Cronache dalla grotta / Pecore del suo pascolo

di Rita Bettaglio

Plorémus coram Dómino, qui fecit nos, quia ipse est Dóminus, Deus noster; nos autem pópulus eius, et oves páscuæ eius. Piangiamo davanti al Signore che ci ha creati, perché egli è il Signore nostro Dio; e noi siamo il suo popolo, e le pecore del suo pascolo.

Eh, già. Noi siamo il popolo del Signore, le pecore del suo pascolo, lo dice l’invitatorio che recitiamo ogni mattina.

Egli, come ogni buon pastore, ama e difende le sue pecore. E allora perché, dice l’uomo moderno, piangere e supplicare? Perché chiedere misericordia e pietà? Noi siamo spesso quell’uomo, dimentico del suo stato di creatura. Il fatto che ci abbia creato, ci ami, abbia dato il Figlio unigenito per noi, non vuole affatto dire che siamo al suo stesso livello. Lui si è abbassato, non noi siamo arrivati alla Sua statura. Quanto spesso facciamo spallucce e lo dimentichiamo!

Un responsorio del mercoledì delle Quattro Tempora di settembre recita così: “Abbiamo appreso le tribolazioni che hanno sofferto le città, e siam venuti meno: timore e debolezza di spirito si sono impossessati di noi e dei nostri figli: gli stessi monti non vogliono accogliere la nostra fuga”.

Proprio così. Abbiamo visto e vediamo ciò che accade nel mondo. Abbiamo il Signore e la storia che tentano d’insegnarci. Come reagiamo? Noi e i nostri figli veniamo meno, il timore e la debolezza di spirito c’invadono e ne siamo imbevuti come una spugna. Tentiamo di fuggire, ma neanche i monti vogliono accogliere la nostra fuga. Gulp.

Ormai fa freschino. Persa è la speranza di un settembre benevolo e indulgente. La grotta ha cercato invano di prolungare i tepori estivi. La bruma la pervade e non c’era più abituata (e nemmeno io).

“Dagli atri muscosi, dai fori cadenti… “, cantava con una certa tragica solennità, il coro del terzo atto dell’Adelchi. Muscosa comincia a essere anche la grotta che mi accoglie ed è testimone del pencolar dell’anima mia.

Rovine muscose e sbrecciate le mie, come quelle di un presepe napoletano. Ma è lì che il Signore nasce, disertando i palazzi lucenti di marmi, che hanno già avuto la loro ricompensa. Meno male, sennò sarei spacciata!

Nell’ingravescente umidiccio (lùvego, lo chiamiamo in genovese) della grotta, leggo sempre cose che mi fanno riflettere. Oggi è la volta di una monaca trappista, M. Cristiana Piccardo, personaggio assai noto nel suo ambiente, madre spirituale di una moltitudine di figlie.

Ella scrive: “La nostra comunità ha sempre cercato d’imparare da tutto e da tutti: si è sempre lasciata mettere in discussione da tutto e da tutti, cosciente della sua povertà anche di fronte all’ultima postulante che arriva al monastero; aperta alla novità dello Spirito che giunge anche attraverso la ragazzina presuntuosa che suppone di sapere tutto”.

Molto bello e molto vero. E vero lo è in ogni vita, non solo in monastero: lo Spirito Santo può servirsi di chiunque per parlarci. Talora proprio di quelli da cui mai ce l’aspetteremmo. A me è capitato molte volte, e molte di più, penso, sono state le occasioni in cui non mi sono accorta e non ho dato ascolto.

Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1, 46). Da quel tale, che potremmo anche essere noi o la nostra stessa coscienza, potrà mai venire qualcosa di buono?

Lessi una volta, non ricordo dove, questa frase: la verità bisogna accettarla anche dai bugiardi. Perché nessuno è ontologicamente bugiardo, tranne il demonio, e nessuno ontologicamente vero, tranne Dio. Lui è la Verità stessa. In mezzo ci sono le creature, esclusa la Beata Vergine Maria, che fronteggiano ogni giorno, dentro e fuori di sé, le conseguenze del peccato originale.

A Natanaele Filippo rispose: “Vieni e vedi”. Dai frutti riconosceremo la bontà dell’albero. Ma, attenzione, l’albero è il lignum crucis, che gronda sangue e acqua di redenzione, ma anche lacrime e spade inclementi.

Padre Stefano spesso, dopo aver incontrato persone di difficile interpretazione, esclama, tra il serio e il faceto: “E se fosse un’anima del Purgatorio?”. A questo richiamo, la carità prevale e l’indulgenza.

Cammino per la grotta e mi affaccio all’imbocco. Molti pensieri s’affollano e alcuni vorrei condividerli con voi, ma… vedo qualcuno in lontananza. Un fagotto nero su un’umile cavalcatura. Sta salendo verso la grotta.

Vi devo lasciare. Ci sentiamo presto.

 

(cronachedallagrotta@gmail.com)

 

 

 

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