Cronache dalla grotta / Sol nella libertà… E nella verità

di Rita Bettaglio

Sol nella libertà l’anima è intera.

Cotale sentenza era incisa nel marmo, in cima allo scalone del mio liceo. Il liceo ginnasio statale Cristoforo Colombo di Genova.

Tutti i giorni questo verso ci ammoniva, all’ingresso e all’uscita. Ma noi, nei nostri sedici anni o giù di lì, non ci facevamo punto caso. Oltre quella soglia, infatti, ci attendeva un duro combattimento a colpi di aoristo e consecutio temporum. A che libertà potevamo mai pensare, se non a quella dallo sguardo implacabile della prof che, in quinta ginnasio, ci aveva costretti a mandare a memoria tutti I sepolcri del Foscolo? Erano i bei tempi in cui la professoressa del ginnasio era assimilabile a una cellula staminale totipotente: in grado di diventare qualunque cosa, titolare del potere di vita e di morte sugli avventurati ginnasiali. Insegnava italiano, latino, greco, storia e geografia: cinque giorni su sei tutta la mattina era la sua. Impossibile sfuggire: come dice il salmo, “Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza?” (Sal 138,7).

Chissà se la mia professoressa è ancora tra noi: ho con lei un debito eterno, per aver affilato la mia mente, pretendendo l’impegno totale. Chi ne avesse notizie è pregato di segnalarmelo. Non posso fare, ovviamente, il nome, ma il liceo era il Colombo, Genova, gli anni quelli dal 1980 al 1985, la sezione la D.

Nella grotta (o, meglio, fuori di essa) è piovuto copiosamente. Il cielo ha scaricato fulmini a raffica e il mare pazientemente li ha raccolti. Il cielo ha un carattere assai bizzarro e imprevedibile, ma ci salva il mare che, nella sua placida vastità, tutto assorbe delle celesti intemperanze. Anch’esso si alza, talora ulula sotto la sferza del vento, ma poi tutto passa e si ridistende, ancora più bello, a significarci che tutto passa e solo l’eternità resta.

L’eternità e la libertà sembrerebbero due categorie estranee e financo contrastanti. La libertà sa di movimento, l’eternità di eterea, profondissima quiete. Eterno è solo Dio, che esiste da sempre e per sempre. In Lui non c’è mutamento. Dice l’apostolo san Giacomo, riferendosi a Dio Padre: Apud quem non est transmutatio, nec vicissitudinis obumbratio, “nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1,17).

Il testo latino, quello della Vulgata, è quasi onomatopeico: vicissitudinis obumbratio… ci dà proprio il senso dell’obnubilamento, dell’ombra che gli spasmi, le vicissitudini del mondo e della nostra anima stendono come pesante coltre sulla coscienza.

Sol nella libertà l’anima è intera: è vero, verissimo. Lo sperimentiamo ogni giorno, dentro e fuori di noi. D’Annunzio mi perdonerà se aggiungo una parola al suo verso: sol nella libertà e nella verità l’anima è intera. Non c’è libertà senza verità e viceversa.

L’anima era intera nel paradiso terrestre, prima del peccato originale. Per volere di Dio Adamo era stato creato libero, per vivere pienamente l’immagine e somiglianza divina inscritte come marchio di fabbrica.

Dal giorno del peccato qualcosa si è spezzato: l’anima non è più intera e i cocci aguzzi di bottiglia che porta in sé causano dolore e sofferenza. Ma la libertà l’abbiamo ancora e ogni giorno si rinnova in chi l’accoglie, coll’aiuto della Grazia.

Spesso però, pensando magari di far bene, conculchiamo la libertà nostra e altrui con mille precetti e codicilli che, come disse Nostro Signore, furono permessi per la durezza del nostro cuore.

Nel rotolo di Isaia, alla sinagoga di Nazareth, Gesù lesse: “Lo Spirito del Signore (…) mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi”.

Ricordate i Prigioni di Michelangelo? Figure di uomo che emergono faticosamente dal marmo che le tiene schiave, le inghiotte, le trascina nell’abisso senza nome.

A me sono sempre sembrate raffigurazioni e moniti, anzitutto a me stessa: uscire dal marmo, distinguersi dalla materia informe e bruta è un cammino a cui siamo chiamati. È un cammino che da soli non riusciamo a fare e, anzi, spesso intralciamo con le nostre resistenze e visioni personali (anche e soprattutto spirituali). Non di rado siamo i giansenisti di noi stessi e ci carichiamo nuovamente addosso la pietra che il Signore ha fatto rotolare dal sepolcro, a prezzo della Sua vita.

Ma il Signore ogni giorno spariglia le carte, abbassa i superbi che sono in noi ed innalza gli umili che, parimenti, cercano di far capolino nella nostra anima, come gli uomini di Michelangelo emergevano dalla pietra.

Che dire? Deo gratias (anche se i colpi di scalpello fanno male).

 

 

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