fatto di arredi sacri. Quando si trattava di preghiera e adorazione voleva solo il meglio, e una delle prime cose che fece (oltre che trascorrere lunghe notti in veglia) fu riparare la sua chiesa, installare una campana e iniziare a decorare le cappelle.
Questa è la vera santità: povertà e zelo evangelico, ma con un impegno speciale per la bellezza della casa di Dio, perché a Dio deve andare solo il meglio. Tutto ciò in netto contrasto con quello che sembra essere l’atteggiamento odierno: preoccuparsi tanto della nostra comodità ma per nulla degli arredi liturgici per la casa di Dio e persino della liturgia.
Se la maggior parte di noi ha ancora molta strada da fare per raggiungere il loro livello, possiamo tuttavia imparare dall’esempio dei santi. È quello che feci molti anni fa quando ero pastore di una parrocchia a medio-basso reddito al confine con il Messico. La sala parrocchiale era un disastro: buchi nel tetto e crepe nei muri. Starci dentro non era sicuro, e c’era un urgente bisogno di abbatterla e costruirne una nuova. Ma anche l’edificio della chiesa era in stato di abbandono. Non era grave come la sala, e non era pericoloso starci dentro, ma non era adatto al culto dell’unico, vero Dio. A essere onesti, me ne vergognavo. Eppure quando dissi che prima di tutto dovevamo riparare la chiesa, anche se la sala sembrava la necessità più urgente, alcuni parrocchiani non furono d’accordo.
Per me invece era chiaro che dovevamo dare la priorità a Dio se volevamo che tutto il resto andasse a posto e ricevessimo le sue benedizioni. E fu così che la trasformazione della chiesa parrocchiale in uno spazio sacro e bello trasformò anche la comunità parrocchiale.
Tutto questo ci parla del carattere sacramentale della bellezza sacra, e in particolare dell’architettura sacra: il suo ruolo di mediazione nel rendere presente la realtà più grande e trascendente al di là di sé stessa, che è la santità di Dio a cui essa punta. Il suo scopo, ovviamente, è quello di attrarre l’osservatore verso quella stessa santità. La bellezza del tempio di Dio ricorda al credente la bellezza con cui deve mantenere la sua anima, e lo ispira a vivere di conseguenza. Ecco come lo spiega il Padre della Chiesa san Cesario di Arles in uno dei suoi sermoni:
Cari fratelli cristiani, vogliamo celebrare con gioia la nascita di questo tempio? Allora non distruggiamo i templi viventi di Dio in noi stessi con opere malvagie. Parlerò chiaramente, affinché tutti possano capire. Ogni volta che veniamo in chiesa, dobbiamo preparare i nostri cuori a essere belli come ci aspettiamo che lo sia questa chiesa. Desideri trovare questa basilica immacolata e pulita? Allora non sporcare la tua anima con la sporcizia dei peccati. Desideri che questa basilica sia piena di luce? Dio desidera che anche la tua anima non sia nelle tenebre, ma la luce delle buone opere risplenda in noi, affinché colui che abita nei cieli sia glorificato. Proprio come tu entri in questo edificio della chiesa, così Dio desidera entrare nella tua anima, perché ha promesso: vivrò in loro e camminerò nei corridoi dei loro cuori [citato nell’Ufficio delle letture per la festa della Dedicazione di San Giovanni in Laterano].
Santità significa una vita di virtù. Il cristiano deve testimoniare la vita superiore del Vangelo vivendo una vita di virtù. Questo è esattamente ciò a cui san Paolo esorta i suoi fratelli cristiani nell’antica città di Colossi. Queste virtù sono tutte essenzialmente cristiane, perfezionate in Cristo e modello per tutti i suoi seguaci: compassione, gentilezza, umiltà, dolcezza, pazienza, perdono, tutto a imitazione di Cristo stesso. E, su tutto, il vincolo della perfezione che è l’amore. E come conclude san Paolo questa litania di virtù? “Siate riconoscenti”.
