Caro Aldo Maria Valli,
desidero rispondere alla lettrice Marina che in Duc in altum [qui], nella rubrica Pessime abitudini in chiesa, a proposito di chi, pur consapevole degli abusi, va ancora alla messa novus ordo si chiede: “Perché queste persone continuano imperterrite a frequentare la parrocchia? Se è così evidente ai loro occhi l’abuso (per essere delicata) che si sta perpetrando, perché frequentano ancora la messa con il karaoke, le ragazzine con la maglietta “staff messa”, le lettrici in minigonna e via dicendo? Mi pare, mi perdoni, una contraddizione”.
Vuole sapere perché non “divorzio” dalla messa novus ordo? Semplice: non perché non sia pronto a farlo, ma perché nel raggio di settantacinque chilometri da dove abito non ne viene celebrata alcuna. Nel capoluogo della regione, in ora antelucana, ne viene celebrata una tutte le domeniche. Ma io non sono più giovane e dovrei muovermi in treno, e il servizio offerto da Trenitalia nei giorni festivi non è fruibile. Così, con sofferenza, devo ricorrere per tre domeniche su quattro al novus ordo missae.
Vivo in una piccola diocesi dell’Italia settentrionale in cui, dall’inizio del 2013, regnante Benedetto XVI, la messa vetus ordo è celebrata una volta al mese, in una chiesa non parrocchiale, da un sacerdote di un istituto ex Ecclesia Dei. L’età media dei partecipanti (una quarantina) è al di sotto dei cinquant’anni.
Sul sito della diocesi non c’è traccia di questa messa. In nessuna delle chiese e delle parrocchie della città esiste un avviso che segnali che all’ora X della domenica Y di ogni mese è celebrata nella chiesa Z la santa messa vetus ordo. Di fatto è una messa semiclandestina e i fedeli vi arrivano solo grazie al passaparola.
Lettera firmata