Siate grati: la gratitudine è la chiave. Non c’è felicità senza gratitudine; è l’ingrediente essenziale. Ecco, semplicemente, ciò che significa santità: essere felici con Dio in questa vita e perfettamente così per sempre in cielo. È anche una qualità essenziale della gratitudine focalizzata verso l’esterno. Quando sei veramente grato, vuoi che il mondo lo sappia e che sappia perché.
Possiamo così avere un’idea di come l’architettura sacra partecipi alla missione della Chiesa stessa, una missione bidirezionale, come indicato dal Vangelo: “Vieni e seguimi” e “andate dunque”. La Chiesa esiste per evangelizzare, ci ha insegnato papa Paolo VI, e lo scopo dell’evangelizzazione è portare coloro che sono lontani nella comunione della Chiesa, per essere uno con Cristo e così giungere alla salvezza.
Gli edifici ecclesiastici hanno un aspetto esteriore: parte del loro scopo è proclamare Gesù Cristo e il suo Vangelo in mezzo alla comunità. La bellezza esteriore delle chiese attrae le persone al loro interno: la facciata in particolare, ma anche le torri, le guglie, le cupole e così via. E una volta dentro, le persone si trovano alla presenza di Gesù Cristo. Lui è lì nel Santissimo Sacramento custodito nel tabernacolo, e la bellezza dello spazio sacro insegna questa presenza: anche se le persone non la comprendono intellettualmente, possono percepirla intuitivamente quando lo spazio è veramente bello e maestoso.
Quante conversioni si avevano quando le persone entravano in una chiesa e sperimentavano un senso di sacro al suo interno? Dopotutto, nelle chiese cattoliche non entrano solo i cattolici. Le nostre chiese offrono un’oasi per tutti. Un passo importante nella conversione di Edith Stein fu entrare in una chiesa cattolica aperta e vedere un’anziana donna posare la spesa e avere una breve conversazione con il nostro Signore.
È per una buona ragione, quindi, che il Concilio Vaticano II ha chiesto la promozione dell’arte sacra al servizio della missione della Chiesa. Come afferma la Costituzione dogmatica sulla sacra liturgia, la Sacrosanctum Concilium:
Tutti gli artisti che, guidati dal loro talento, intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla formazione religiosa dei fedeli.
Si raccomanda inoltre di istituire scuole o accademie di arte sacra per la formazione degli artisti, dove ciò sembrerà opportuno (n. 127).
Abbiamo bisogno di molte mani in questa vigna. Abbiamo bisogno di apprezzare i nostri grandi artisti e artigiani. Abbiamo bisogno di educare la nostra gente a vedere meglio, più spiritualmente, e ad accendere l’immaginazione cattolica. Abbiamo bisogno di più mecenati delle arti. Abbiamo bisogno che la Chiesa riconquisti il suo posto di madre dell’arte sacra, perché, come ci ha ricordato in modo memorabile papa Benedetto XVI, “l’unica apologia veramente efficace per il cristianesimo si riduce a due argomenti, vale a dire i santi che la Chiesa ha prodotto e l’arte che è cresciuta nel suo grembo”.
*arcivescovo di San Francisco e fondatore dell’Istituto Benedetto XVI per la musica sacra e il culto divino
I brani qui tradotti e riprodotti fanno parte dell’omelia tenuta dall’arcivescovo Cordileone durante la messa di ringraziamento per il venticinquesimo anniversario della rivista Sacred Architecture Journal.
_________________
Nell’immagine [wikimedia.org/Zairon], interno della cupola della basilica di San Sisto ad Ars-sur-Formans, Francia, dove san Giovanni Maria Vianney fu assegnato come pastore. A fronte dell’afflusso di pellegrini nella vecchia chiesa, il Curato d’Ars decise di costruirne una nuova, e poco prima di morire approvò i progetti affidati all’architetto lionese Pierre-Marie Bossan.